Conoscete la teoria della scala mobile? Vi trovate all’estero, in aeroporto o in metropolitana. Una o più persone, magari vocianti, anziché stare in fila a destra su una scala mobile o un tapis roulant, occupano con noncuranza la sinistra, impedendo a chi ha fretta di superare. Quella o quelle persone sono quasi certamente italiani.
Si tratta di un gesto piccolo, di poca importanza, compiuto più per disattenzione che per volontà di ostacolare gli altri. Eppure è paradigmatico della nostra diversità. Conosco molte persone intelligenti che scrollerebbero le spalle di fronte alle lagnanze sul nostro scarso senso civico, ritenendo che altri caratteri positivi del popolo italiano compensino in modo sufficiente questo difetto. Persone normali, a tratti educate, pronte ad accusare di moralismo o esterofilia chiunque osi far notare che nel nostro Paese c’è una diffusa sottocultura della legalità debole e dello scarso rispetto per tutto ciò che è collettivo. Persone per bene, cresciute però con una profonda convinzione: la fantasia e la creatività, la voglia di intraprendere, la capacità di arrangiarsi sono il nostro valore aggiunto.
Si tratta perlopiù di individui incapaci di comprendere che da tempo siamo entrati in una fase di sviluppo diversa. Una fase in cui un “capitale sociale” appropriato è diventato anche un potente motore di sviluppo. Una fase in cui un Paese e la sua economia sono competitivi in misura proporzionale al senso civico, al rispetto delle leggi, alla fiducia nelle istituzioni, alla capacità di cooperare onestamente che sanno esprimere.
Da noi invece serpeggia, e non solo fra i giovani, un generale senso di sfiducia nelle istituzioni. Del resto le istituzioni a loro volta ci restituiscono ogni giorno almeno un motivo per nutrire questa sfiducia. Secondo Eurispes un italiano su quattro non denuncia i reati subiti, in parte perché i danni ricevuti non sono gravi, ma anche perché tende a prevalere fra la gente un senso di arrendevolezza nei confronti delle forze di polizia e del sistema giustizia.
Lo scarso senso civico ci induce a credere sempre che il problema stia altrove, ovunque fuorché dentro noi stessi. La politica non dà risposte efficaci ai cittadini perché i governanti sono corrotti e incapaci. La pubblica amministrazione non funziona perché i dipendenti statali sono indolenti. La sanità è cattiva perché medici e infermieri sono assenteisti. Ma chi sono il politico incompetente e arruffone, il dipendente delle poste sfaccendato e villano, il medico cinico e inoperoso se non noi stessi?
Lo sdegno che mostriamo spesso, io per primo, non è necessariamente l’atteggiamento maturo e consapevole di chi desidera una Italia migliore. Anzi, credo che sia proprio la nostra incapacità di guardarci dentro il male peggiore del Paese. È questa presunta impunità personale che ci legittima a chiedere a gran voce tolleranza zero per i comportamenti illegali o semplicemente incivili, degli altri però. Invece dovremmo domandarci: chi è il maestro del lupo cattivo?
Caro Michele,
sono appena rientrato dagl USA e proprio a New York mentre salivo sulla scala mobile della metropolitana ho fatto esattamente la stessa considerazione preoccupandomi di stare a destra per non fare la figura del “solito italiano” …
In aeroporto in attesa di prendere il volo per Milano noto che un folto gruppo di italiani si allinea ordinatamente in fila indiana in attesa dell’imbarco. Giunti in Italia, appena scesi dall’autobus che dall’aereo conduce al controllo passaporti si creano tre code, due molto lunghe ma ordinate e silenziose sono quelle dei viaggiatori extracomunitari, la terza, quella degli italiani/europei, è invece un coda disordinata dove le persone cercano di scavalcare chi li precede, al primo istante di disattenzione o incertezza. Tutta quella “compostezza” di poche ore prima è già svanita.
La sensazione è che all’estero in parte si soffrano le occhiatacce o i commenti dei locali, arrivati a casa nostra invece sembra prevalere l’idea che “così fan tutti” …
Leggendo l’articolo mi è venuto in mente un momento preciso della mia vita, quando ho preso coscienza che lo Stato siamo noi. Mi spiego.
Era verso la fine degli anni 70, nel mio paese di provincia (Vicenza) esistevano due gravi problemi, nuovi e difficili da gestire che ci facevano sentire impotenti: l’inquinamento e la droga.
C’era un certo malessere vissuto da noi giovani, e non so se per esprimere questo disagio o per quello che ora chiameremmo bullismo, in paese un gruppo di persone puntualmente distruggeva l’arredo urbano. Il Comune dopo un po’ rinunciò a sostituire lampioni, panchine, segnali, persino la statua della fontana al centro del paese ad ogni pulitura veniva ricolorata con spray sempre di colore diverso (era nuda e le mettevano il bikini… 🙂 ). Avevano tutti rinunciato e c’era un certo lassismo.
Non so come e non so chi cominciò a spargere la voce tra noi giovani facendoci riflettere che infondo si distruggeva qualcosa che ci apparteneva, come comunità, visto che poi venivano usati i nostri soldi per acquistarlo.
Ecco, questa semplice riflessione ci rese consapevoli che chi ci governa ci fa da tramite, ci rappresenta, amministra le nostre risorse per darci un servizio utile. Questa consapevolezza ci portò a reagire, criticare e isolare chi compieva questi atti a cui è rimasto un solo contenuto, quello della distruzione.
Scusa mi sono dimenticata di fare prima il login, la risposta sopra che parla di Vicenza è sempre mia ‘:( :)) Guenda
Concordo che la sfiducia nella istituzioni sia un malessere molto diffuso. Faccio però una piccola considerazione: quanto ci sentiamo italiani, quanto siamo attaccati alla bandiera. Tendenzialmente siamo un popolo molto “individualista”. Nella scuola non esiste più l’insegnamento di educazione Civica e questo lo trovo un segnale che ci fa scivolare verso il basso che non ci fa sentire Italiani.
Siamo ancora al motto: fatta l’Italia dobbiamo fare gli Italiani.
Massimo
Massimo
A quanto mi risulta in questi ultimi anni l’educazione civica è stata reintrodotta nelle scuole proprio per la mancanza di rispetto verso ogni autorità che contraddistingue le nuove generazioni, che appaiono sempre più ingestibili. Però non mi piacciono certi discorsi che sento, si parla di ripristinare una certa autorità con i ragazzi, invece sono del parere che occorra più autorevolezza, nel senso che il senso civico deve nascere da una sensibilizzazione e una comprensione del significato più che da regole imposte. I ragazzi oggi hanno l’opportunità di costruirsi delle opinioni proprie, autonome e dovrebbero essere indirizzati in questo senso, nella presa di coscienza e non verso l’autorità che premia o punisce.