Il fascino discreto della corruzione

Se Flaubert potesse aggiornare il suo Dizionario dei luoghi comuni, molto probabilmente aggiungerebbe “Corruzione: indignarsi contro”. I commenti rilasciati dalla gran parte dei politici in seguito alla scoperta da parte della Procura di Milano di una cupola che controlla gli appalti di Expo Milano 2015 sono pieni di doppiezza e fariseismo. “L’unica cosa da non fare è cancellare Expo. Sarebbe la più grande sconfitta per la democrazia, sarebbe come ammettere che l’illegalità ha vinto”, le dichiarazioni del presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, chiamato dal premier Matteo Renzi a seguire i lavori dell’Expo, riassumono il pensiero dei vai Lupi, Alfano, Maroni, Pisapia e tutta l’allegra combriccola di expoentusiasti. E così al grido di ‘Expo deve andare avanti’ rimetteremo la testa sotto la sabbia, almeno finché una nuova bufera giudiziaria non ci costringerà a rialzarla.
Non è davvero un caso se tra i dannati della V Bolgia dell’VIII Cerchio dell’Inferno Dante pone i corrotti (colpevoli di aver usato le loro cariche pubbliche per arricchirsi attraverso la compravendita di provvedimenti, permessi, privilegi) vicino agli ipocriti.
L’Italia è come l’alveare immaginato da Bernard Mandeville nella sua Favola delle api: prospera e si sviluppa grazie alla corruzione. Tutti lo sanno, compreso quelli che si indignano. I politici che rimproverano gli altri farebbero bene a guardare in casa propria. Forse esaminando la propria coscienza si vergognerebbero di protestare per ciò di cui sono anch’essi più o meno colpevoli. L’inclinazione a corrompere e a lasciarsi corrompere appartiene alla natura umana. Ma in molti di quelli che giungono al potere vi è addirittura qualcosa di grossolano e volgare: quasi stupiti di essere arrivati lì, pensano solo ad approfittare dell’improvvisa manna loro offerta. Di questi saccheggiatori che terrorizzano, corrompono e tesorizzano non ci libereremo mai. Non illudiamoci, siamo noi.

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