Crollano i consumi. Ma non lasciatevi ingannare

Crollo dei consumi nel 2012 (-2,8%), la caduta peggiore dal 1997. Lo ha rivelato l’Istat e si è subito messa in moto la litania dei quotidiani. Premesso che l’affidabilità di queste indagini è assai dubbia, a marzo dopo l’ennesimo dato sui consumi in picchiata si era detto che si era tornati ai livelli del 2004, resta ferma la necessità di interpretare il fenomeno e soprattutto il paragone con il passato. Cosa significa essere tornati al 2004 o aver registrato il peggior dato dal 1997? Qual era la situazione dei consumi delle famiglie italiane in quegli anni? Provo a esercitare il compito che la gran parte dei giornalisti economici, sebbene profumatamente remunerati, non svolgono. La gran parte si limita a riprendere i dati e perfino i commenti rilasciati dai vari istituti di ricerca. Il risultato è quello che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi sfogliando i giornali: un lungo belato, uguale per tutti. Vi propongo un passaggio contenuto in una lezione di Mario Draghi, all’epoca Governatore della Banca d’Italia, tenuta nel 2007 all’Università di Torino. «La spesa pro capite per consumi è oggi più che raddoppiata rispetto al 1970. La sua crescita si è però fermata negli ultimi sei anni, dopo essere stata pari in media all’1,7 per cento nel corso degli anni Novanta. Dal 1990 la dinamica dei consumi è stata comunque assai più sostenuta di quella del reddito disponibile, il cui valore pro capite è rimasto sostanzialmente stazionario per tutto il periodo». Poche parole che spiegano molte cose. Innanzitutto che, tolta una breve parentesi fra il 1992 e il 1993, i consumi erano cresciuti ininterrottamente per 30 anni, per poi assestarsi negli ultimi 5 o 6. Questo aumento dei consumi peraltro è avvenuto pur in presenza di un reddito stazionario negli anni Novanta. E allora occorre porsi qualche domanda: non siamo stati scriteriati prima? Era così necessario spingere i consumi in assenza di un’adeguata crescita della ricchezza individuale? Spingere il credito al consumo fino ai livelli pre-crisi non è stato fortemente irresponsabile? Gran parte della stampa, indistintamente dal Corriere della Sera a Repubblica, passando per Il Giornale, La Stampa, Il Sole 24 Ore, Il Messaggero, Avvenire e Libero, si limita a lanciare allarmi e seminare il panico. Eppure basterebbe poco, forse soltanto un po’ di voglia di studiare, per analizzare in modo più approfondito i dati che vengono somministrati con generosità. Se rinunciamo a fare questo, non comprenderemo mai cos’è accaduto e men che meno dove stiamo andando. È la sacralità della merce e del suo consumo ad essere entrata in crisi, più ancora della nostra economia. Il cosiddetto consumo emotivo coinvolge una fascia di popolazione che si assottiglia di giorno in giorno. Se la nostra economia produttiva continuerà a proporre modelli di consumo indotti e si affiderà alla vecchia logica dello status symbol quasi certamente la regressione proseguirà. Gli anni ’80 hanno legittimato socialmente l’edonismo. La nostra vecchia cultura contadina improntata a valori come dovere, misura e sacrificio è stata soppiantata da una forma di individualismo narcisistico dominata dal desiderio di soddisfare ogni forma di piacere attraverso i consumi. L’edonismo per la verità non è un prodotto di quegli anni, perché già nel passato è stato al centro delle riflessioni di importanti scuole filosofiche; la differenza è che nel decennio dell’effimero è diventata una pratica, un obiettivo di massa, non più una suggestione filosofica di carattere selettivo o elitario. Nel nuovo edonismo il conseguimento del piacere si è trasformato in una delle motivazioni più addotte per giustificare gli acquisti. Per fortuna però l’homo ludens, quello che confonde i desideri con i bisogni, si sta rivelando una specie più debole dell’homo sapiens e per un semplice principio darwiniano sembra destinato a scomparire. In quali tempi non si sa, tuttavia una fascia sempre più ampia di popolazione si sta interrogando sul bisogno irrazionale di consumare. Molti di noi hanno cominciato a comprendere che affannarsi per soddisfare futili desideri è totalmente privo di senso e che l’arrembante corsa ai consumi non serve ad accrescere la nostra felicità. Tuttalpiù serve ad alimentare un sistema al cui interno solo pochi traggono benefici esagerati. Per queste ragioni l’esercito di consumatori edonisti privi di qualsiasi facoltà raziocinante si sta riducendo. Ora non vorrei peccare di ottimismo: vedo ancora in giro parecchia umanità che s’illude di affrancarsi dalla condizione di miseria intellettuale in cui versa indossando scarpe e occhiali griffati oppure guidando un’automobile che il più delle volte assorbe gran parte delle disponibilità economiche. E soprattutto vedo muoversi con aria minacciosa una pletora di economisti, politici e opinionisti che invoca la crescita. Tutto risponde a un disegno preciso, quello di farci ripiombare nel ruolo di stolidi consumatori perennemente indebitati. Ora spetta a noi resistere. Se lasciarci ricondurre nell’ovile, che è rappresentato da luoghi infernali dove tutto è studiato per indurci a soddisfare il desiderio di acquistare. Oppure non tornare nel branco. Se scegliamo questa seconda strada, il crollo dei consumi, perlomeno dei consumi generati dalla ‘fabbrica dell’uomo indebitato’, ci spaventerà assai meno di quanto vorrebbero loro.

2 risposte a "Crollano i consumi. Ma non lasciatevi ingannare"

  1. E’ stata la “cultura” dell’indebitamento, degli acquisti a rate, delle credit card ad annebbiare le menti e prosciugare i portafogli. Di chi non capiva (o non voleva capire) dove questo ci avrebbe portati: sull’orlo del baratro.

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