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Helle, il primo ministro biondo che sta facendo impazzire il mondo

I giornali di tutto il pianeta sono zeppi di foto che ritraggono il presidente degli Usa Barack Obama mentre fa il piacione con l’avvenente premier danese Helle Thorning-Schmidt durante un evento decisamente serioso come il funerale di Nelson Mandela. La moglie, Michelle, non sembra altrettanto divertita. Obama and Helle Thorning-Schmidt 1Attorno a sequenze fotografiche del genere per decenni hanno costruito la loro fortuna i tabloid scandalistici. Ora, grazie alle loro versioni online, anche i quotidiani più tradizionalisti vanno a nozze con queste frivolezze.  La Thorning-Schmidt pare piuttosto consapevole del proprio fascino e con noncuranza semina qua e là pose e gesti di apparente naturalezza, anche se qualche maligno insinua che siano invece sapientemente studiati a tavolino. Un’altra celebre scena che fece il giro del mondo fu quella della signora Thorning-Schmidt che, arrivando Thorning-Schmidt scarpaall’Eliseo a bordo dell’auto diplomatica, se ne uscì allungando la gamba e il piedino vezzoso dopo aver perso la scarpetta che giaceva silenziosa ma piena di significato a terra. 

Prima che tutto questo accadesse, un noto talent scout italiano aveva già posato il suo attento e rapace sguardo sulle grazie del primo ministro di Danimarca.

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Perché non amiamo l’Italia?

crollo del muro perimetrale della domus del Moralista

Chissà se i delegati del Touring Club Italiano e del Wwf avranno spiegato a Bersani la portata di ciò che ha fatto l’altro ieri Barack Obama. Il presidente Usa ha proclamato cinque nuovi monumenti nazionali: sono il Charles Young Buffalo Soldiers in Ohio, che preserva la casa del primo colonnello afroamericano, il First State in Delaware, che racconta la storia del primo Stato americano a ratificare la Costituzione, l’Harriet Tubman Underground Railroad in Maryland, che celebra la vita di un conduttore di treni e attivista per i diritti degli afroamericani, il canyon del Rio Grande del Norte in New Mexico e l’arcipelago San Juan Islands nello Stato di Washington.  “Questi siti onorano gli eroi pionieri, i paesaggi spettacolari e la ricca storia che hanno plasmato il nostro Paese straordinario. La loro nomina a monumenti nazionali fa in modo che possano continuare a ispirare e essere goduti dalle future generazioni di americani” ha affermato il presidente durante la cerimonia di proclamazione. Nel suo primo mandato Obama aveva già “promosso” altri quattro siti. La legge che permette la nomina di monumenti storici, l’Antiquities Act, fu istituita nel 1906 dal presidente Theodore Roosevelt.
Secondo uno studio della National Parks and Conservation Association, ogni dollaro investito nei parchi nazionali genera almeno quattro dollari di indotto. Negli Stati Uniti le attività ricreative all’aperto creano un giro d’affari annuo di 646 miliardi di dollari, dando lavoro a più di sei milioni di persone.
Ci rendiamo conto di cosa si potrebbe fare in Italia? Ce lo sentiamo ripetere in continuazione: siamo il Paese che conserva la più alta percentuale di beni culturali al mondo. Ma il modo in cui trattiamo tutto questo ben di Dio è sconfortante. C’è chi dice che il nostro è un problema di abbondanza. Troppi beni architettonici e paesaggistici, troppi siti archeologici, troppe opere d’arte da tutelare. Ma se non sappiamo neppure quanti sono! Non esiste oggi una catalogazione dei nostri beni, specialmente dei reperti archeologici. E per i grandi musei statali non esiste una stima del valore delle opere possedute. Molte delle quali restano chiuse nei magazzini. Serve sollevare ancora una volta lo scandalo della gestione di Pompei? In nessun altro luogo al mondo un’area archeologica tanto importante sarebbe abbandonata all’incuria e al degrado in modo così riprovevole. Da noi si aspetta il prossimo crollo prima di tornare ad occuparcene.
I nostri politici da anni ripetono al pari di scimmiette ammaestrate: “la cultura deve agire come volano reale per la crescita”. Ma la verità è un’altra: in Italia la cultura e la natura non sono viste come occasioni di sviluppo. Ci si strappa le vesti contro il vandalismo e contro i musei che non possono competere con quelli delle altre nazioni. Ma poi quando si tratta di investire, non si investe. I fondi per i beni artistici e culturali sono allo 0,19% della spesa pubblica. Eppure qui si parla di crescita. Quella vera!