Nel mio post di ieri ho espresso un auspicio: che tutti noi italiani, me compreso, includessimo il proponimento di essere più educati. Qualcuno mi ha detto: Anche tu? Ne abbiamo già abbastanza di sacerdoti del bon ton…
Urge un chiarimento: il mio era un invito alla semplice “buona educazione” che è cosa differente dalle “buone maniere” di etichetta. Tutti conoscerete Lina Sotis, magari molti di voi apprezzano il suo lavoro. Da anni sul Corriere della Sera cura una piccola rubrica dedicata al “bon ton”, con la quale somministra agli italiani insegnamenti ispirati a un tale formalismo e a uno “stile” così rigido da sfociare nel ridicolo. La Sotis è vittima di quello snobismo borghese che vorrebbe perpetuare usi e costumi aristocratici, quando in realtà la stessa aristocrazia li ha abbandonati da tempo non dovendo affettare le “belle maniere d’antan” per sentirsi nobilita. Non è con quei sistemi che si può sperare di combattere la maleducazione.
Quali sono i comportamenti messi all’indice da Lina Sotis e i suoi emuli? I soliti: una gestualità eccessiva, come pacche sulle spalle, baci e grandi abbracci, un tono di voce troppo alto, i gomiti sulla tavola e via discorrendo. Che vi sia un imbarbarimento collettivo e l’asticella della buona educazione sia stata spostata in basso è un’osservazione condivisibile. C’è una volgarità dilagante, che permea il nostro modo di stare in mezzo agli altri, di educare i figli, di vestire, di parlare, di guidare. Ma le manifestazioni nemiche dell’ortodossia o moralmente dannose contro cui amano scagliarsi i maestri di bon ton in tutta onestà mi paiono peccatucci meritevoli d’indulgenza. Il ricorso a bacini e bacioni quando ci si saluta è un’usanza che a me provoca disagio, così appena riesco mi sottraggo e allungo il braccio proponendo una più gradevole stretta di mano. Ma me ne guardo bene dal considerare maleducato chi ad ogni costo mi vuole sbaciucchiare. A tavola non ho mai formulato a nessuno l’augurio di buon appetito e se qualcuno starnutisce non dico “salute”; però non impallidisco di rabbia se qualcuno lo fa, semplicemente rispondo: grazie. E di certo non annovero fra gli infrequentabili chi con semplicità usa queste formule benauguranti.
Per ragioni professionali che non starò a precisare, in passato mi è capitato di frequentare molte famiglie italiane di rango ben differente da quella da cui provengo: palazzi affrescati, maggiordomi e camerieri in guanti bianchi. Gente che esegue un millimetrico baciamano e sa bene come riporre forchetta e coltello. Tuttavia a tradirli era sufficiente lo sguardo commiserevole che posavano sul mio golfino di lana, appena acquistato al grande magazzino. E in un battibaleno secoli di buone maniere venivano trafitti, con la stessa forza con cui le tignole trapassano i loro cachemire.
Allora vi domando, dobbiamo considerare più screanzato un tatuaggio su un muscolo esibito oppure certi sguardi altezzosi nel vuoto? Una dialettica modesta, magari troppo colorita e strillata o invece certe loquele balbettanti e arrotate, sempre molto meditate, come se ogni parola la dovessero tirare giù dall’Olimpo?
La buona educazione per me sta nel mezzo. Si annida fra le persone solerte, frugali, a tratti silenziose, che non ostentano e che impongono ancora ai propri figli il rispetto di poche e semplici regole. Perché a differenza di quanto qualcuno crede, si può avere bon ton senza essere educati.
assolutamente d’accordo. la vita non è solo in salotto.
La parola chiave è “rispetto”. Non ci sarebbero stati fraintendimenti. A mio avviso, pochi avrebbero pensato ai gomiti sul tavolo come mancanza di rispetto verso gli altri, credo. E’ un problema di arroganza e non di formalità. In ogni caso, con il periodo che stiamo attraversando (che poi non è e non sarà purtroppo solo un “periodo”) preoccuparsi del bon ton aristocratico-borghese pare più un’allucinazione che un discorso sensato…:-)
Chi è Lina Sotis? Comunque concordo con te, basta con queste buone maniere da galateo, bisogna essere spontanei, mantenendo però sempre il rispetto per gli altri. E con spontaneità intendo che si dice “salute” solo se si vuole e se lo si considera un gesto cordiale, e non perchè lo dice o non lo dice un manuale.