Perché corriamo?
Se lo domanda chi osserva un podista, mentre gli sfila accanto, ansimante, infreddolito o accaldato. E se lo domanda il podista stesso. Perché un gesto così semplice, povero e faticoso coinvolge sempre più persone in un’epoca dominata dalla tecnologia e dalla sofisticazione? Forse perché correre è un gesto antico quanto l’uomo. Perché, come scrive Roberto Weber in un bellissimo saggio «la corsa è uno stato d’animo, un frammento nel quale si rivela la condizione umana».
La leggerezza della corsa
Negli ultimi anni sempre più persone si mantengono in forma attraverso la corsa, che è, fra gli sport, uno dei più facili da praticare: è a basso costo e non richiede attrezzature particolari, se non un paio di scarpe adeguate. Correre è diventato sinonimo di benessere, è entrato a far parte dello stile di vita quotidiano di un crescente numero di italiani. La decisione più difficile è quella di cominciare. Ma una volta partiti, non ci si ferma più. Perché la corsa è esigente, vuole impegno e dedizione, però rilascia anche un’infinità di emozioni. È per questo che, in barba alla fatica, si avverte l’irrinunciabile desiderio di tornare a correre appena è possibile. Soli davanti alla sfida, liberi da quel meraviglioso superfluo che ci ha regalato il benessere.
La specie umana ha inizio dai piedi
Le orme di G1 e G2 ne sono la prova. Due australopitechi alti meno di un metro e quaranta, oltre tre milioni e mezzo di anni fa, sfuggendo alle eruzioni di due vulcani a oriente di Ngorongoro, lasciarono dietro di sé una fila di impronte fossilizzate dalla cenere. Piaccia o no, tutto è partito da lì. Da quei due ominidi che nella Rift Valley si sono alzati in piedi e hanno cominciato a correre. Segnando il destino dell’uomo, che è nato per deambulare inquieto.
Cosa avranno pensato G1 e G2 mentre allungavano a terra la loro ombra e per la prima volta si libravano in volo con la forza delle sole gambe? Certamente non potevano sapere che il loro disperato tentativo di sottrarsi alla montagna di fuoco un giorno si sarebbe trasformato nella leggerezza di un Bikila, che stravinceva a piedi nudi come loro, o nella grinta di un Gebrselassie.
Ciò che è accaduto allora, accade sempre e accadrà ancora a lungo. Dopo milioni di anni continuiamo a correre.
Una disciplina rigorosa e l’ascolto incessante del proprio corpo
Oggi i runner vanno alla ricerca di una felicità che è fatta di leggerezza, di sottrazione. La corsa scava, prosciuga e non concede sconti. Il semplice gesto di rullare le gambe su strade d’asfalto, sentieri sterrati o prati erbosi ci riporta indietro nel tempo. Ci restituisce la sensazione di essere animali in libertà e ci allontana dalle maschere dietro cui ci nascondiamo tutti i giorni. In altre parole, ci riavvicina ai nostri progenitori.
Correre è una potente metafora della vita: non c’è vittoria senza dolore. E i podisti lo sanno bene. La maratona forse è la più vivida testimonianza di questo elogio della sofferenza. Perché fin dalla linea di partenza, tutti stiamo già aspettando il dolore. Non vediamo l’ora di sentirlo, dentro i muscoli, nell’intestino, nel cervello. Ha scritto Mauro Covacich, eccellente romanziere italiano e grande appassionato di corsa: «La maratona è una regola monastica (…) Resistere alla più alta velocità possibile per una strada così lunga è la cosa più bella che una mente umana possa produrre (…) Il maratoneta è un samurai senza spada». (A perdifiato, 2003).
La maratona è proprio una visione del mondo: non sono solo quei quarantadue chilometri da correre nel minor tempo possibile, è l’idea di resistere, di andare oltre. Chi l’ha corsa ha trovato la sua risposta. E ha smesso di domandarsi: perché corriamo?
Forse correre è libertà, anch’io sono un po’ pigra ma camminare mi piace molto, soprattutto se ho attorno panorami meravigliosi.
Riesco a correre solo se ho la musica giusta nelle orecchie. Altrimenti comincio a pensare troppo e la pigrizia prende il sopravvento. Il mio tapis roulant intanto piange da un pò di settimane… 😦
Leggo le tue parole, mi convinco che sono giuste, mi vien voglia di seguirle…e poi mi ricordo quanto sono pigra. Correre (come tutto, del resto) è sì questione di allenamento, ma soprattutto di forza di volontà. 🙂
Non vorrei apparire un fanatico spinto dal sacro fuoco del proselitismo, però lasciami dire: in genere nella vita sono piuttosto incostante e inoltre non mi definirei una persona dotata di grande forza di volontà. Eppure la fatica della corsa non mi ha mai spaventato. Anzi, più corro e più mi viene voglia di correre. Saranno le endorfine, non so… Provaci!
io ci sto arrivando lentamente, a piccoli passi, per pochi minuti.
Intanto cammino, molto velocemente, e macino chilometri su chilometri. Perché in fondo anche questa è fatica del corpo e liberazione totale della mente. Dovrei solo trovare più tempo per farlo 🙂
buon pomeriggio, che spero sia tutto di corsa, ma solo per chi corre!
per raggiungere la meta, ma il bello è mentre corri