Lo so, questo post parte con un titolo fastidioso. Se siete fra quelli che vogliono solo sentirsi raccontare che presto l’economia italiana tornerà a correre a gonfie vele, e che dunque torneremo tutti quanti, o quasi, a consumare come polli d’allevamento, be’ il suggerimento è di chiudere la pagina. Se invece vi annoverate fra quanti hanno deciso di sottrarsi alla tirannia del credito forzato e alla schiavitù della fabbrica dell’uomo indebitato, allora procedete pure.
È la sacralità della merce e del suo consumo ad essere entrata in crisi, più ancora della nostra economia. L’edonismo consumistico avviato con il boom di fine anni Cinquanta/primi anni Sessanta ha raggiunto il suo culmine negli anni Ottanta. Tale edonismo ha travolto e sostituito ogni altro valore del passato con l’unico principio perseguito e diffuso: il benessere. In realtà col trascorrere degli anni una fetta via via più ampia di popolazione si è resa conto che il termine benessere non svelava una sana prosperità, ma celava piuttosto un bisogno irrazionale di consumare. Difatti se da un lato la qualità della nostra vita progrediva grazie alla disponibilità di nuove tecnologie, dall’altro contemporaneamente regrediva a causa dell’assunzione di ritmi sempre meno naturali e dell’inquinamento dilagante dei luoghi in cui viviamo. Allora, seppure con lentezza, hanno cominciato a diffondersi comportamenti più equilibrati, attenti all’impatto ambientale e sociale dei nostri consumi. Poi, fra il 2007 e il 2008 è arrivata la crisi, prima finanziaria, poi produttiva, ora sociale. Una massa gigantesca di persone hanno cominciato a frenare i propri consumi: alcuni lo hanno fatto per necessità, altri per timore, altri ancora per contagio. A questo punto è entrata in gioco la variabile impazzita, il cosiddetto cigno nero, cioè l’elemento imprevedibile che muta gli scenari. Fra la massa di persone che hanno cominciato a ridurre i consumi è cresciuto gradualmente il numero di coloro che si sono interrogati sui propri comportamenti pregressi. In parole povere molti hanno cominciato a comprendere che quell’affannarsi per soddisfare futili desideri era totalmente privo di senso. O, ancor meglio, che quell’arrembante corsa ai consumi non serviva ad accrescere la propria felicità, ma semmai ad alimentare un sistema al cui interno solo pochi traevano benefici esagerati. L’omologazione culturale che Pier Paolo Pasolini ha denunciato con quarant’anni di anticipo ha prodotto un esercito di consumatori edonisti privi di qualsiasi facoltà raziocinante. Per di più questa folle e disperata rincorsa al superfluo è stata accompagnata dallo squallore e dal degrado delle condizioni culturali di ampie fasce di cittadini, giovani e meno giovani che si sono illusi di potersi affrancare dalla loro condizione di miserabili indossando scarpe e occhiali griffati oppure guidando un’automobile che il più delle volte assorbiva gran parte delle loro disponibilità economiche.
Ora, quando il presidente di confindustria o il capo del governo, e con loro una pletora di economisti, opinionisti, editorialisti, invocano la crescita, non stanno pensando a null’altro che alla perpetuazione di quello stesso sistema da cui molti di voi si sono già allontanati o stanno tentando di sfuggire. Un sistema che vuole ricondurvi come un gregge nell’ovile, e l’ovile che vi attende è rappresentato da luoghi infernali dove non saprete resistere al desiderio di acquistare, quasi fosse il solo modo conosciuto per dimostrare di esserci. Luoghi dove perlopiù si vendono merci scadenti, perché l’economia dei consumi facili predilige prodotti di bassa fattura, che si logorino in fretta o si possano migliorare continuamente. La tradizione, il valore artigianale, la cura per il bello sono considerate soltanto perdite di tempo nella società opulenta della crescita “illimitata”.
Tutto risponde a un disegno preciso, quello di farci ripiombare nel ruolo di stolidi consumatori perennemente indebitati. Questa sì, sarebbe la fine di un’Italia già sufficientemente avvilita e degradata, in preda al vuoto dei valori e all’assoluto permissivismo. Ma gli appelli e le bieche manovre sostenute dai banchieri di destra e di sinistra non hanno fatto i conti con il crescente numero di italiani desiderosi di non tornare nel branco. Per questo, spero, la nostra economia non si riprenderà. Perlomeno non come vorrebbero ‘loro’.
il titolo è fuorviante… e anche sull’analisi temo di non condividere il tuo “ottimismo” sui numeri della gente che non vuole tornare al produci-consuma-crepa.
Staremo a vedere
Hai ragione, ma per una volta ho scelto di sfoderare un sano ottimismo, che poi da molti sarà letto come pessimismo.
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io spero, con te, che l’economia malata del consumismo esasperato non si riprenderà. Ma a livello culturale c’è ancora tantissimo da fare.
Mauri possiede sensibilita’, buon senso e introspezione…Apprezzo e condivido il suo pensiero, purtuttavia confesso di disperare nel miglioramento della situazione generale del Paese, nonche’ del resto del mondo: con ripresa economica o senza! L’unico vettore al quale l’umanita’ si e’ aggrappata (ad eccezione di pochissime tribu’ ‘selvaggie’) e’ quello dell’espansione economica. Questa scelta si sta dimostrando non soltanto rovinosa per l’Uomo ed il Pianeta, ma senza possibilita’ di variare od invertire la rotta. Con rincrescimento, mi sento prossimo alle previsioni di Martin Rees ed anche, pur se ai piu’ appare una predica estrema, al primitivismo di John Zerzan. Il nostro arteficio imperante non e’ piu’ arrestabile…Lascio immaginare all’intuito del lettore l’inevitabile conseguenza per Noi e la Terra.
Quando leggo di economisti tutti affaccendati a calcolare/raccontare quanto tempo ci vorrà per tornare al pil del “tale” anno in cui si stava bene, inorridisco. Credono di essere la speranza degli ignoranti e non vedono la loro di ignoranza. Il disagio che si prova per la società assurda in cui abbiamo vissuto è segno di umanità e intelligenza, una risorsa, non un problema. Condivido quanto hai scritto completamente.
PERSONALMENTE, rispondendo alla tua domanda, vedo in giro negozi e imprese che chiudono, persone che restano disoccupate e le poche che lavorano tirano la cinghia, quindi credo che il peggio debba ancora arrivare, ma spero proprio di sbagliarmi……… ahimè temo quando si riprenderà quella mondiale, come le antilopi nella catena alimentare stan sotto a leoni anche qui l’italia sta sotto ai colossi che son crollati e che c’han trascinato giù. l’italia è insignificante, da sola non potrà mai fare nulla.