Un tifoso che ha seguito in trasferta la squadra del cuore sarà pronto a giurarvi che allo stadio si sentivano solo i cori del settore ospiti. Non perché sia andata effettivamente così, ma piuttosto perché lui, immerso tra i compagni, sentiva solo le urla a sostegno della propria squadra. Lo stesso accade a chi magnifica senza senso critico il ruolo di Internet, ormai decisivo secondo alcuni nel determinare successi e sconfitte elettorali, imprenditoriali e di ogni altro genere. Insomma decisivi nel determinare le sorti di un Paese. Chi trascorre la giornata su blog e social network finisce per convincersi che tutte le idee interessanti debbano passare per forza soltanto da lì. La televisione probabilmente ha perso parte della sua capacità di creare opinione e indirizzare il consumatore, ma arrivare a sostenere che è finita denota scarsa capacità di osservare la realtà. Secondo i più recenti rapporti, la televisione resta saldamente il medium preferito dagli italiani, con percentuali bulgare di utilizzo del mezzo (oltre il 95% per cento). Seguono radio, quotidiani e siti web. I telegiornali sono ancora considerati fonti tra le più affidabili (!?), e nelle preferenze dei connazionali prima di Google viene addirittura il Televideo. Bastano questi pochi dati per comprendere che l’Italia è spaccata in due: giovani e istruiti da una parte, anziani e poco istruiti dall’altra. Fatte salve le dovute eccezioni. I primi navigano con facilità sul Web, usano almeno un social network (e lo considerano strumento di democrazia), e non leggono un giornale nemmeno della free press. Gli altri sono fermi a Bruno Vespa, Affari tuoi e Mediashopping con il suo circo di materassi, frullatori e panche per gli addominali. Idolatrare i nuovi media in quanto portatori in sé del “vento che cambia” rischia di generare gravi errori di prospettiva: siamo in Italia, gente. Non dimentichiamolo.
Impossibile dimenticarlo…