Chi ha distrutto le nostre città?

centro commerciale

Ieri sera il TG LA7 ha dedicato un ampio servizio al dilagante fenomeno del gioco d’azzardo: un esercito composto prevalentemente di pensionati, lavoratori precari e casalinghe riempie le sale e i bar. Tutti ipnotizzati dalle slot machine. Lo spunto è arrivato dalla vicenda di Luigi Preiti, il calabrese di 46 anni responsabile della sparatoria davanti a Palazzo Chigi, che secondo le notizie diffuse sarebbe pieno di debiti a causa della sua passione per i videopoker. Il direttore Enrico Mentana ha commentato: visto che a guadagnarci, più ancora che lo Stato, è la criminalità organizzata, non sarebbe il caso di vietare queste macchinette?
Rispondo con un’altra domanda: si può non essere d’accordo con questa richiesta? No, non si può. Il problema però andrebbe affrontato con una visione più ampia. Gettiamo uno sguardo sulle strade di una qualsiasi città italiana, grande, media, ma anche piccola, e osserviamo il tessuto commerciale che la caratterizza. Presto ci rendiamo conto di cosa non troviamo più: il fruttivendolo, il macellaio, la latteria, la drogheria, la sartoria, la cartoleria, insomma tutte quelle attività che ancora un paio di decenni fa rendevano vive e vivaci le nostre città. Sono state spazzate via dal diffondersi di quelle strutture mastodontiche, quasi sempre mostruose, che sono fiorite in prossimità dei grandi svincoli autostradali, lungo le tangenziali, nelle periferie: i centri commerciali. Il fenomeno, che è stato ancora più aggressivo in provincia, ha dato origine al nuovo tipo di passeggiata: una monotona scarpinata fra vetrine di negozi poste in sequenza, interrotte solamente dai banchi e i tavoli di fast food, una simil-città sradicata da qualsiasi luogo definito sulla superficie terrestre. Una volta dentro si potrebbe essere ovunque, alla periferia di Los Angeles come a Viterbo, a Shangai come a Monza. Lunghi corridoi anonimi e coperti, illuminati artificialmente, popolati da giovani e adulti che non sanno resistere al desiderio di acquistare, quasi fosse il solo modo conosciuto per dimostrare di esserci. Lì dentro perlopiù si vendono merci scadenti, perché l’economia dei consumi facili predilige prodotti di bassa fattura, che si logorino in fretta o si possano migliorare continuamente. La tradizione, il valore artigianale, la cura per il bello sono considerate soltanto perdite di tempo.
La città redditizia ha sostituito la città bella e il processo è stato pianificato con attenzione. Tutto risponde a un disegno preciso, quello di trasformarci in stolidi consumatori perennemente indebitati. Intanto i nuclei storici svuotati di fruttivendoli, salumai e panettieri si sono ripiegati su stessi e sono stati occupati da altre attività commerciali: compro oro, sale giochi, centri massaggi, agenzie immobiliari e banche. Le prime sono spesso strumenti di riciclaggio del denaro in mano alla criminalità organizzata. Restano le banche. Già, le banche.

7 risposte a "Chi ha distrutto le nostre città?"

  1. Tu parli della scomparsa delle botteghe e di tutti quegli esercizi commerciali “umani” che esistevano prima dell’avvento del disumano “centro commerciale”. Io ricordo però anche la vita nei cortili delle case, di giorno coi bimbi, la sera ad ascoltare i racconti dei vecchi saggi. Tutto questo prima dell’avvento dei palazzi. Non credo che potremo tornare indietro purtroppo. Ormai non si posson buttar giù i palazzi e non si posson distruggere i centri commerciale. Le persone hanno il potere di scelta ma non lo esercitano. Io personalmente preferisco una domenica all’aria aperta in montagna piuttosto che camminare per i negozi. Non so che felicità ci trovino, visto che se non ci sono soldi non si può comprare granchè. Mah.

  2. E’ vero. Possiamo ancora scegliere. Possiamo ancora invertire la rotta e reimparare a comprare e consumare. Da me, provincia montana, il centro commerciale per i giovanissimi ha sostituito le vasche in centro del sabato e della domenica. Non solo sono in un ambiente non bello ma al chiuso, senza aria e luce veri, iperstimolati a scelte di massa. Ma sta a ognuno di noi la scelta, l’atto consapevole della selezione.

  3. Ma vogliamo parlare dei soldi che tali mastodontici centri commerciali incamerano non rinvestendoli nel territorio da cui li hanno prelevati? Oppure del patrimonio in termini di socializzazione che è andato perso facendo sparire i piccoli negozi? Io all’alimentari sotto casa ci andavo volentieri, il proprietario era un signore simpatico che mi chiamava per nome, mi sorrideva e mi metteva da parte la schiacciata con l’angolo che mi piaceva tanto, al centro commerciale siamo un migliaio li dentro e non sorride nessuno, nessuno mi chiama per nome e nessuno caga nessuno, la schiacciata con l’angolo è introvabile perchè anche quella è standardizzata in forma e dimensione. Che schifo.

  4. effettivamnte questi “mostri” hanno distrutto i centri storici dei nostri paesi di provincia, i quali lentamente stanno morendo.
    Però occorre anche dire che in alcuni momenti avere “queste città nella città può far comodo, o no?
    Personalmente li abbatterei, ma poi cosa ci resterebbe e a quale costo?
    Massimo.

  5. C’entra sicuramente poco, ma leggendo quello che scrivi sui centri commerciali, e nutrendo un certo odio per quei mostri pure per certi versi così utili, mi è venuto in mente l’annuncio che facevano fino all’anno scorso nei TG, ogni estate: “se avete in casa delle persone anziane, portatele a rinfrescarsi al centro commerciale”. Ecco, quando ero piccola, noi, la nonna, la portavamo al mare. Anche perché, a dirla tutta, la domenica i negozi erano chiusi. In quest’ottica, in effetti, le sale da gioco sono veramente l’ultimo dei problemi.

  6. Prendo spunto dalla copertina del giornale qui a destra: l’importanza di NON partecipare. Ha senso rifiutare il modello che veicola questo cambiamento. Ha senso spulciare le vie secondarie alla ricerca di un alimentari gestito da due anziani e preferirlo al discount o al centro commerciale. E’ importante comprare frutta e verdura e pane nei mercati rionali anzichè al supermercato. E’ fondamentale rifiutare il cibo spazzatura, riparare le scarpe vecchie, comprare vestiti di seconda mano o vestiti di qualità prodotti in luoghi in cui l’economia non si basa sulla trappola del labour-intensive …
    Se queste realtà che vengono piazzate ovunque continuano a proliferare è anche perchè la gente, trincerandosi dietro l’ignoranza o il “tanto ormai esiste SOLO quello” decide di PARTECIPARE allo scempio.
    Non raccontiamoci favole: non viniamo nelle bidonville, abbiamo ancora la possibilità di mangiare 3 volte al giorno e di scegliere cosa mangiare, facciamo il cambio di stagione due volte l’anno e così via.
    La scelta c’è eccome.

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