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Non è un paese per imprenditori

Ambiente: Squinzi a Letta, irrealistica riduzione 40% CO2

Gran Bretagna, Germania, Francia e altri 8 Paesi (tra questi l’Italia) stanno spingendo affinché il prossimo 22 gennaio in sede europea sia approvato un ulteriore inasprimento delle politiche anti-inquinamento: in sostanza si tratterebbe di alzare dal 20 al 40% il taglio delle emissioni di CO2 entro il 2030. I massimi rappresentanti degli imprenditori italiani sono insorti. Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha inviato una lettera al presidente del Consiglio, Enrico Letta, per chiedere di rivedere la posizione italiana. Interpellato al riguardo, Squinzi ha dichiarato con il ‘consueto ottimismo’ che un simile provvedimento «sarà catastrofico per la competitività del sistema manifatturiero italiano». Il Sole 24 Ore, che è il giornale di Confindustria, ha sostenuto la tesi del presidente degli imprenditori. In un breve articolo apparso sulla versione digitale di ieri è stato spiegato che “se l’arcigna Europa del rigore si agghinda con la camicia di forza dell’ambientalismo velleitario, per i Paesi in cerca di una via di fuga dalla recessione, come è l’Italia, non può che esserci prima paralisi, poi declino”. Quindi il suggerimento: “prima di firmare appelli autolesionisti con compagni di strada che nulla hanno da perdere (perché magari puntano sui servizi e non sulla produzione) meglio pensarci”. Quali sarebbero i compagni di squadra che puntano sui servizi e non sulla produzione? La Germania, per esempio!?!
Squinzi approfitta anche di questa situazione per chiedere il solito ‘aiutino’. Secondo il presidente di Confindustria, infatti, quello che serve è un sostegno alle imprese: «Auspichiamo che le decisioni che saranno assunte in sede europea in merito diano un segnale di sostegno alla competitività dell’industria e non penalizzino il sistema produttivo italiano». Francamente ne abbiamo le palle piene di queste aziende che chiedono e arraffano aiuti per poi mettere sotto scacco i lavoratori e i cittadini. Come non se ne può già più di sentire parlare di una ripresa alle porte, forse già in atto, ma di un’occupazione che non tornerà a crescere, almeno a breve. La posizione di una gran parte degli imprenditori italiani è efficacemente sintetizzata da una nota battuta di Ricucci. Tolti alcuni casi eccezionali, ne cito uno per tutti, Leonardo Del Vecchio, il nostro capitalismo nazionale da sempre è rappresentato  da nanismo congenito delle imprese, incapacità di diventare globali, intreccio con la politica. I percorsi biografici da veri industriali scarseggiano in Italia, esattamente come gli imprenditori disposti a rischiare in proprio. Si cerca piuttosto il potere, un ruolo di comando, visibilità e influenza politica. Sempre con i soldi degli altri. Le grandi famiglie capitaliste italiane sono sempre state così. Dall’avvocato in giù. Non hanno mai tirato fuori una lira di tasca propria per le aziende. 
Dal principio della crisi Confindustria ha scaricato tutte le colpe e le responsabilità sulla politica. Che quest’ultima sia colpevole è un fatto certo. Ma è altrettanto certo che le imprese hanno altrettanti scheletri negli armadi. L’elenco di aziende che hanno ricevuto aiuti e poi hanno delocalizzato sarebbe assai lungo. Eppure Squinzi si presenta in ogni occasione col cappello in mano, dichiarando a pie’ sospinto che le aziende sono «vicinissime alla fine». Dopo la spesa pubblica e la concorrenza sleale, il nuovo ostacolo si materializza nella lotta all’inquinamento. Che le imprese italiane, chi l’avrebbe mai detto?, non possono sostenere. E pensare che l’Italia dal 1990 ha ridotto le emissioni di gas serra del 6%, la Germania del 25%. Eppure l’economia in crisi è la nostra, non la loro. Insomma anche la green economy da noi resta una svolta sacrosanta solo nelle parole dei convegni. Naturalmente pagati con i soldi degli altri.