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Lettera aperta agli operatori dei call center

Un assedio, un autentico assedio. Sul telefono di casa e sul cellulare piovono telefonate dai call center per proporci ogni genere di mercanzia. Segno anche questo dei tempi, tempi incivili, s’intende. Il più delle volte non sapete come hanno fatto a scovare il vostro numero. L’avete custodito con cura, vi siete ben guardati dal farlo pubblicare su inutili elenchi, eppure… zac! piovono le telefonate. Di sicuro avrete dovuto lasciare il vostro numero di casa o di cellulare su qualche modulo e, non si sa come, o meglio si sa, eccome, da lì è finito fra le mani degli importunatori. Siete finiti. Rassegnatevi.

Fra i molestatori più attivi ci sono le società di telefonia, Telecom, Vodafone e via dicendo. Sono capaci di chiamarvi anche tre o quattro volte nello stesso giorno. Insopportabili!

Certo, c’è da provare pena se solo si pensa ai volti di chi c’è dietro quelle voci seccanti. Giovani, ma non solo, chiusi dentro stanze a vendere prodotti e servizi che neppure conoscono. Pronti a ricevere insulti, a sentirsi riattacare il telefono in faccia per decine, centinaia di volte al giorno. Ogni maledetto giorno.

Questa è la modernità, bellezza! Abbiamo smesso di usare le mani, nessuno più produce nulla, siamo tutti soltanto venditori e consumatori.

Ragazzi, ragazze, permettemi un consiglio: ribellatevi! Non accettate di lavorare come schiavi in un call center. Spiace doverlo dire in modo così schietto, ma non c’è nulla di dignitoso in ciò che state facendo. Fingere di riservare offerte speciali o di spacciare per omaggio ciò che in realtà si paga è spregevole. E se proprio siete convinti della bontà e della veridicità della vostra offerta, vi domando ugualmente: perché non rispettate il nostro diritto a non essere importunati fra le mura domestiche?

Non trovate null’altro di meglio da fare? Ingegnatevi, specializzatevi oppure imparate a fare uno dei tanti mestieri che nessuno vuole più fare e di cui c’è ancora bisogno. Avete bisogno di arrotondare? Prima di compiere il passo sbagliato, domandatevi se è davvero necessario. Forse qualche piccola rinuncia sarebbe sufficiente e vi risparmierebbe dall’onta.

Dipende da voi, siete la sola speranza. Questa ignominia non avrà mai fine per volontà delle aziende. Né per intervento del Garante della Privacy, forse il più inutile fra gli enti inutili. Ragazzi, ragazze, uscite da questo purgatorio che vi può condurre solo all’inferno. Cercate o inventatevi un vero lavoro.

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L’Italia crolla e gli asini ragliano

italia franaSembrerebbe quasi una maledizione divina, se non fosse che invece di divino in tutta questa storia c’è ben poco. Quella dell’Italia che frana e si sgretola è una tragedia tutta umana. Terribilmente umana. Non è altro che l’epilogo di una sciagura cominciata decenni fa con sindaci incompetenti e collusi, proprietari terrieri famelici, palazzinari aguzzini. Ovunque ci fosse un pezzetto di suolo da sfruttare in questo disgraziato Paese ci si sono buttati tutti, ma proprio tutti. Troppo facile fare oggi i moralisti. Ora paiono tutti consapevoli del fatto che si è costruito troppo e male. Spuntano ovunque facce di politici, commentatori, opinionisti e professionisti che denunciano lo scempio. Eppure tutti loro appartengono a schieramenti che hanno sostenuto e continuano a sostenere la speculazione, oppure lavorano per editori pubblici e privati che fino a ieri hanno ignorato le voci di chi, pochi, pochissimi, denunciavano i soprusi e i rischi, o ancora firmano progetti assassini.
Questa è l’Italia, la solita Italia. Dove sono scomparsi i fascisti dopo la caduta del regime, i forlaniani e i craxiani dopo tangentopoli, e ora, dulcis in fundo, i lottizzatori, i cementificatori, i devastatori di litorali e foreste, centri urbani e monumenti.
Non illudiamoci. Quelle che sentiamo e leggiamo in questi giorni sono solo parole vuote. Sono solo ragli d’asino che, come tali, non salgono in cielo. Mentre ci tocca ascoltare un ministro Udc che denuncia i condoni edilizi (!) e sopportare editoriali di gente che non ha mai letto una sola riga di Antonio Cederna, Renato Bazzoni o Giorgio Bassani e ora firma tutta tronfia pezzi colmi di retorica nella convinzione di avere scritto cose originali; mentre assistiamo esterrefatti a propagande governative che parlano di #italiasicura, fuori c’è una banda di malfattori, agguerriti come al solito, che saccheggiano città e campagne. Potenti gruppi finanziari stanno investendo decine, centinaia di milioni di euro in grandi opere che non servono a nessuno e in lottizzazioni gigantesche (venghino a Milano, siori, venghino!): il nostro capitalismo corrotto e arrettrato fonda ancora le sue fortune sul saccheggio del territorio. Siamo fermi al culto della doppia, anzi ormai terza e quarta carreggiata, delle “villette otto locali doppi servissi”.
L’Italia è un paese a termine. Un’espressione geografica dal paesaggio provvisorio, dove tutto si regge su un avverbio: questo tratto di campagna non è ancora edificato, quel centro storico è ancora abbastanza integro, questa collina non è ancora lottizzata. Tutto è precario, tranne una certezza, anzi due. Il peggio deve ancora venire. E gli asini continueranno a ragliare.

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Fate figli, anzi no

nascite

Allarme demografico: sovrappopolazione e culle vuote, due facce della stessa Terra

È una vecchia tesi, ma sempre nuova. Alan Weisman l’ha rilanciata con forza nel suo ultimo libro, tradotto in Italia da Einaudi, “Conto alla rovescia”. Il reporter e scrittore statunitense non usa mezzi termini: «Non voglio dare una sforbiciata selettiva a nessuno in vita oggi. Auguro a ogni essere umano sul pianeta una vita lunga e sana. Ma se non prendiamo il controllo e non caliamo di numero, senza brutalità, reclutando pochi nuovi membri della nostra razza affinché un giorno ci sostituiscano, sarà la natura a darci una bella pila di lettere di licenziamento». Weisman cita casi limite di sovrappopolazione come quello del Messico per invocare la pianificazione delle nascite e casi virtuosi come il Giappone, che non mette più al mondo bambini, ma finalmente può permettersi di liberare le cicogne nelle risaie. È un paradosso, simbolico e di fatto.

Almeno dal 1970 si levano allarmi sulla popolazione mondiale. Ma la situazione negli ultimi anni è cambiata e più studi dimostrano che il tasso di crescita è in calo; l’anno scorso l’Onu ha addirittura lanciato un allarme sulla crescita zero. Tuttavia c’è ancora chi sostiene che, se la popolazione mondiale continuerà a crescere al ritmo di un milione di persone ogni quattro giorni, la vita sul nostro pianeta non durerà a lungo: l’uomo non avrà abbastanza risorse per nutrirsi e finirà col danneggiare irreparabilmente ecosistemi e atmosfera. Ecco perché, secondo loro, è un dovere morale smettere di fare troppi figli.

I danesi sembrano avere interpretato alla lettera l’appello: l’anno scorso hanno messo al mondo solo 55.873 bambini, mai meno di così negli ultimi quarant’anni. La stessa Italia possiede uno dei più bassi livelli di fertilità di tutto il mondo, 1,38, che lo pone al 174° posto nella classifica stilata dall’Onu; secondo gli studiosi, per rimpiazzare una popolazione è necessario un tasso pari a 2,1 e comunque non si dovrebbe mai scendere sotto 1,5. Nell’Unione europea, a partire dalla metà degli anni Novanta, il numero di nati nel corso di un anno è di circa cinque milioni, mentre nel 1960 più di sette milioni di bambini vedevano la luce ogni dodici mesi. Seguendo questa tendenza l’Europa si ridurrà da 460 a 350 milioni di abitanti; le nuove dinamiche demografiche potrebbero far dimezzare perfino la popolazione di Cina e Russia entro il 2100. In Brasile la fertilità è scesa da 6,15 a 1,9, in India da 6 a 2,5. Perfino nell’Africa subsahariana è in calo: 4,66 figli ogni donna.

Un rapporto dell’austriaco International Institute for Applied System Analysis prevede che se ci stabiliremo su un tasso di fertilità pari a 1,5 nel 2300 sulla Terra ci saranno solo 1,5 miliardi di individui. Insomma, se la bomba demografica tormenta ancora parte del mondo, la crisi delle nascite è il lato oscuro del ricco modello occidentale, in particolare nord europeo. Che forse ha compreso come mantenere pulito il pianeta. Il rischio, però, è che “troppo progresso” ci trasformi in dinosauri.

Fonte http://www.rivistanatura.com