È una vecchia tesi, ma sempre nuova. Alan Weisman l’ha rilanciata con forza nel suo ultimo libro, tradotto in Italia da Einaudi, “Conto alla rovescia”. Il reporter e scrittore statunitense non usa mezzi termini: «Non voglio dare una sforbiciata selettiva a nessuno in vita oggi. Auguro a ogni essere umano sul pianeta una vita lunga e sana. Ma se non prendiamo il controllo e non caliamo di numero, senza brutalità, reclutando pochi nuovi membri della nostra razza affinché un giorno ci sostituiscano, sarà la natura a darci una bella pila di lettere di licenziamento». Weisman cita casi limite di sovrappopolazione come quello del Messico per invocare la pianificazione delle nascite e casi virtuosi come il Giappone, che non mette più al mondo bambini, ma finalmente può permettersi di liberare le cicogne nelle risaie. È un paradosso, simbolico e di fatto.
Almeno dal 1970 si levano allarmi sulla popolazione mondiale. Ma la situazione negli ultimi anni è cambiata e più studi dimostrano che il tasso di crescita è in calo; l’anno scorso l’Onu ha addirittura lanciato un allarme sulla crescita zero. Tuttavia c’è ancora chi sostiene che, se la popolazione mondiale continuerà a crescere al ritmo di un milione di persone ogni quattro giorni, la vita sul nostro pianeta non durerà a lungo: l’uomo non avrà abbastanza risorse per nutrirsi e finirà col danneggiare irreparabilmente ecosistemi e atmosfera. Ecco perché, secondo loro, è un dovere morale smettere di fare troppi figli.
I danesi sembrano avere interpretato alla lettera l’appello: l’anno scorso hanno messo al mondo solo 55.873 bambini, mai meno di così negli ultimi quarant’anni. La stessa Italia possiede uno dei più bassi livelli di fertilità di tutto il mondo, 1,38, che lo pone al 174° posto nella classifica stilata dall’Onu; secondo gli studiosi, per rimpiazzare una popolazione è necessario un tasso pari a 2,1 e comunque non si dovrebbe mai scendere sotto 1,5. Nell’Unione europea, a partire dalla metà degli anni Novanta, il numero di nati nel corso di un anno è di circa cinque milioni, mentre nel 1960 più di sette milioni di bambini vedevano la luce ogni dodici mesi. Seguendo questa tendenza l’Europa si ridurrà da 460 a 350 milioni di abitanti; le nuove dinamiche demografiche potrebbero far dimezzare perfino la popolazione di Cina e Russia entro il 2100. In Brasile la fertilità è scesa da 6,15 a 1,9, in India da 6 a 2,5. Perfino nell’Africa subsahariana è in calo: 4,66 figli ogni donna.
Un rapporto dell’austriaco International Institute for Applied System Analysis prevede che se ci stabiliremo su un tasso di fertilità pari a 1,5 nel 2300 sulla Terra ci saranno solo 1,5 miliardi di individui. Insomma, se la bomba demografica tormenta ancora parte del mondo, la crisi delle nascite è il lato oscuro del ricco modello occidentale, in particolare nord europeo. Che forse ha compreso come mantenere pulito il pianeta. Il rischio, però, è che “troppo progresso” ci trasformi in dinosauri.
credo che siano normali cicli: ormai gli europei e anche i nordamericani non sentono più la strenua necessità di procreare.
Io lo dico da tempo: fra 100 anni dovremo abituarci all’idea che molti degli italiani saranno di origine africana, asiatica o sudamericana, così come accadrà in altri paesi europei.
E la storia che fa il suo cammino, semplicemente