Qualcuno prima o poi scriverà un libro o magari farà un film sulla “grande bolla” della comunicazione. È un tripudio di esperti e studiosi del linguaggio e dei processi comunicativi. Eppure mai come oggi le parole appaiono spesso prive di significato, consumate, fiacche, svuotate da un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Involucri vuoti. Nei telegiornali trionfano le frasi fatte. Sulle pagine dei giornali scorrono fiumi di parole che non parlano. Nelle pubblicità si ripetono slogan afoni. E le dichiarazioni dei politici sono costellate di formule fisse, che distraggono l’ascoltatore e denotano soltanto pigrizia e trascuratezza. Anche negli ambienti di lavoro la musica non cambia. È un tripudio di locuzioni letali e irritanti termini stranieri di cui ci si ammanta per sembrare più capaci.
Per tornare a essere ascoltati dovremmo rigenerare le nostre parole e restituire loro un senso. Ci sono problemi più importanti e urgenti, è vero. Manca il lavoro, ma non sarà certo con le parole vuote che ne creeremo di nuovo. La forma a volte è sostanza, soprattutto nel linguaggio.