Il 12 dicembre del 1821 nasceva Gustave Flaubert, uno dei più complessi romanzieri di sempre, capace di spaziare dalla cronaca di provincia (Madame Bovary), all’antichità esotica (Salambò ). Forse il più grande di tutti, almeno sotto l’aspetto puramente formale. L’estrema fiducia nelle potenzialità della sintassi l’aveva portato a confidare a Luoise Colet, sua musa, di voler scrivere addirittura “un libro sul nulla”, in altre parole un’opera che vive solo grazie alla forza interiore dello stile.
Flaubert in realtà non è stato solo uno scrittore immenso, ma anche un acuto indagatore della realtà. Prima di molti altri aveva conosciuto l’orrore del Moderno. «Dovessimo morire (e ci moriremo, pazienza) è necessario con tutti i mezzi possibili fare diga al flusso di merda che ci invade». Aveva già ai suoi tempi il dubbio che il mondo stesse danzando «non su un vulcano, ma su un’asse da cesso che mi ha l’aria di essere passabilmente marcia». Qualcuno si stupirà. Possibile che questa furia scatologica sia da attribuire allo stesso autore di capolavori come L’educazione sentimentale o Un cuore semplice?
Sì, è possibile. Del resto dove alberga il genio si nutrono anche le contraddizioni. Che poi in realtà paiono tali solo agli uomini comuni.
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