Il caimano rosso

vendola-nichiÈ dal 2008 che onnipotenti opinionisti ci spiegano perché la sinistra in Italia ha perso e continuerà a perdere. Taluni rimpiangendo Bertinotti, Diliberto, Rizzo, Ferrero e Pecoraro Scanio, altri esprimendo soddisfazione per la loro esclusione dal Parlamento italiano. Mentre accadeva questo, Nichi Vendola procedeva speditamente a occupare il campo della sinistra. Nulla sembra scalfire l’irresistibile ascesa del presidente pugliese. Ha superato abilmente il dissenso con Bertinotti, la perdita di pezzi all’interno di Sel, le disavventure giudiziarie, l’inimicizia di D’Alema, il diktat di Casini che con lui non voleva allearsi e perfino la temibile concorrenza di Grillo. Vendola è un leader carismatico e indiscusso e il gruppo dirigente del suo partito è compatto attorno a lui. Vendola esercita la guida ricorrendo alla motivazione ideale e sentimentale e questo ne fa un capo imbattibile.Quell’assenza di cuore e di afflato che è stata rimproverata alla sinistra italiana dalla Bolognina in poi, è stata colmata dalla passione di Vendola. L’operazione fallita nelle mani di D’Alema, Fassino e Veltroni a lui è riuscita: diventare il nume e al tempo stesso il sacerdote di un nuovo culto. I giornali lo osannano, le Tv lo incensano, il popolo lo adora. A sinistra Vendola è un intoccabile e ora lui è passato ad amministrare con abilità la sua leggenda. Lo si è visto anche ieri sera. Seduto nel salotto di Fabio Fazio ha somministrato il fuoco dei valori in cui crede, i principi della religione vendoliana. La sua storia, le sue radici, i suoi ideali sono quelli di tutti i deboli, gli sconfitti e i diseredati. Se vince lui, vincono anche loro. Il pubblico si scalda quando Vendola dice cose inequivocabilmente di sinistra: attacca l’illegalità diffusa, esalta il dissenso come anima delle democrazie, allude al grande imbonitore. “A me interessa della partita del cambiamento, non di quanto il mio partito ha nella singola città”. Con queste parole ha rivendicato l’onorabilità disinteressata del suo impegno politico, ma poi ha ricordato con orgoglio i successi di Sel: dai sindaci di Milano e Cagliari alla presidente della Camera.
Vendola è l’unico tra i politici italiani a godere di uno speciale salvacondotto. È il solo a rappresentare il rinnovamento pur facendo politica da più di un quarto di secolo e occupando stabilmente poltrone da vent’anni, è stato deputato per quattro legislature prima di diventare governatore della Puglia. Eppure lui dichiara con candore di non volerne nessuna e appare credibile ai suoi elettori mentre lo dice. Tutto è già stato detto sulla sua arte retorica, sulla sovrabbondanza di toni e aggettivi che paiono colmare una necessità storica e biologica. Hanno perfino paragonato il suo linguaggio arzigogolato al lessico criptico di Aldo Moro o al latino della Chiesa. Vendola parla difficile per rendere inaccessibile al volgo la chiave del potere e suscitare servile devozione, sostiene qualcuno. Sarà, ma mentre i dirigenti del Pd sperimentano la fusione fredda con le responsabilità di governo e quella ancora più gelida con le decisioni impopolari, Vendola ha scelto la fusione calda con i diritti degli sfruttati e la disperazione degli esclusi. E siccome sia i primi, sia i secondi sembrano destinati ad aumentare in breve tempo, il fascino e l’impresa di Nichi Vendola potrebbero crescere a loro volta. Fin dove si spingerà il leader di Sel? L’assedio al Pd è cominciato già con la partecipazione alle primarie e prosegue collezionando successi, l’elezione di Laura Boldrini a presidente della Camera è l’ultima, ma solo in ordine di tempo. Quando si sentirà pronto, Vendola avanzerà con forza la proposta unitaria. Per Bersani, o chi ci sarà, sarà difficile dire no e drammatico dire sì.

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