Gad Lerner parla di povertà. Fabio Fazio parla di povertà. Barbara D’Urso parla di povertà. Perfino Corrado Passera e Daniela Santanché parlano di povertà. Siamo un Paese fortunato, sempre più povero, ma ricco di paladini dei poveri. Parlare di povertà è diventato il nuovo esercizio di oratoria dei nostri politici e dei nostri conduttori televisivi. La Tv spazzatura ama mandare in onda scene di anziani ripresi mentre rovistano fra la spazzatura. È un cerchio che si chiude.
Ma gli uomini e le donne del potere, i “grandi” delle nostre banche, della nostra politica, dei nostri mercati, della nostra cultura e del nostro intrattenimento, solitamente attratti dai rapporti di forza, dal braccio di ferro e dal peso del denaro, cosa ne sanno di povertà? Vallo a capire.
Eppure blaterano, finti contriti ma entusiasti. Blaterano come si blatera di tutto ciò che risulta misterioso, esotico, nuovo. I messaggi contro la povertà (che già di per sé è un’espressione stupida perché nessuno è a favore della povertà) arrivano più convinti e torrenziali proprio dagli ambienti radicalmente più chic. Parlano di un fenomeno che è a loro del tutto estraneo. E difatti mostrano puntualmente di non comprenderlo. Perché la povertà oggi non è più solo una condizione economica oggettivamente misurabile. È anche un senso di insicurezza. È quel camminare su una fune, in equilibrio precario, con il timore di cadere proprio là, dove vivono i poveri.
I confini tra chi è sopra o sotto certe soglie, tra chi è incluso e chi è escluso dalla povertà sono sempre più sfumati. C’è un’ampia zona grigia dove allignano precarietà e inadeguatezza a un sistema dominato dalla competitività. E in questa terra di mezzo, che si allarga senza pietà, si trovano persone non ancora classificabili come povere, ma che versano innegabilmente in uno stato di insicurezza crescente. Comprende pensionati, famiglie riformatesi a seguito di separazioni, giovani precari, quarantenni e cinquantenni espulsi dal mondo del lavoro. La povertà odierna è un concetto delicato e molto sfaccettato che accomuna chi ha paura del futuro e avverte un senso di instabilità.
I nostri filantropi a gettone invece hanno una visione ottocentesca del fenomeno, sul modello dama di carità. Sono rimasti ai pranzi celebrati al “tavolo dei poveri” che uniscono i benestanti ai diseredati, ma solo per pochi istanti. Il banchetto con i poveri, tornato tanto di moda, ha un sapore davvero antico e tetro. È un modo ridicolo e patetico di affrontare la povertà. L’immagine del magnanime personaggio pubblico che siede a tavola al fianco dei poveri è intrisa di ipocrisia e falsità. Serve solo a lavare la coscienza macchiata da privilegi inauditi.
Touché! Una visione a 360° è il quadro esatto della situazione. Condivido.
I poveri oggi, chi sono?
Una domanda che credo non esser banale e che mi ha dato molto da pensare; definire precisamente cosa sia la povertà, potrebbe servire a meglio agire nei suoi confronti. I veramente bisognosi, divengono, incredibilmente, sempre più invisibili, privati anche del diritto di poter avere una propria immagine non artefatta presso gli altri!
Prendo a prestito una frase detta dal “Liga”: IL MIO DISPREZZO ME LO TENGO DENTRO, CHE IL LETAMAIO E’ GIA’ COLMO PUBBLICAMENTE”