Oggi la home page del corriere.it è un’inquietante miscela di speranze e illusioni. Andiamo per ordine.
Titolo n. 1: L’amaro sfogo di Napolitano. Ricaricata l’arma delle dimissioni. Le dimissioni di Napolitano sono una delle condizione necessarie perché in Italia torni davvero a soffiare un vento nuovo. Ma non illudetevi, non accadrà.
Titolo n. 2: Rottamata sull’ultima corsa l’eterna candidata Finocchiaro. Di Renzi si può pensare tutto il peggio o tutto il meglio. In ogni caso nessuno può disconoscergli il merito di avere ridimensionato figure come quella di Anna Finocchiaro e Rosy Bindi. Ma non illudetevi, tra esponenti delle correnti tradizionali ed ex segretari del partito (presenti di diritto nella Direzione nazionale) il nuovo Pd sembra molto, molto meno nuovo.
Titolo n. 3: Telecom, come perdere un gruppo strategico nell’apatia generale. Tangenti, affaire Serbia, dossier illegali, truffe con carte sim fantasma, acquisizioni sospette, negli anni Telecom è stata coinvolta in una lunga serie di inchieste che non hanno risparmiato presidenti, manager e responsabili della sicurezza. Nessun cittadino mosso da buone intenzioni può desiderare che l’azienda resti in mano italiane. Ma non illudetevi, al Corriere le buone intenzioni non albergano più da tempo. Come in Telecom, del resto.
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Tra il dire e il fare c’è di mezzo il Quirinale
La rosa dei nomi per il Quirinale è ricca: Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Romano Prodi, Franco Marini, Anna Finocchiaro, Luciano Violante. A questi si sono aggiunti gli outsider mandati in orbita dal M5S di Beppe Grillo: Stefano Rodotà e Milena Gabanelli. Chi la spunterà? Difficile dirlo. Di una cosa però possiamo già essere certi. Fatta l’eccezione della giornalista di Report, con uno qualsiasi degli altri nomi il Quirinale è destinato a rimanere anche per i prossimi sette anni quella macchina mangiasoldi che ormai tutti conosciamo. In nome della trasparenza delle amministrazioni pubbliche, di recente anche il Colle ha deciso, per la prima volta nella sua storia, di rendere pubblico il bilancio di previsione. Così si scopre che la presidenza della Repubblica prevede di chiudere in pareggio il rapporto tra entrate e uscite, per una somma totale pari a 352.606.518 euro. Dei quali 228.500.000 a carico dei contribuenti italiani! Il Quirinale, non si deve mai smettere di ricordarlo, costa molto di più e ha molti più dipendenti di Buckingham Palace, dell’Eliseo francese e della Presidenza tedesca. Nel 2000 aveva 1.859 addetti civili e militari contro i 923 dell’Eliseo, nonostante il presidente francese abbia molti più poteri del nostro. Col risultato che mentre il Quirinale costava 151 milioni di euro, l’Eliseo ne costava 86. Negli anni successivi il personale è aumentato ancora di più, almeno fino al 2007, quando si è arrivati a 224 milioni di spesa complessiva. (Fonte, I costi della politica in Italia dell’Istituto Bruno Leoni). Dal 2008 a oggi il personale è stato ridotto. Tuttavia negli ultimi tre anni, nonostante si sia parlato tanto di spending review e a dispetto delle note diffuse dal Quirinale con le quali venivano annunciati tagli della spesa, la quota di 228 milioni provenienti dai fondi dello stato non si è ridotta di un centesimo.
Addio, Presidente Napolitano. Avanti il prossimo.