Gabriele Nissim, giornalista, saggista e storico italiano, ha affermato in un editoriale: “L’Italia ha molti difetti, ma non c’è un Paese d’Europa dove il giorno della Shoah sia così sentito”. Bene. In effetti quasi non c’è amministrazione comunale (piccola o grande) che non organizzi una ricorrenza pubblica per il 27 gennaio; e giornali, televisioni e testate online propongono servizi, interviste, reportage. Insomma, sembrerebbe proprio che almeno questa volta abbiamo fatto bene.
Ma per comprendere l’efficacia di una celebrazione occorre guardarsi attorno, cioè al di fuori dai luoghi stessi dove la ricorrenza si autoalimenta. Lo scorso dicembre nella trasmissione – quiz di Rai Uno, L’Eredità, è accaduto questo.
Ora molti di voi diranno: ma quei concorrenti non rappresentano l’Italia intera. Certo, ma è altrettanto vero che essi ne rappresentano una buona fetta. Se la Giornata della Memoria diventa solo un luogo in cui le istituzioni si specchiano, un’occasione per vuoti proclami politici e per celebrazioni a bassa partecipazione popolare, la trasmissione del passato nel nostro Paese continuerà a non funzionare. «Noi siamo un paese senza memoria»– constatava amaramente Pier Paolo Pasolini – ed aggiungeva: «Il che equivale a dire senza storia».
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