Renato Bazzoni. Tutta questa bellezza

Ieri, nel giardino di Villa Necchi Campiglio a Milano è stato presentato il libro intitolato Tutta questa bellezza. Si tratta di una raccolta selezionata degli scritti di Renato Bazzoni, edita da Rizzoli e curata da Antonella Cicalò Danioni. Renato Bazzoni (1922-1996), architetto, urbanista, paesaggista, fotoreporter e molte altre cose ancora, oggi è ricordato soprattutto per essere stato l’ideatore del Fai-Fondo Ambiente Italiano. Di lui ho parlato in questo post un anno fa, denunciando l’assurdo silenzio che il nostro Paese ha riservato alla sua nobile figura. L’iniziativa editoriale voluta dalla moglie Carla, che ha messo a disposizione l’archivio privato, sostenuta dal mecenatismo del prof. Egidio Marazzi e promossa dal Fai, ha in parte colmato questa lacuna. Renato Bazzoni Tutta questa bellezzaGli scritti scelti per questo libro mostrano innanzitutto la modernità del pensiero di Renato Bazzoni. Durante la presentazione, la curatrice del libro, entusiasta ed emozionata, ha sottolineato alcuni passaggi con cui Bazzoni commentò la crisi economica scaturita dallo schock petrolifero del 1973: il futuro fondatore del Fai confidava già allora che l’umanità sapesse approfittare della recessione per recuperare valori e principi perduti, come il rispetto della terra e un’economia più solidale. Sembra quasi superfluo annotare l’assonanza con le parole usate da molti opinionisti e commentatori in questi anni di profonda e violenta crisi, prima finanziaria e poi economico-produttiva.
Fra gli interventi che hanno scandito la conferenza è parso particolarmente centrato quello dell’attuale presidente del Fondo Ambiente Italiano, Andrea Carandini. Pur ammettendo pubblicamente di non avere mai avuto occasione di frequentare colui che fu l’iniziatore dell’avventura e che per due decenni ne è stato pensiero e muscolo, ha dimostrato di averne colto appieno lo spirito quando ha affermato che «Renato Bazzoni aveva la capacità di intraprendere fatti e non solo di denunciare misfatti». La laconicità del pensiero sintetizza in modo mirabile la stessa essenza del Fai. Sta proprio in questo la straordinaria e lungimirante intuizione di Bazzoni: a metà degli anni Settanta, in Italia non erano più sufficienti l’azione di denuncia, la protesta e l’indignazione.

Renato Bazzoni con Sandro Pertini

In una delle foto pubblicate in “Tutta questa bellezza” appare Renato Bazzoni con il presidente Sandro Pertini alla mostra “National Trust/Fai: esperienze a confronto”, 1984.

Con spirito pragmatico egli mise la cultura accanto alla disponibilità economica, sperando che in qualche modo avvenisse un’impollinazione incrociata. E il seme attecchì. Nel corso della serata, altri hanno ricordato come da quell’intuizione sia nata una realtà che oggi conta centinaia di collaboratori, migliaia di volontari e soprattutto un nucleo di beni architettonici e naturali strappati all’incuria e al degrado e restituiti al pubblico italiano e non solo. Un autentico miracolo in questo Paese che cade a pezzi sotto i colpi degli scandali, dell’abusivismo e dell’abbandono. Di Renato Bazzoni sono stati ricordati anche il contagioso entusiasmo e l’inconsueta generosità. Prova di quest’ultima resta il fatto che, a differenza di molti altri che hanno usato l’impegno ambientalista come trampolino di lancio per approdare ai più confortanti e soprattutto remunerativi scranni del Parlamento o dei consigli di amministrazione di grandi società pubbliche e private, Bazzoni è rimasto fino all’ultimo giorno della sua esistenza seduto alla scrivania della sua amata creatura, il Fai. Con il suo stipendio modesto, la sua utilitaria, il suo guardaroba dimesso e la sua semplice abitazione, che guardacaso era proprio di fronte gli uffici della Fondazione, quasi a volere perpetuare quella consuetudine di casa-bottega propria dei lavoratori indefessi, degli uomini che sanno intraprendere.
Riguardo all’entusiasmo contagioso credo che chiunque lo abbia conosciuto possa citare numerosi episodi. A cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta ho accompagnato Renato Bazzoni in giro per l’Italia a spargere i semi della speranza. Pochi ancora conoscevano il Fai, ma studiosi e imprenditori illuminati organizzavano conferenze nelle proprie città offrendogli la possibilità di illustrare il suo progetto. Bazzoni aveva moltissimo da raccontare e quando parlava produceva un magnifico fragore. Era convincente. La gente lo adorava. Alcune delle donazioni ricevute dal sodalizio negli anni successivi si devono a quegli incontri. Appena trentenne, io ero poco più di un ragazzo di bottega. Preparavo gli eventi, organizzavo gli spostamenti e alla fine sedevo in platea ad ascoltarlo insieme a tutti gli altri . Spesso i nostri erano autentici tour de force. Si partiva nel tardo pomeriggio da Milano, si raggiungeva la città di destinazione in serata e dopo la conferenza il più delle volte si ripartiva immediatamente perché l’indomani mattina c’erano nuovi appuntamenti che ci attendevano in ufficio. Accadde così anche quella sera a Lucca: partenza alle cinque del pomeriggio dopo una giornata di lavoro, viaggio con una breve sosta per rifocillarci, quindi l’incontro pubblico. Non si finiva mai presto, perché la gente era incuriosita, voleva saperne di più, poneva domande e lui con pazienza rispondeva a tutti, convinto che dietro a ciascuno di quei volti poteva celarsi un forte donatore o comunque un futuro grande amico del Fai. Erano già passate le undici di sera quando stavamo per rimetterci in viaggio. Non saremmo rientrati a casa prima delle due di notte, anche più tardi. Eppure già sapevo che lui, sebbene avesse quarant’anni più di me, sarebbe stato di nuovo in ufficio al mattino presto. «Peccato» mi disse mentre ci stavamo accomodando in automobile, «siamo a poche centinaia di metri da una delle più belle piazze italiane e ce ne andiamo ignorandola». «Quale piazza?» domandai rivelando senza pudore la mia ignoranza. Smontò dalla vettura e senza offrirmi possibilità di replica mi disse: «Andiamo a vederla, disgraziato!».
Renato Bazzoni era fatto così, non perdeva mai l’occasione per spargere i semi della bellezza, anche quando il terreno che aveva di fronte appariva arido. Ecco perché il titolo di questo libro – Tutta questa bellezza – suona quanto mai appropriato. La curatrice, Antonella Cicalò Danioni, ha voluto chiarire che era stato scelto ben prima che esplodesse il fenomeno de La grande bellezza, il film con cui Sorrentino ha riportato l’Oscar in Italia. Ha spiegato che attinge nientemeno che al teatro di Samuel Beckett, a quella che
 dalla
 critica
 è
 riconosciuta
 all’unanimità
 come
 la
 sua maggiore opera
  – Finale di partita dove Hamm, il cieco sopravvissuto alla guerra nucleare, affacciandosi alla finestra esclama: «Ma guarda! Là. Tutto quel grano che spunta! E là! Guarda! Le vele dei pescherecci! Tutta questa bellezza!». Che in Renato Bazzoni ci fosse anche una lucida follia è possibile. Del resto sono le persone con queste caratteristiche che di solito sanno guardare un passo più avanti di tutti gli altri. Ma è certo invece che pochi, pochissimi altri in Italia meritano quanto lui di vedere accostato il proprio nome al sostantivo femminile “bellezza”.

RenatoBazzoni - Fondo Ambiente Italiano

Renato Bazzoni nella chiesa del Monastero di Torba, la prima proprietà acquisita dal Fondo Ambiente Italiano, dove oggi sono tumulate le sue spoglie

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