“Noi non eravamo nulla e non avevamo nulla. Siamo arrivati ai vertici dello Stato per cambiare le cose, armati solo delle nostre convinzioni, delle nostre forze. Abbiamo affrontato grandi fatiche e grandi sacrifici in nome di un ideale, con l’aspirazione di non subire più la storia, ma di divenirne artefici”. Sono pressoché certo che se domandassi a dieci persone da dove provengono queste parole, almeno la metà risponderebbe dal blog di Beppe Grillo o dal profilo Facebook di qualche esponete del M5S. E invece no. Sono prese dalla prefazione di Storia di un militante, un recente e-book (a breve pare anche in versione cartacea) di Roberto Castelli, nel quale l’ex ministro della Giustizia ripercorre i primi anni della Lega. Molto prima che l’ondata padana invadesse la Capitale, c’era già stata l’esperienza dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. Due rovinosi precedenti per Grillo. La meteora di Giannini si disintegrò in pochissimo tempo, la parabola di Bossi si è spenta tra cerchi magici e compromissioni di vario genere. Ha dichiarato Castelli con quel suo solito ruvido linguaggio: “Roma, come tutte le grandi capitali, è un po’ puttana, ti prende, ti affascina. È accaduto a molti di noi, che si sono persi dietro a privilegi e poltrone”. Cos’è la vita se non la scoperta di ciò che siamo?