0

I crediti poco chiari dell’ex ministro dell’ambiente Corrado Clini

Corrado-Clini-586x390

Con queste parole Greenpeace, Legambiente e WWF commentavano nel 2011 la nomina di Corrado Clini alla guida del Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio e del mare del Governo Monti, sì, quello che doveva salvare l’Italia, proprio quello.

“Al dottor Clini vanno le nostre congratulazioni per il prestigioso incarico che gli è stato conferito. Ci aspettiamo che il suo impegno nel gabinetto Monti possa segnare una svolta positiva e un cambio di direzione nelle politiche italiane sull’ambiente (…) Ci auguriamo che il nuovo ministro possa segnare una sostanziale discontinuità, per riuscire finalmente a battere gli interessi degli inquinatori, nell’interesse generale del Paese. Ci aspettiamo che da profondo conoscitore della macchina ministeriale, Clini possa restituire anche il ruolo e il profilo da protagonista che il Ministero dell’Ambiente ha perso negli ultimi anni e rilanciarlo come dicastero strategico per uscire dalla crisi economica, dando un vigoroso impulso alla green economy e affrontando seriamente il dissesto  idrogeologico”.

Alla luce delle notizie riportate oggi dal Corriere della Sera, «Appalti fasulli da 200 milioni. Così Clini si intascava il 10%» quelle parole suonano davvero strane. L’ex ministro, già coinvolto nell’indagine avviata a Ferrara, culminata con il suo arresto a giugno, arresti domiciliairi revocati un mese e mezzo dopo, ha attraversato quasi tutti gli episodi controversi e i tanti disastri ambientali in Italia, essendo stato direttore generale del Ministero dell’ambiente dal 1992 al 2011, carica a cui è tornato nel 2013, una volta cessata l’esperienza di ministro. Si è occupato, tra l’altro, della vicenda Acna di Cengio, dell’Enichem di Manfredonia e dell’Ilva di Taranto, tutti casi di cui c’è ben poco per andare fieri. Era anche già stato sfiorato dalle cronache giudiziarie tra il 1996 e il 1997, quando fu indagato dalla procura di Verbania per l’inquinamento prodotto da un impianto di incenerimento di rifiuti della società svizzera Thermoselect. Clini, difeso dall’avvocato Carlo Taormina, chiese ed ottenne di trasferire il processo al Tribunale di Roma. Dopodiché la sua posizione fu completamente archiviata. Si è occupato professionalmente di biocarburanti e di rifiuti. Riguardo a questi ultimi, i rifiuti appunto, è stato al centro pure di una vicenda oscura, all’epoca denunciata dai missionari comboniani e dal Corriere della Sera. Nel 2007, una società italiana, la Eurafrica, aveva proposto la redazione di un progetto per il risanamento della discarica di Dandora (a soli 8 chilometri dal centro di Nairobi, la più grande di tutta l’Africa orientale) pagato 700mila euro dal ministero dell’ambiente italiano. Secondo una denuncia presentata da padre Alex Zanotelli, un prete che a Nairobi ha speso una vita a fianco delle popolazioni più povere, quella società e quell’operazione presentavano moltissimi dubbi. Corrado Clini, che personalmente promosse il progetto come direttore del dicastero, rispose alle accuse dei comboniani con toni sprezzanti, scrivendo, dopo il blocco dell’intervento, una lettera a Paolo Mieli, allora direttore del Corriere, che si chiudeva così: “Forse disturbiamo “the lords of pauperty”, i cosiddetti benefattori di professione, che vivono sulla miseria dei disperati?”.
Ora, le indagini di queste settimane faranno il loro corso. Ma una domanda sorge spontanea: quali erano secondo le associazioni ambientaliste i crediti di Clini, tali da far loro sperare che avrebbe potuto restituire quel “ruolo e il profilo da protagonista che il Ministero dell’Ambiente ha perso negli ultimi anni e rilanciarlo come dicastero strategico per uscire dalla crisi economica”? Avete una risposta, anche di seconda mano?

2

Siamo in piena Zazite

zaza

Prima è arrivato il Corriere, che nell’intervista pubblicata lo scorso 12 settembre l’ha definito “l’uomo nuovo della nazionale”. Ieri si è accodato, strano per uno che di solito si chiama fuori dal coro, pure Giuliano Ferrara. Il direttore del Foglio si è speso in un autentico atto d’amore per lui, indicandolo come un nuovo tipo di italiano di cui il Paese ha bisogno. Lui è Simone Zaza, calciatore del Sassuolo, chiamato in Nazionale dal nuovo Commissario tecnico Conte. Vediamo quali sono i pregi che hanno fatto rapidamente salire le sue quotazioni:

1) non ha la patente. “Non ho mai avuto l’esigenza – ha dichiarato al Corriere. – Il mio migliore amico, Francesco, lavora qui vicino e mi porta in giro lui” (capirai! Pure io mi sarei liberato dell’auto da chissà quanto tempo se avessi l’amico chauffeur);

2) a cena preferisce andare con la mamma (tornano di moda i bamboccioni!);

3) è di Policoro (Matera). Embè, che razza di merito sarebbe?

Ferrara lo dipinge come un “orco angelicato”, un “ragazzone non carino, ma simpatico e amabile”. Per il Corriere addirittura è già il cocco d’Italia. Che palle! Siamo al solito personaggio montato ad arte dalla stampa. Serviva un anti-Balotelli, eccovelo servito. Non cascateci, vi prego! Zaza forse è un buon giocatore, magari anche un bravo ragazzo, ma se proprio sentite la necessità di un eroe, cercatelo altrove.

Zaza non ha il Cayenne e probabilmente non si gongola lungo le spiagge di Formentera con i boxer arrotolati sulle cosce. Però quella teoria di tatuaggi sulle braccia la vedo solo io?

0

Ogni popolo ha i quotidiani che si merita

Corriere.it ha rinnovato la veste grafica, ma non la linea editoriale. Ecco alcuni titoli (accompagnati da foto pruriginose) dalla homepage di oggi:

Nymph()maniac? I tagli e il sesso. Le cinque cose da sapere

Neoquarantenni a confronto, chi li porta meglio?

Alessia Marcuzzi e Paolo Calabresi, baci in pubblico

Cameron, Leslie e la «palpatina» sul red carpet

Mi piace: il lesbian kiss aiuta la carriera

Gran Bretagna: cerca l’iPhone in un tombino, rimane incastrata

Elle Macpherson: fisico da top a 50 anni

Aiuto! Consegnare prima possibile copiose dosi di bromuro in Via Solferino.

 

 

1

Maestri di stile? Sì, quello di Totò e Peppino

Allora, come tutti sappiamo oggi Matteo Renzi ha fatto visita ad Angela Merkel e corriere.it ha pensato bene di dare rilievo all’incontro commentando il look del premier italiano. «Renzi, gaffe nel look: il cappotto e l’abbottonatura storta» titola nel taglio alto dell’home page il sito del Corriere della Sera. Sì, in effetti Renzi si è presentato infagottato in un ridicolo cappotto per giunta abbottonato male. Ciò che lascia perplesso non è più neppure l’irrilevanza delle notizie di cui tratta il Corriere, quanto che pure nella facezia non riesce a centrare il bersaglio. Guardate le due foto sottostanti. Vi pare che il problema stia nel bottone allacciato all’asola sbagliata? O piuttosto nella ridicolaggine del cappotto da ufficiale della Wermacht? Ma chi pensava di dover incontrare Renzi, il feldmaresciallo Werner von Blomberg? E poi se proprio vogliamo buttarla sullo stile, tanto ormai in Italia sappiamo chiacchierare solo di cibo e di moda, ma chi diavolo ha tagliato questo orribile cappotto? Guardate  le maniche: o sono troppo corte quelle del cappotto o sono troppo lunghe quella della giacca. Che figura! Ma si può vestire peggio di un tedesco?!? Ebbene sì, Renzi c’è riuscito. Silvio, per l’amor di Dio, manda un sarto a ‘sto ragazzo.

RENZI ALL'ESAME MERKEL. TEDESCHI, 'PREMIER E' L'ANTI-RIGORE'Italian PM Renzi visits Berlin

1

Alleviamo Gattopardi

Ammazziamo il Gattopardo è un titolo roboante e riuscito, occorre riconoscerlo. Ma il nuovo libro di Alan Friedman  è soltanto un’operazione commerciale mascherata da scoop giornalistico. Tutto, ma proprio tutto puzza di bruciato. A partire dall’editore. Ma vi pare possibile che un libro dai contenuti davvero dirompenti, o addirittura rivoluzionari, venga pubblicato dalla casa editrice più compromessa e collusa con le classi dominanti e le strutte economiche e imprenditoriali manovrate da quelle stesse classi? Il Gruppo RCS è la “voce del padrone” e il suo quotidiano, il Corriere della Sera, lo stesso che, neppure tanto abilmente, ha distillato anticipazioni a scopo promozionale del libro di Friedman, è un’istituzione, è “la riserva editoriale della Repubblica italiana”.  Anzi è ancora qualcosa di più: è la casa dell’imprenditoria nostrana. Come è noto il Corriere non ha un editore, ma tanti azionisti di riferimento (tra gli altri Fiat, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Generali, Pesenti, Pirelli, Rotelli, Della Valle, Merloni, Unipol). Dentro al Patto di Rcs, che  ha ufficialmente governato il Gruppo dal 1984 fino allo scorso ottobre, Giovanni Bazoli, presidente di sorveglianza e padre di Intesa Sanpaolo, la prima banca d’Italia, azionista di maggioranza di Bankitalia, ha rappresentato (e tuttoggi rappresenta) il custode di un potere che parte dagli anni in cui c’era ancora l’Avvocato Agnelli e Fiat in Italia faceva il bello e il cattivo tempo e arriva ai giorni nostri, quello dello strapotere degli Istituti bancari e assicurativi. Ecco, domando un po’ a malincuore ai lettori che hanno tributato applausi soddisfatti al libro: ma davvero avete creduto, o peggio continuate a credere che vi siano state svelate verità fino a questo momento taciute? Davvero credete che dallo stesso allevamento che ha cresciuto, custodito e sfornato Gattopardi a ripetizione, piazzandoli nei gangli vitali della vita pubblica e privata italiana, sia improvvisamente sfuggita la pecora nera? Poveri illusi. Se provate a guardarlo da questa prospettiva, vi renderete conto che il titolo scelto da Friedman per il suo libro appare piuttosto irriverente, per non dire peggio, nei confronti di chi lo acquista e lo legge.
Il miglior commento a questa maldestra operazione commercial/editoriale l’ha twittato qualche settimana fa @fridaipse: “Ci dà lezioni di democrazia anche il doppiatore di Ollio, siamo davvero alle comiche”.
  

1

Non è giornalismo

Premio “Non è giornalismo” del 24 gennaio 2014 assegnato di nuovo a Corriere.it. Il quotidiano di via Solferino, che in passato vide fra le sue firme più prestigiose Eugenio Montale, Ennio Flaiano, Dino Buzzati e Pier Paolo Pasolini, oggi sembra essere diventato una succursale di Alfonso Signorini. Specchio dei tempi.

Buffon Seredova D'Amico

1

Non è giornalismo

Premio “Non è giornalismo” del 23 gennaio 2014 a Corriere.it che per il quarto giorno consecutivo insiste sui fatti privati di Andrea Pirlo. Né più né meno che come l’ultima rivista di gossip. E poco importa se a firmare queste righe è Maria Luisa Agnese, storica firma del quotidiano di via Solferino, ex direttore di Sette e Specchio della Stampa.

Pirlo

2

Brianza quale?

Pietosa, stucchevole e inutile appare la polemica innescata dal nuovo film di Paolo Virzì Il capitale umano. Breve riassunto per chi (beato lui) è all’oscuro dei precedenti. Il regista livornese, presentando il suo lavoro al quotidiano La Repubblica, ha definito la Brianza come un “paesaggio gelido, ostile e minaccioso”, fatto di “grumi di villette pretenziose”, di “ville sontuose dai cancelli invalicalibili”. Apriti cielo! Il primo a mostrare disappunto attraverso le pagine del suo blog è stato Andrea Monti, assessore provinciale della Lega Nord al Turismo e Sport. Il lumbard ha definito le dichiarazioni di Virzì «uno schiaffo, se non un insulto, a tantissimi brianzoli, che hanno costruito le proprie casette, grandi o piccole che siano, con la fatica e il sudore». In seguito è intervenuto anche il presidente della moribonda provincia MB, mentre all’assessore Monti non è parso vero di avere trovato il modo di ricevere tanta visibilità, così si è gettato a capofitto in uno scambio di tweet con Virzì, prontamente ripreso dalla stampa locale. Il tenore del dialogo è il seguente.

MONTI: «Scusi, ma Paolo Virzì chi?» (replica Monti citando Matteo Renzi)
VIRZI’: «Andrea Monti si dia un contegno, lei è un uomo delle istituzioni, lasci fare il buffone a noi gente dello spettacolo. Torni a bordo, caxxo!»

Partita un po’ in sordina, la vicenda ha poi ricevuto attenzione anche dalla stampa nazionale. Oggi corriere.it ospita un intervento di Alessandro Sala, che nel cognome sembrerebbe tradire confidenza con la Brianza, ma nei fatti dimostra di non conoscerla. Il post intitolato La Brianza arrivista del livornese Virzì. Che non esiste prende le distanze dal lavoro di Virzì, cita Porta, Parini e Manzoni (ma dimentica Gadda che già 50 anni fa parlava di Brianza profanata, la pagina della Cognizione del dolore che comincia con Di ville, di ville! piaccia o no va letta come una guida agli orrori) e passa dunque a descrivere l’anima autentica di quella terra (bontà sua, Sala poteva giusto scrivere per il Corriere, del resto nel suo breve profilo ammette di gironzolare per via Solferino da quando avevo 26 anni). In un crescendo di luoghi comuni, il giornalista sostiene che «Brianza sono le grandi aziende familiari», peccato che fra gli esempi cita Valli, ceduta già nel 2008 agli svedesi, e Caldirola, passata a una cordata di imprenditori piemontesi. Ma fa anche di peggio, quando scrive che «Brianza è la Silicon Valley italiana, con il polo vimercatese che mette insieme Siemens, St Microelettronics, Alcatel, Ibm». In verità Ibm se n’è andata da tempo, Alcatel già fortemente ridimensionata minaccia di farlo da anni e quella che un tempo era stata appunto ribatezzata in modo un po’ baldanzoso la Silicon Valley italiana si sta trasformando in un arido deserto.
Insomma Virzì nelle interviste di lancio del film ha ammesso almeno di non essere un conoscitore del territorio, e Alessandro Sala (chi?) dimostra di non essere da meno. Temo che nei prossimi giorni, il film esce nelle sale solo oggi quindi finora la polemica si è retta solo sulle dichiarazioni, sentiremo parlare spesso di Brianza. La maggior parte degli opinionisti che interverranno nel dibattito probabilmente non sapranno neppure indicare dove si trova. Eppure parleranno. Ora, di tutti i luoghi comuni, quello della Brianza fatta solo di capannoni industriali e villette di dubbio gusto proprio non mi è mai andato giù. La Brianza come capitale del kitsch è diventato da anni un cliché da proporre e riproporre in tutte le salse. Senza più domandarsi cosa ci sia di vero. Senza mai chiedersi se in Piemonte, nel Veneto, in Emilia o in molta parte del meridione ci siano meno brutture. Lo si ripete e basta. Come un mantra. Perché in fondo, a forza di ripeterlo, quello dell’opulenta Brianza sfigurata è diventato uno stereotipo divertente e rassicurante, col quale si assolve tutto il resto: le città dominate dalla criminalità organizzata, devastate da scelte urbanistiche criminali, prive dei più elementari servizi pubblici, sommerse dai rifiuti, traboccanti di edifici mai terminati e strade pavimentate in modo sommario. Questo è il vero viaggio allucinante che ognuno di noi può fare attraversando l’Italia da Roma in giù, non altri.
Ai “pazzarielli del tempo passato” (è un’espressione di Brera) piace additare la Brianza come simbolo del cattivo gusto, come il luogo che riassume il peggio del nuovo ricco. Questa terra, da cui sono nati il secondo tratto ferroviario italiano e la prima associazione degli industriali, effettivamente ha pagato a duro prezzo la propria crescita tumultosa. Ma non c’è niente in Brianza di così mostruosamente brutto e volgare che non troverete in qualsiasi altra regione italiana.

0

C’era una volta il Corriere della Sera…

Curioso articolo quello pubblicato oggi dal Corriere a firma di Aldo Cazzullo. “La fenomenologia dell’insulto in rete”, questo è il titolo roboante, prende spunto dalla vicenda riguardante le maledizioni gli insulti seguiti alla notizia sul malore di Bersani. Non voglio dilungarmi sulla vicenda. Sono state già state sprecate sufficienti parole di dubbia solidarietà all’ex segretario del Pd, pertanto mi affido a un sincero e rispettoso silenzio. Mi interessa invece soffermarmi sulle parole usate da Cazzullo per disegnare il mondo dei social: “Nel villaggio globale, che i social network hanno nello stesso tempo dilatato e rimpicciolito, (…) tutti parlano, molti gridano, minacciano, offendono; e non si capacitano che nessuno ascolti”. Apparentemente partecipe al disagio di chi si trova solo nell’immensa piazza elettronica, l’editorialista del Corriere in realtà mostra i muscoli di chi è ancora convinto di scrivere per il più importante e diffuso quotidiano italiano e getta uno sguardo sdegnato alla plebaglia che sgomita e fatica inutilmente tra blog, pagine Facebook e frattaglie varie. Senza accorgersi che sono proprio lui e il suo giornale a dirigersi a vele spiegate verso la solitudine. Nel 1995 il Corriere della Sera vendeva mediamente 650mila copie al giorno, nel 2013 ne ha vendute 350mila. Procedendo a questo ritmo il deserto si avvicina rapidamente, se solo salisse sulla sedia della scrivania Cazzullo scorgerebbe già le prime dune. Qualcuno potrebbe obiettare che a compensare il calo delle vendite cartacee interviene la maggiore diffusione delle copie digitali. Vero, ma la media di queste ultime è inferiore a 70mila, quindi comunque la si giri il principale quotidiano italiano ha perso circa il 40% dei propri lettori. Il declino inglorioso di un giornale e dei suoi giornalisti.

POTREBBE INTERESSARTI ANCHE:
https://alternativanomade.wordpress.com/2013/04/02/corriere-della-sera-la-caduta-degli-dei/

0

Ecomostri di ieri, oggi e domani

Ci sono molti giornalisti, specialmente fra le firme dei cosiddetti grandi quotidiani, per intenderci quelli che appartengono di diritto all’establishment dell’editoria bene e fanno sempre e solo informazione all’insegna di una presunta sobrietà, che scrivono articoli di parte spacciandoli per esempi di oggettività. La scorrettezza, è ovvio, non sta nel parteggiare, ma nel fingere di essere vestali della libera informazione.
Un esempio di questo modo di lavorare appare oggi nella colonna dei blog di corriere.it ed è firmato da Giangiacomo Schiavi, vicedirettore del Corriere della Sera. Il pezzo s’intitola Ponte Lambro: dove c’era un (eco) mostro ora giocano i bambini. Si parla di un parco che ha cancellato lo scheletro di un edificio. Da una parte i cattivi: i pali in cemento armato dell’albergo mai finito per i mondiali di calcio del ’90 e il Caf, il triangolo Craxi Andreotti Forlani. Dall’altra i buoni: un nuovo spazio per passeggiare e giocare e Ada Lucia De Cesaris, assessore all’Urbanistica del Comune di Milano cui è attribuito il merito di questo risanamento ambientale atteso da anni dai residenti e più in generale dai milanesi. 

Ora, il recupero di una parte di periferia, pur piccola che sia, è senza dubbio una buona notizia. Sorprende però che sia salutato con tanto entusiasmo, ignorando il fatto che in numerose altre zone della città si sta consumando suolo con gran voracità. Domando al vicedirettore del Corriere di domandare a sua volta al “tosto assessore comunale” Ada Lucia De Cesaris, “un assessore che della tutela ambientale ha fatto un punto di merito” cosa simboleggiano i mastodontici cantieri che stanno vomitando un’infinità di nuovo cemento sulla città di Milano. Sarebbe interessante saperlo. L’ecomostro di Ponte Lambro “simboleggiava l’assalto alla diligenza che per anni ha fatto scempio del territorio”, scrive Schiavi. Bene, siamo tutti d’accordo. Questo invece cosa rappresenta?

Porta Nuova

E quest’altro?

Cemento

E quest’altro ancora?

cantiere expo 2015 2

Magari il “tosto assessore” che ha dimostrato che “quando si vuole, si può fare”, se interpellato dal vicedirettore del Corriere potrebbe fornirci qualche spiegazione e aiutarci a capire come mai il nuovo “sacco di Milano” si sta consumando nel silenzio assoluto.
Schiavi chiude così il suo post: “Nel nostro Paese ci sono ancora tanti ecomostri (fisici e metaforici) da abbattere”. Anche in questo caso, come non essere d’accordo? Peccato che agli ecomostri fisici in attesa di essere abbattuti se ne stanno già affiancando molti altri, che forse il vicedirettore riconoscerà come tali solo fra vent’anni.

1

Da Napolitano a Telecom. Ma dentro la palude restiamo noi

Oggi la home page del corriere.it è un’inquietante miscela di speranze e illusioni. Andiamo per ordine.
Titolo n. 1: L’amaro sfogo di Napolitano. Ricaricata l’arma delle dimissioni. Le dimissioni di Napolitano sono una delle condizione necessarie perché in Italia torni davvero a soffiare un vento nuovo. Ma non illudetevi, non accadrà.
Titolo n. 2: Rottamata sull’ultima corsa l’eterna candidata Finocchiaro. Di Renzi si può pensare tutto il peggio o tutto il meglio. In ogni caso nessuno può disconoscergli il merito di avere ridimensionato figure come quella di Anna Finocchiaro e Rosy Bindi. Ma non illudetevi, tra esponenti delle correnti tradizionali ed ex segretari del partito (presenti di diritto nella Direzione nazionale) il nuovo Pd sembra molto, molto meno nuovo.
Titolo n. 3: Telecom, come perdere un gruppo strategico nell’apatia generale. Tangenti, affaire Serbia, dossier illegali, truffe con carte sim fantasma, acquisizioni sospette, negli anni Telecom è stata coinvolta in una lunga serie di inchieste che non hanno risparmiato presidenti, manager e responsabili della sicurezza. Nessun cittadino mosso da buone intenzioni può desiderare che l’azienda resti in mano italiane. Ma non illudetevi, al Corriere le buone intenzioni non albergano più da tempo. Come in Telecom, del resto.

1

Il silenzio dei colpevoli

angelo rizzoli corriere della sera

Angelo Rizzoli si è spento a Roma, al Policlinico, all’età di 70 anni. Il Corriere della Sera annuncia la notizia così: “Angelo Rizzoli, ex produttore cinematografico, è morto a Roma. Aveva appena compiuto 70 anni. «Era ricoverato da tredici giorni nell’unità intensiva coronarica al Gemelli. È morto questa notte tra le mie braccia» dice la moglie Melania”. Ma non vi pare che manchi qualcosa? Per desiderio di un’informazione corretta e completa non si sarebbe dovuto scrivere: ex produttore cinematografico ed ex editore del Corriere? Al Corriere invece non citano neppure il fatto, alla stregua di un argomento sul quale è opportuno tacere.
La vicenda umana e imprenditoriale di Angelo Rizzoli riassume tutti i mali di quest’Italia. È la sintesi di quell’intreccio fra imprenditoria assistita, finanza ed editoria che ha stritolato la nazione fino a ridurla allo stato attuale. Fra i nemici storici dell’ex editore del Corriere ci sono nomi impronunciabili, imprenditori e banchieri che nessuno poteva permettersi allora e neppure oggi di avere contro. Di Angelo Rizzoli ho parlato mesi fa in un mio post. Ma se siete interessati a conoscere la sua versione vi suggerisco di leggere l’intervista che ha rilasciato nel 2010 a Stefano Lorenzetto. Questo è uno stralcio: “Loro, i cavalieri bianchi senza macchia, sapevano bene che soffro di sclerosi multipla dal 1963. E che cosa può fare un malato con tre ordini di cattura sul capo, spogliato di tutto – reputazione, affetti, aziende, patrimonio, passaporto – e privato della libertà per più di 13 mesi, di cui tre passati in cella d’isolamento, neanche un giorno d’infermeria, né visite mediche, né cure specialistiche, sbattuto da un carcere all’altro, prima San Vittore, poi Como, poi Lodi, poi Bergamo, infine Rebibbia, allo scopo di fiaccarne il fisico e lo spirito? Può solo morire”.

3

Evidentemente ci sono donne e donne. Il caso di Mara Carfagna

mara-carfagna

Premetto che non provo, né mai ho provato alcuna simpatia umana e politica per Mara Carfagna. Tale sensazione è stata rinforzata anni fa, quando ebbi occasione di intervistarla. O meglio, concordai un’intervista con il suo ufficio stampa, all’epoca lei era ministro per le Pari Opportunità, ma tutto si risolse in una lunga attesa al termine della quale la Carfagna mi concedette solo pochi secondi per scusarsi: si era fatto tardi e lei doveva proprio andarsene. Fu comunque l’occasione per osservarla da vicino, per conoscere il suo entourage, le sue frequentazioni e il suo modo di interpretare il ruolo che ricopriva. Guardare da vicino un politico, osservare le sue movenze e i suoi sguardi, ascoltare le sue parole in modo diretto e non attraverso il filtro di una telecamera, insegna molte cose. In quell’occasione compresi che la dimensione politica di Mara Carfagna era davvero modesta e che il suo modo di atteggiarsi, altero e distante dalla gente, era davvero antico.
Nonostante ciò non ho mai smesso di provare indignazione per i toni beffardi che gran parte dell’informazione italiana, ma anche della classe politica e della gente comune, le ha sempre riservato. Mara Carfagna è stata dileggiata in più di un’occasione e su di lei circolano in rete maldicenze di ogni genere. Il più delle volte tanta ostilità non trae origine da un’attenta analisi di ciò che ha detto o fatto, e qui sì che occorrerebbe essere severi e intransigenti, bensì dall’accostamento della sua attuale figura di politico a quella precedente di soubrette. Per di più di soubrette giovane e avvenente. Per un ministro che ha posato senza veli non c’è ancora spazio in un’Italia bacchettona e retrograda, neppure se dovesse rivelarsi un genio. Intendiamoci, la Carfagna non è un genio, tutt’altro direi. Ma la sua intelligenza e la sua protervia nell’affermarsi personalmente non sono né minori né maggiori di quelle di tanti altri suoi colleghi o di tante altre altre persone che rivestono ruoli di primo piano nel mondo dell’imprenditoria, dello spettacolo o dello sport, e alle quali tuttavia non è destinato tanto astio.
L’ultimo vile attacco alla Carfagna si è consumato su Corriere.it di oggi. Un video con un breve commento, intitolato: E la Carfagna citò Einstein. Al telefono con Berlusconi, durante la manifestazione di Forza Italia a Napoli, la parlamentare del Pdl sfodera a sorpresa un frase del fisico tedesco: «Le grandi menti, le grandi persone hanno sempre ricevuto violenta opposizione da parte delle menti mediocri». È un evidente azzardo, si potrebbe anche dire una stupidaggine, o un suicidio politico. Paragonare Einstein a Berlusconi, perché questo la Carfagna ha voluto fare, è privo di alcun senso logico e compiuto. La grandezza di Einstein non ha eguali, o semmai questi vanno cercati nel mondo della scienza: Copernico, Darwin, Pasteur e pochi altri. Ma la viltà, e anche in questo caso credo si possa dire la stupidità del Corriere, sta nell’aver giocato sull’altro equivoco. Il paragone sciocco e irriverente fra Eintein e Berlusconi passa in secondo piano, perché i geni di Via Solferino trovano più divertente sottolineare l’inadeguatezza del primo accostamento, quello cioè fra il personaggio citato, Einstein appunto, e colei che lo cita, la Carfagna. Già, come a dire che con quella bocca lì non dovrebbe neppure permettersi di pronunciare simili nomi. Chiaro, no?

0

Antonio Polito, capitano coraggioso dell’Italia alla deriva

antonio polito

Udite, udite! Antonio Polito firma oggi uno dei suoi più coraggiosi editoriali sul Corriere della Sera, titolandolo nientemeno che “Il falò delle servitù”. Scrive Polito, giornalista miracolosamente sopravvissuto a ogni fallimento editoriale: “A questo il Porcellum ha ridotto il Parlamento: a un bivacco di subordinati”. Perbacco, che grinta! Che corazon!  A essere onesti in mezzo c’infila anche “e non solo a destra per la verità”, così accusando tutti, si sa, non si scontenta nessuno. Già, perché Polito è uomo navigato, giornalista di lungo corso, come amano definirlo certe agiografie compiacenti. Uno che ha fondato un giornale, Il Riformista, organo del partito (!) Le Ragioni del Socialismo (così da portarsi a casa un po’ di sovvenzioni pubbliche, ovviamente a carico nostro), poi trasformatosi in una strana cooperativa che faceva capo agli Angelucci (noti benefattori e cooperatori di mutuo soccorso). Un giornale che Polito ha lasciato una prima volta nel nel 2006, per lanciarsi nell’avventura parlamentare con la Margherita (no, dico, la Margherita! sì, sì avete letto bene, la Margherita, l’ex partito di Francesco Rutelli scioltosi come neve al sole dopo che il suo tesoriere, senatore Luigi Lusi, si era appropriato in modo indebito di 13 milioni), e che poi è tornato a dirigere nel 2008  con un progetto ambizioso: una foliazione molto più ampia e l’obiettivo di allargare la platea dei lettori. Ma dopo meno di tre anni il progetto è fallito: le copie in edicola erano circa duemila. Pochissimi lettori, ma ben quattro vicedirettori coadiuvavano il valente Polito, che naturalmente si è presto levato la polvere dai calzari ed è tornato in auge: oggi molti talkshow delle Tv italiane se lo contendono come una star e per di più figura fra il ristretto elenco dei prestigiosi editorialisti del prestigiosissimo Corriere della Sera. A Milano si direbbe: te capì el Polito? L’è propri un drito!
Ora, che pure il buon Polito tenga famiglia è diritto acquisito sul suolo italico, e quindi lasciamolo lavorare. Pagato e riverito da quello che un tempo è stato il maggiore quotidiano italiano, e va bene. Senza dover rispondere dei fallimenti editoriali e neppure dei soldi pubblici (pare 2,2 milioni di euro l’anno) che si è divorato con l’esperienza de Il Riformita, sì, va bene pure questo. Però, Polito El Drito, ci risparmi certe esibizioni di intrepidezza. Con quei baffetti da sparviero e l’aria da barbiere partenopeo impomatato non ha proprio il physique du rôle del cuore impavido.

1

Via Solferino: i barbari in casa

corriere della seraIl Comitato di redazione del Corriere della Sera è uscito oggi con un nuovo comunicato sindacale per denunciare lo stato di profonda crisi in cui versa l’azienda, lo potete leggere qui. In un passaggio viene formulata la seguente domanda: «Ma come possono azionisti come Fiat, Mediobanca, Intesa SanPaolo (il nucleo di comando della società) accettare che lo stato patrimoniale della Rcs venga saccheggiato come se il gruppo fosse alla disperazione?».
Le risposte sono due, semplici. Primo: il Gruppo è alla disperazione, peraltro come sottolineato dallo stesso Comitato di redazione in precedenti comunicati. È alla disperazione a causa dell’insipiente gestione che si è protratta per decenni, durante la quale le spese sono lievitate senza controllo elargendo compensi astronomici agli editorialisti per poche righe di commento e stipendi favolosi per i direttori, gli stessi che nel frattempo denunciavano l’immoralità del Paese. Milioni di euro spesi fra buonuscite e buonentrate per oliare il frenetico turnover dei manager, piani di ristrutturazione susseguitisi in continuazione senza che assurdi spechi venissero minimamente sfiorati. Ne ho parlato più diffusamente qui. La seconda risposta è ancora più semplice: Fiat, Mediobanca, Intesa SanPaolo sono il nucleo vitale di quell’imprenditoria e di quella finanza nazionale che hanno affossato nelle sabbie mobili l’intero sistema Italia proprio per poter continuamente saccheggiarlo a proprio piacimento e a totale soddisfazione dei propri interessi. Questo è ciò che accade da decenni, ma naturalmente questa è una storia che non avete mai letto e mai leggerete sul Corriere della Sera.

1

Regola numero uno: disinformare

Gianroberto Casaleggo ieri è intervenuto al Workshop Ambrosetti di Cernobbio. Per i pochi che non lo sanno precisiamo che si tratta di un appuntamento ormai  noto a livello internazionale: Capi di Stato e di Governo, massimi rappresentanti delle istituzioni europee, Ministri, premi Nobel, imprenditori, manager ed esperti di tutto il mondo si riuniscono ogni anno, dal 1975, per confrontarsi sui temi di maggiore impatto per l’economia globale e la società nel suo complesso. Per comprendere la qualità dei relatori è sufficiente ricordare che negli anni passati quasi nessuno dei “guru” che sono sfilati sulla passerella di Cernobbio ha saputo prevedere con il dovuto anticipo la crisi in cui siamo precipitati nel 2008 e dalla quale non siamo ancora usciti. Ma non è di questo che vorrei parlare, bensì di qualità dell’informazione. Casaleggio ha detto cose alla Casaleggio. Ha esordito dicendo: «Internet non è solo un altro media, è un processo di trasformazione». E ha anche aggiunto: «Giornali e tv sono lo strumento del potere, ma per fortuna declinano davanti al web». Per fortuna, dovremmo ripetere a gran forza tutti quanti. Per fortuna! E se qualcuno non è ancora convinto della fortuna che ci sta capitando addosso, ecco un esempio di come viene fatta l’informazione ai “massimi” livelli in Italia. Corriere.it titola il pezzo dedicato all’intervento dell’ideologo del M5S: «Casaleggio, mini show a Cernobbio. Monti: interessante. Brunetta: banale». L’articolo è corredato di alcuni video, fra cui quello in cui sono riportati i  commenti dei vari “big” che hanno assistito alla relazione. Quando compare Brunetta si sente un giornalista che gli domanda (testuali parole): «Le è piaciuto il discorso di Casaleggio?». Brunetta risponde (testuali parole): «L’ho considerato uno dei tanti discorsi che si sono sentiti oggi a Cernobbio, non tra i migliori per la verità». Incalza il giornalista (testuali parole): «Cos’è che non l’ha convinta? Che l’ha trovato banale, magari…». Si commenta da sé la professionalità di un giornalista che pone una domanda e anticipa una possibile risposta, ma leggete bene come ha replicato Brunetta: «Ma no, ho trovato cose che già sapevo». In sintesi il giornalista chiede: ‘l’ha trovato banale?’ e l’intervistato risponde: ‘ma no’. Titola invece il Corriere: «Casaleggio, mini show a Cernobbio. Monti: interessante. Brunetta: banale». Qui la prova di questo piccolo capolavoro di disinformazione.

1

Il “ruggito” del Corriere

Se c’è una cosa che mi ha sempre indignato del Corriere della Sera è quella consolidata abitudine di alzare i toni quando non si rischia niente, o poco. Quando il nemico è lontano il Corrierone diventa un leone, ma se si tratta di affrontare la battaglia in campo aperto al più si limita a zigare come un coniglio. Oggi ripropone l’antico vizio. Il caso è quello del segretario di Stato Usa John Kerry che nel 2009, allora era senatore del Massachusetts, si è seduto al tavolo per una cena con il presidente siriano, che ora paragona a Hitler. kerry assadLe foto son state pubblicate dal Daily Mail e il Corriere le ha ripubblicate con tanto di commento per mettere in luce l’imbarazzante posizione di Kerry. Gli italiani non hanno certo bisogno di attendere le parole del quotidiano di via Solferino per comprendere le contraddizioni della politica estera statunitense, la gran parte di noi si è fatta un’idea chiara su quanto è accaduto in questi ultimi anni, dall’Afghanistan alla Libia passando per l’Iraq. Sicché ci interesserebbe di più sapere, per esempio, cosa pensa oggi il presidente Napolitano di Bashar al Assad. Come è noto tre anni fa, dopo una visita a Damasco, conferì l’onorificenza al leader siriano per “gli sforzi per la pace”. giorgio-napolitano-assadSolo lo scorso anno ha ritirato l’onorificenza concessa. Un po’ tardi, visto che disordini in Siria vanno avanti da almeno 3 anni. Il sottosegretario Kerry ha cambiato idea in modo netto e ha accusato apertamente Assad di essere un delinquente e un assassino. Napolitano si è limitato a ritirare una medaglia concessa con troppa superficialità. Dall’alto della sua posizione il presidente della Repubblica potrebbe invece spiegarci se Assad, che prima era considerato il capo di Stato di una nazione indipendente e sovrana, è un dittatore sanguinario che massacra il suo popolo. Potrebbe, per esempio se il Corriere glielo chiedesse.

4

Fanfaronate estive sulla pelle arsa dei poveri italiani

Sentirete il premier Letta sproloquiare di ripresa alle porte, ma intanto il Pil continua a contrarsi. Sono di oggi i dati relativi al secondo trimestre del 2013, che registrano l’ottavo calo consecutivo.
Sentirete il ministro Bray fantasticare sul rilancio dei nostri beni culturali e paesaggistici; l’altro ieri ha dichiarato «Renderemo Sibari un bene d’eccellenza». Ma intanto in Liguria, solo per fare uno dei tanti esempi possibili, e sottolineo in Liguria, (non dunque nella martoriata, disgraziata e irreparabilmente persa Calabria) la celeberrima «Via dell’Amore», lo storico sentiero a picco sul mare che collega Riomaggiore e Manarola, nel Parco delle Cinque Terre, un luogo che quasi in ogni angolo del globo sarebbe trattato con la massima cura e attenzione possibili, resta chiusa dopo la frana che 12 mesi fa travolse e ferì 4 turiste australiane.
Questo non è l’unico Governo possibile, checché ne dicano i governanti stessi e i tromboni del Corriere della Sera, servili portavoce degli interessi finanziari e industriali favoriti da Letta&Co.
Questo è un governo, come del resto il precedente, e il precedente ancora, e il precedente ancora, che spegnerà le ultime, deboli speranze. L’Italia è un Paese aggrappato all’orlo del baratro con la punta delle dita. E su quelle dita danzano baldanzosi i nostri ministri. Mossi dai loro burattinai.

4

In guardia popolo, chi segue Grillo avrà la testa mozzata

Beppe-Grillo-

Punto primo: non ho votato M5S. Punto secondo: non voto da anni.
Ma più passano i giorni, le settimane, e più simpatia nutro per Beppe Grillo. Nonostante le gaffe dei deputati grillini e la spocchia dei capigruppo grillini. Nonostante indennità, diaria e rimborsi. Nonostante i dissidenti e i transfughi. L’Italia è un museo dei vizi, una scuola di depravazione, una sentina d’impurità, una nazione senza pudore né dignità, diceva Curzio Malaparte. E fino a prova contraria, i grillini sono italiani. Dunque incarnano qualità e i difetti di tutti gli italiani.
Ma la potenza di fuoco che quotidianamente viene messa in campo dai giornaloni e dal loro codazzo di opinionisti, editorialisti, trombettieri e tromboni delle larghe intese suscita più di un sospetto anche in un idiota come me. Per tutti questi commentatori Beppe Grillo è un settario e un irresponsabile. Loro che, con i loro grandi gruppi editoriali, da anni ci vendono come riforme ineluttabili la perdita dei diritti e della dignità sociale; che hanno difeso a spada tratta il Fiscal Compact e l’Europa dei banchieri e dei burocrati; che hanno esaltato prima l’agenda Monti come la sola via e ora il governo Letta come un’opportunità unica; che blaterano di povertà come si blatera di tutto ciò che risulta misterioso, esotico, nuovo, ma un precario o un disoccupato non l’hanno mai visto dal vivo; loro oggi sono uniti dall’odio verso Beppe Grillo. Perché? Perché non passa giorno senza che il Corriere della Sera e tutta l’editoria di finanza e di banca, di calcestruzzo e di cliniche, entrino in trincea?
Non vi fa un po’ impressione questo attacco generale espresso con titoloni e corsivi? Non trovate singolare che il “fior fiore” del giornalismo italiano tenda a convincere l’opinione pubblica che Beppe Grillo è tutto ciò che di peggio e terribile abbiamo oggi in Italia? Insomma, non vi inquieta un po’ questa militarizzazione? Dov’è finito il famoso mastino del Quarto Potere quando si tratta di far vedere i sorci verdi agli imprenditori italiani che fanno realizzare i loro prodotti nei Paesi in via di sviluppo a lavoratori (uomini, donne e bambini) pagati pochi spiccioli in assenza dei più elementari diritti? Eh, non hanno tempo né spazio da dedicare a queste bazzecole presi come sono ad azzannare i polpacci di Beppe Grillo. Fiato alle trombe, inizia l’editoriale unico dei gazzettieri multipli contro il comico! E alla domanda – perché? – rispondo pasolinianamente: Io so. Ma non ho le prove.
Insomma più passano i giorni da quel 25 febbraio, più la stampa italiana, almeno tutta quella parte, ed è tanta, che agisce come uno yorkshire di compagnia a chiunque detenga il potere, mi chiarisce le idee. In guardia popolo, chi segue Grillo avrà la testa mozzata.

8

Il cesso è sempre in fondo a destra. Anche su Corriere.it

Aveva proprio ragione Giorgio Gaber, “il cesso è sempre in fondo a destra”. Esaminiamo la colonna di destra di Corriere.it, versione online del celebre quotidiano, e scorriamola verso il basso. Ecco, in fondo a destra troviamo il cesso del giornalismo, e scusate se ho usato l’espressione giornalismo. Il mitico Corrierone, al pari di altri quotidiani, ha una suddivisione della home page piuttosto netta: sulla colonna (il termine è stato trasportato naturalmente dal cartaceo al digitale) di sinistra il giornalismo “serio” e su quella di destra il contenuto cosiddetto acchiappaclic. Una colonna ripiena di boxini-morbosi: Nicole Minetti in costume, Melissa Satta mentre fa la spesa, Rihanna mentre fa una qualsiasi cosa, video virali su YouTube, tatuaggi di qualsiasi tipo e foggia, strepitosi tacchi delle star, pettinature folli delle star, lifting delle star. Il contenuto di solito è proposto in forma di foto o video-notizia con breve testo a corredo, oppure direttamente come galleria fotografica con minime didascalie. Analizziamo nel dettaglio un singolo boxino-morboso di oggi: Miranda Kerr in topless (per sbaglio) sul set, galleria fotografica dell’incidente occorso  sul set di Miami alla supermodella, che  è rimasta, per sbaglio, in topless sul set di uno spot pubblicitario. Si è visto anche di peggio, di molto peggio sulla stessa home page di Corriere.it: sexy-interviste, scatti inguinali, pruriginosi sondaggi e di tanto in tanto non mancano immagini che occhieggiano al mondo fetish. Ora tutto questo non è condannabile di per sé. Fra persone adulte ciascuno è libero di leggere ciò che vuole, purché i contenuti e le immagini non travalichino il rispetto degli individui coinvolti. Sorprende però che il giornale della buona borghesia italiana sul web sconfini con tanta disinvoltura verso il più becero pettegolezzo. Sorprende ancora di più, e qui si arriva al punto, che lo stesso giornale pretenda di erigersi ad autorità morale e con i toni compiaciuti dei suoi editorialisti stigmatizzi i malcostumi italiani, quando poi, poche righe sotto, indulge senza ritegno al voyeurismo di bassa lega. È pur vero che la stampa italiana in tale direzione vanta illustri precedenti, basti pensare alla guerra dei nudi in copertina tra L’Espresso e Panorama negli anni Novanta. Qualcuno potrebbe far notare che anche altrove non si scherza. Ad esempio in Gran Bretagna i giornali di gossip spopolano. Vero, ma il problema da noi sta nella commistione tra alto e basso, nell’abbattimento del sacro muro di divisione tra notizia e gossip. Se aprite l’edizione web dei giornali più autorevoli di molti altri Paesi non troverete contenuti simili a quelli ospitati nelle nostre colonne di destra. Il New York Times, il Washington Post o il Guardian non offrono quelle immagini e quelle didascalie, anche se non sono certo privi di articoli sul mondo dello spettacolo. Da noi tutto invece è mescolato e frullato. Lo fa Corriere.it e lo fanno quasi tutti i “grandi” giornali. Tranne qualche rara eccezione, non c’è differenza tra quotidiani di qualità e tabloid, a differenza di quanto accade nel Regno Unito o negli Stati Uniti. Noi abbiamo un solo tipo di giornale. Un giornale con la pretesa di essere di qualità malgrado i titoli gridati, il pathos scandalistico e i rumors da portineria. Mi dite quale credibilità può avere il Corriere quando, nello stesso giorno, nella colonna di sinistra ospita contributi per denunciare la violenza contro le donne e favorire una cultura capace di rispettare il corpo femminile, e poi nella colonna di destra, in fondo, laddove c’è il cesso, abbonda in stranezze e nudità? 

P.s. Consentitimi un aggiornamento, ma Corriere.it è un pozzo senza fine di perle giornalistiche. Dopo che avevo già pubblicato il post, l’home page di oggi è stata aggiornata con questa notizia: Rihanna sul palco mima amplesso. Non siamo tanto a destra e nemmeno tanto in fondo, ma sempre di cesso si parla (con tutto il rispetto per Rihanna e i suoi fans).  

P.p.s. E di questa cosa ne pensate? “Gaza strip” In tanga e armate: le soldatesse che imbarazzano Israele. Alta scuola di giornalismo, sempre dal Corriere.it di oggi in costante aggiornamento di qualità. Forse più che di assetti e di quote, al prossimo Cda di Rcs dovrebbero parlare del progetto editoriale. Sempre che sia rimasto ancora qualcuno capace di farlo.

2

Corriere della Sera: la caduta degli dei

Corriere_della_Sera_via_Solferino

La crisi del Corriere della Sera e del Gruppo Rcs viene da molto lontano. La contrazione del mercato pubblicitario, la concorrenza delle testate online e la riduzione dei contributi pubblici hanno inferto  duri colpi allo storico quotidiano, ma le cause del dissesto sono anche altre. Soprattutto altre. Il piano triennale di ristrutturazione annunciato dall’amministratore delegato di Rcs, Pietro Scott Jovane, che prevede il taglio di 800 dipendenti (tra cui 110 giornalisti al Corriere su circa 350) e un netto ridimensionamento delle attività, ha aperto uno scontro aspro. Il Corriere della Sera non è soltanto un quotidiano, è un’istituzione, è “la riserva editoriale della Repubblica italiana” come ha scritto Paola Peduzzi in un articolo pubblicato sul Foglio di sabato 30 marzo. Ma è anche qualcosa di più: è la casa dell’imprenditoria nostrana. Continua a leggere

2

Angelo Rizzoli: legge fuorilegge?

 Tra nuovo pontificato, manovre per un nuovo governo e la crisi che morde, è difficile trovare spazio per altre notizie. Ma la vicenda di Angelo Rizzoli invoca attenzione. In breve: l’ex editore del Corriere della Sera travolto nel 1981 dallo scandalo P2 (dopo 25 anni di battaglie giudiziarie e la depenalizzazione del reato di bancarotta fraudolenta in amministrazione controllata ne è uscito assolto, ma nel frattempo, piccolo particolare, aveva perso la società Rizzoli-Corriere della Sera) si era reinventato imprenditore televisivo. Lo scorso 14 febbraio è stato di nuovo arrestato con l’accusa di aver provocato una bancarotta fraudolenta cagionando “con dolo e per il profitto personale” il fallimento di quattro società controllate. 
L’ex editore, 70 anni, soffre di sclerosi multipla, diabete mellito, cardiopatia (ha avuto un infarto), insufficienza renale cronica prossima alla dialisi, ipertensione arteriosa, pancreatite, una pregressa mielopatia che comprime il midollo cervicale e aggrava l’emiparesi del braccio destro. Tutto certificato dai medici curanti e riscontrato dalla perizia del gip. Corrado Zunino due giorni fa ha trattato la triste vicenda sulla prima pagina di Repubblica. Finito di leggere l’articolo, Ivan Scalfarotto si è immediatamente recato in visita ad Angelo Rizzoli, avvalendosi della facoltà che gli è concessa in quanto parlamentare, e ha poi pubblicato sul Post un intervento di cui riporto un passaggio “ Ora io non sono né un giudice né un medico. Ma mi ha fatto impressione vedere un uomo di quell’età e in quelle condizioni di salute essere rinchiuso in una struttura carceraria. Per la mia mente, per la mia coscienza, per la mia lontana ma amatissima formazione giuridica, la libertà personale dovrebbe essere qualcosa di cui non essere privati mai, salvo che non sia assolutamente indispensabile. Con gli occhi del profano, e senza voler entrare nel merito, non posso non dire che la situazione di Angelo Rizzoli mi è sembrata abnorme. L’attesa di 40 giorni per un interrogatorio che confermasse la necessità di lasciarlo dov’è ora, mi è sembrata troppo lunga”. 
Stamani il Giornale è tornato sulla vicenda con un articolo intitolato: “Rizzoli in carcere Ora anche il Pd grida alla barbarie“. Il deputato Verini del Pd ha commentato il caso usando lo stesso aggettivo di Scalfarotto: abnorme. Il sentimento di riprovazione per il trattamento riservato a Rizzoli quindi sembra ora condiviso da molte forze politiche. Qualche bontempone si è invece spinto a dire che Rizzoli è uno della casta, un potente che sa difendersi da solo e non ha certo bisogno del sostegno di onorevoli, stampa e di altri ancora.
Angelo Rizzoli è uno della casta? Mah! L’espressione casta a questo punto meriterebbe una revisione o forse, ancor meglio, sarebbe da gettare nella spazzatura insieme con tutte le parole di cui si abusa e che vengono svuotate di significato. Ad ogni modo l’intera vicenda umana e professionale di Rizzoli sembra dimostrare che non è mai stato un potente e non ha mai fatto parte della nomenklatura. Per carità ci avrà messo anche del suo per consolidare un destino di imprenditore mediocre e uomo sfortunato, ma la sensazione è che di spinte verso il baratro ne abbia ricevute molte. Il punto però non è questo. Ciò su cui ci si deve soffermare è altro: Angelo Rizzoli è un uomo vecchio e malato. Perché viene tenuto in carcere in queste condizioni? E perché in più di quaranta giorni, tanti ne sono passati dall’arresto, è stato interrogato solo una volta, e frettolosamente?
La vicenda di cui è protagonista Rizzoli assomiglia a quella di tanti vecchi film già visti. Oh, per carità, come si conviene in questi casi, ricorro anch’io alla formula di rito: ho la massima fiducia nel lavoro dei giudici. Ma mi vergogno anche un poco di vivere in un Paese così.

0

Mercati, maledetti mercati

A leggere i commenti sui giornali, a partire dal Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa e via via a scendere, sembra che la bontà di ogni scelta politica dipenda esclusivamente dal giudizio espresso dai mercati finanziari. Questi vengono considerati come attori economici neutrali, giudici spietati e inflessibili, ma imparziali, della credibilità e della reputazione di uno Stato sempre meno sovrano. Quand’è che i mercati finanziari hanno assunto questo peso specifico? Da quando rappresentano il senso comune? Da quando sono diventati l’espressione democratica ed efficiente delle scelte giuste?
Sempre più spesso di leggono frasi del tipo: “il provvedimento non piace ai mercati” oppure “i mercati bocciano la manovra” o ancora “attendiamo il giudizio dei mercati”. Chi diavolo sono questi misteriosi mercati? Ha scritto tempo fa Michele Serra su Repubblica: “Quando e dove è stato deciso che il loro giudizio conta più del giudizio dell’intera classe politica mondiale? Perfino i più esecrabili dittatori ci mettono la propria faccia, e a volte finiscono la carriera appesi a un lampione. Perché i mercati no?”. Continua a leggere