0

Ogni popolo ha i quotidiani che si merita

Corriere.it ha rinnovato la veste grafica, ma non la linea editoriale. Ecco alcuni titoli (accompagnati da foto pruriginose) dalla homepage di oggi:

Nymph()maniac? I tagli e il sesso. Le cinque cose da sapere

Neoquarantenni a confronto, chi li porta meglio?

Alessia Marcuzzi e Paolo Calabresi, baci in pubblico

Cameron, Leslie e la «palpatina» sul red carpet

Mi piace: il lesbian kiss aiuta la carriera

Gran Bretagna: cerca l’iPhone in un tombino, rimane incastrata

Elle Macpherson: fisico da top a 50 anni

Aiuto! Consegnare prima possibile copiose dosi di bromuro in Via Solferino.

 

 

1

Maestri di stile? Sì, quello di Totò e Peppino

Allora, come tutti sappiamo oggi Matteo Renzi ha fatto visita ad Angela Merkel e corriere.it ha pensato bene di dare rilievo all’incontro commentando il look del premier italiano. «Renzi, gaffe nel look: il cappotto e l’abbottonatura storta» titola nel taglio alto dell’home page il sito del Corriere della Sera. Sì, in effetti Renzi si è presentato infagottato in un ridicolo cappotto per giunta abbottonato male. Ciò che lascia perplesso non è più neppure l’irrilevanza delle notizie di cui tratta il Corriere, quanto che pure nella facezia non riesce a centrare il bersaglio. Guardate le due foto sottostanti. Vi pare che il problema stia nel bottone allacciato all’asola sbagliata? O piuttosto nella ridicolaggine del cappotto da ufficiale della Wermacht? Ma chi pensava di dover incontrare Renzi, il feldmaresciallo Werner von Blomberg? E poi se proprio vogliamo buttarla sullo stile, tanto ormai in Italia sappiamo chiacchierare solo di cibo e di moda, ma chi diavolo ha tagliato questo orribile cappotto? Guardate  le maniche: o sono troppo corte quelle del cappotto o sono troppo lunghe quella della giacca. Che figura! Ma si può vestire peggio di un tedesco?!? Ebbene sì, Renzi c’è riuscito. Silvio, per l’amor di Dio, manda un sarto a ‘sto ragazzo.

RENZI ALL'ESAME MERKEL. TEDESCHI, 'PREMIER E' L'ANTI-RIGORE'Italian PM Renzi visits Berlin

1

Non è giornalismo

Premio “Non è giornalismo” del 24 gennaio 2014 assegnato di nuovo a Corriere.it. Il quotidiano di via Solferino, che in passato vide fra le sue firme più prestigiose Eugenio Montale, Ennio Flaiano, Dino Buzzati e Pier Paolo Pasolini, oggi sembra essere diventato una succursale di Alfonso Signorini. Specchio dei tempi.

Buffon Seredova D'Amico

1

Non è giornalismo

Premio “Non è giornalismo” del 23 gennaio 2014 a Corriere.it che per il quarto giorno consecutivo insiste sui fatti privati di Andrea Pirlo. Né più né meno che come l’ultima rivista di gossip. E poco importa se a firmare queste righe è Maria Luisa Agnese, storica firma del quotidiano di via Solferino, ex direttore di Sette e Specchio della Stampa.

Pirlo

2

Brianza quale?

Pietosa, stucchevole e inutile appare la polemica innescata dal nuovo film di Paolo Virzì Il capitale umano. Breve riassunto per chi (beato lui) è all’oscuro dei precedenti. Il regista livornese, presentando il suo lavoro al quotidiano La Repubblica, ha definito la Brianza come un “paesaggio gelido, ostile e minaccioso”, fatto di “grumi di villette pretenziose”, di “ville sontuose dai cancelli invalicalibili”. Apriti cielo! Il primo a mostrare disappunto attraverso le pagine del suo blog è stato Andrea Monti, assessore provinciale della Lega Nord al Turismo e Sport. Il lumbard ha definito le dichiarazioni di Virzì «uno schiaffo, se non un insulto, a tantissimi brianzoli, che hanno costruito le proprie casette, grandi o piccole che siano, con la fatica e il sudore». In seguito è intervenuto anche il presidente della moribonda provincia MB, mentre all’assessore Monti non è parso vero di avere trovato il modo di ricevere tanta visibilità, così si è gettato a capofitto in uno scambio di tweet con Virzì, prontamente ripreso dalla stampa locale. Il tenore del dialogo è il seguente.

MONTI: «Scusi, ma Paolo Virzì chi?» (replica Monti citando Matteo Renzi)
VIRZI’: «Andrea Monti si dia un contegno, lei è un uomo delle istituzioni, lasci fare il buffone a noi gente dello spettacolo. Torni a bordo, caxxo!»

Partita un po’ in sordina, la vicenda ha poi ricevuto attenzione anche dalla stampa nazionale. Oggi corriere.it ospita un intervento di Alessandro Sala, che nel cognome sembrerebbe tradire confidenza con la Brianza, ma nei fatti dimostra di non conoscerla. Il post intitolato La Brianza arrivista del livornese Virzì. Che non esiste prende le distanze dal lavoro di Virzì, cita Porta, Parini e Manzoni (ma dimentica Gadda che già 50 anni fa parlava di Brianza profanata, la pagina della Cognizione del dolore che comincia con Di ville, di ville! piaccia o no va letta come una guida agli orrori) e passa dunque a descrivere l’anima autentica di quella terra (bontà sua, Sala poteva giusto scrivere per il Corriere, del resto nel suo breve profilo ammette di gironzolare per via Solferino da quando avevo 26 anni). In un crescendo di luoghi comuni, il giornalista sostiene che «Brianza sono le grandi aziende familiari», peccato che fra gli esempi cita Valli, ceduta già nel 2008 agli svedesi, e Caldirola, passata a una cordata di imprenditori piemontesi. Ma fa anche di peggio, quando scrive che «Brianza è la Silicon Valley italiana, con il polo vimercatese che mette insieme Siemens, St Microelettronics, Alcatel, Ibm». In verità Ibm se n’è andata da tempo, Alcatel già fortemente ridimensionata minaccia di farlo da anni e quella che un tempo era stata appunto ribatezzata in modo un po’ baldanzoso la Silicon Valley italiana si sta trasformando in un arido deserto.
Insomma Virzì nelle interviste di lancio del film ha ammesso almeno di non essere un conoscitore del territorio, e Alessandro Sala (chi?) dimostra di non essere da meno. Temo che nei prossimi giorni, il film esce nelle sale solo oggi quindi finora la polemica si è retta solo sulle dichiarazioni, sentiremo parlare spesso di Brianza. La maggior parte degli opinionisti che interverranno nel dibattito probabilmente non sapranno neppure indicare dove si trova. Eppure parleranno. Ora, di tutti i luoghi comuni, quello della Brianza fatta solo di capannoni industriali e villette di dubbio gusto proprio non mi è mai andato giù. La Brianza come capitale del kitsch è diventato da anni un cliché da proporre e riproporre in tutte le salse. Senza più domandarsi cosa ci sia di vero. Senza mai chiedersi se in Piemonte, nel Veneto, in Emilia o in molta parte del meridione ci siano meno brutture. Lo si ripete e basta. Come un mantra. Perché in fondo, a forza di ripeterlo, quello dell’opulenta Brianza sfigurata è diventato uno stereotipo divertente e rassicurante, col quale si assolve tutto il resto: le città dominate dalla criminalità organizzata, devastate da scelte urbanistiche criminali, prive dei più elementari servizi pubblici, sommerse dai rifiuti, traboccanti di edifici mai terminati e strade pavimentate in modo sommario. Questo è il vero viaggio allucinante che ognuno di noi può fare attraversando l’Italia da Roma in giù, non altri.
Ai “pazzarielli del tempo passato” (è un’espressione di Brera) piace additare la Brianza come simbolo del cattivo gusto, come il luogo che riassume il peggio del nuovo ricco. Questa terra, da cui sono nati il secondo tratto ferroviario italiano e la prima associazione degli industriali, effettivamente ha pagato a duro prezzo la propria crescita tumultosa. Ma non c’è niente in Brianza di così mostruosamente brutto e volgare che non troverete in qualsiasi altra regione italiana.

0

Ecomostri di ieri, oggi e domani

Ci sono molti giornalisti, specialmente fra le firme dei cosiddetti grandi quotidiani, per intenderci quelli che appartengono di diritto all’establishment dell’editoria bene e fanno sempre e solo informazione all’insegna di una presunta sobrietà, che scrivono articoli di parte spacciandoli per esempi di oggettività. La scorrettezza, è ovvio, non sta nel parteggiare, ma nel fingere di essere vestali della libera informazione.
Un esempio di questo modo di lavorare appare oggi nella colonna dei blog di corriere.it ed è firmato da Giangiacomo Schiavi, vicedirettore del Corriere della Sera. Il pezzo s’intitola Ponte Lambro: dove c’era un (eco) mostro ora giocano i bambini. Si parla di un parco che ha cancellato lo scheletro di un edificio. Da una parte i cattivi: i pali in cemento armato dell’albergo mai finito per i mondiali di calcio del ’90 e il Caf, il triangolo Craxi Andreotti Forlani. Dall’altra i buoni: un nuovo spazio per passeggiare e giocare e Ada Lucia De Cesaris, assessore all’Urbanistica del Comune di Milano cui è attribuito il merito di questo risanamento ambientale atteso da anni dai residenti e più in generale dai milanesi. 

Ora, il recupero di una parte di periferia, pur piccola che sia, è senza dubbio una buona notizia. Sorprende però che sia salutato con tanto entusiasmo, ignorando il fatto che in numerose altre zone della città si sta consumando suolo con gran voracità. Domando al vicedirettore del Corriere di domandare a sua volta al “tosto assessore comunale” Ada Lucia De Cesaris, “un assessore che della tutela ambientale ha fatto un punto di merito” cosa simboleggiano i mastodontici cantieri che stanno vomitando un’infinità di nuovo cemento sulla città di Milano. Sarebbe interessante saperlo. L’ecomostro di Ponte Lambro “simboleggiava l’assalto alla diligenza che per anni ha fatto scempio del territorio”, scrive Schiavi. Bene, siamo tutti d’accordo. Questo invece cosa rappresenta?

Porta Nuova

E quest’altro?

Cemento

E quest’altro ancora?

cantiere expo 2015 2

Magari il “tosto assessore” che ha dimostrato che “quando si vuole, si può fare”, se interpellato dal vicedirettore del Corriere potrebbe fornirci qualche spiegazione e aiutarci a capire come mai il nuovo “sacco di Milano” si sta consumando nel silenzio assoluto.
Schiavi chiude così il suo post: “Nel nostro Paese ci sono ancora tanti ecomostri (fisici e metaforici) da abbattere”. Anche in questo caso, come non essere d’accordo? Peccato che agli ecomostri fisici in attesa di essere abbattuti se ne stanno già affiancando molti altri, che forse il vicedirettore riconoscerà come tali solo fra vent’anni.

1

Da Napolitano a Telecom. Ma dentro la palude restiamo noi

Oggi la home page del corriere.it è un’inquietante miscela di speranze e illusioni. Andiamo per ordine.
Titolo n. 1: L’amaro sfogo di Napolitano. Ricaricata l’arma delle dimissioni. Le dimissioni di Napolitano sono una delle condizione necessarie perché in Italia torni davvero a soffiare un vento nuovo. Ma non illudetevi, non accadrà.
Titolo n. 2: Rottamata sull’ultima corsa l’eterna candidata Finocchiaro. Di Renzi si può pensare tutto il peggio o tutto il meglio. In ogni caso nessuno può disconoscergli il merito di avere ridimensionato figure come quella di Anna Finocchiaro e Rosy Bindi. Ma non illudetevi, tra esponenti delle correnti tradizionali ed ex segretari del partito (presenti di diritto nella Direzione nazionale) il nuovo Pd sembra molto, molto meno nuovo.
Titolo n. 3: Telecom, come perdere un gruppo strategico nell’apatia generale. Tangenti, affaire Serbia, dossier illegali, truffe con carte sim fantasma, acquisizioni sospette, negli anni Telecom è stata coinvolta in una lunga serie di inchieste che non hanno risparmiato presidenti, manager e responsabili della sicurezza. Nessun cittadino mosso da buone intenzioni può desiderare che l’azienda resti in mano italiane. Ma non illudetevi, al Corriere le buone intenzioni non albergano più da tempo. Come in Telecom, del resto.

1

Un Paese di chiacchieroni inconcludenti

“Dire molto per fare poco” titola un editoriale di Angelo Panebianco pubblicato oggi su Corriere.it. Questo è il passaggio principale: “Si aggiunga il vincolo che pesa su tutti i governi italiani: le nostre istituzioni premiano i poteri di veto, non il potere di decisione. Da qui la tradizionale politica degli annunci: «Faremo questo, faremo quello». Poiché, in realtà, si può fare poco, poiché c’è sempre qualcuno che può porre veti (si veda cosa è successo appena il governo ha cercato di mettere mano ai conti della Sanità), i governi, anziché fare, devono limitarsi a promettere che faranno”. Poche righe più avanti, l’editorialista prefigura già il declino dell’astro nascente Matteo Renzi: “Se non gli gettano la proporzionale fra i piedi forse vincerà le prossime elezioni. Magari riuscirà anche a stravincerle. E si troverà a seguire le orme di Berlusconi: grandi maggioranze, scarsi risultati”.
Tutto vero, tutto condivisibile. Diceva Talete di Mileto: “Gli dei hanno dato agli uomini due orecchie e una bocca, per ascoltare il doppio e parlare la metà”. Peccato, però, che ci abbiano concesso anche due mani, e in tanti si sono sentiti in diritto di scrivere, scrivere, scrivere… senza più ascoltare il Paese. Al Corriere ne sanno qualcosa. Oh, se ne sanno.

1

Regola numero uno: disinformare

Gianroberto Casaleggo ieri è intervenuto al Workshop Ambrosetti di Cernobbio. Per i pochi che non lo sanno precisiamo che si tratta di un appuntamento ormai  noto a livello internazionale: Capi di Stato e di Governo, massimi rappresentanti delle istituzioni europee, Ministri, premi Nobel, imprenditori, manager ed esperti di tutto il mondo si riuniscono ogni anno, dal 1975, per confrontarsi sui temi di maggiore impatto per l’economia globale e la società nel suo complesso. Per comprendere la qualità dei relatori è sufficiente ricordare che negli anni passati quasi nessuno dei “guru” che sono sfilati sulla passerella di Cernobbio ha saputo prevedere con il dovuto anticipo la crisi in cui siamo precipitati nel 2008 e dalla quale non siamo ancora usciti. Ma non è di questo che vorrei parlare, bensì di qualità dell’informazione. Casaleggio ha detto cose alla Casaleggio. Ha esordito dicendo: «Internet non è solo un altro media, è un processo di trasformazione». E ha anche aggiunto: «Giornali e tv sono lo strumento del potere, ma per fortuna declinano davanti al web». Per fortuna, dovremmo ripetere a gran forza tutti quanti. Per fortuna! E se qualcuno non è ancora convinto della fortuna che ci sta capitando addosso, ecco un esempio di come viene fatta l’informazione ai “massimi” livelli in Italia. Corriere.it titola il pezzo dedicato all’intervento dell’ideologo del M5S: «Casaleggio, mini show a Cernobbio. Monti: interessante. Brunetta: banale». L’articolo è corredato di alcuni video, fra cui quello in cui sono riportati i  commenti dei vari “big” che hanno assistito alla relazione. Quando compare Brunetta si sente un giornalista che gli domanda (testuali parole): «Le è piaciuto il discorso di Casaleggio?». Brunetta risponde (testuali parole): «L’ho considerato uno dei tanti discorsi che si sono sentiti oggi a Cernobbio, non tra i migliori per la verità». Incalza il giornalista (testuali parole): «Cos’è che non l’ha convinta? Che l’ha trovato banale, magari…». Si commenta da sé la professionalità di un giornalista che pone una domanda e anticipa una possibile risposta, ma leggete bene come ha replicato Brunetta: «Ma no, ho trovato cose che già sapevo». In sintesi il giornalista chiede: ‘l’ha trovato banale?’ e l’intervistato risponde: ‘ma no’. Titola invece il Corriere: «Casaleggio, mini show a Cernobbio. Monti: interessante. Brunetta: banale». Qui la prova di questo piccolo capolavoro di disinformazione.

8

Il cesso è sempre in fondo a destra. Anche su Corriere.it

Aveva proprio ragione Giorgio Gaber, “il cesso è sempre in fondo a destra”. Esaminiamo la colonna di destra di Corriere.it, versione online del celebre quotidiano, e scorriamola verso il basso. Ecco, in fondo a destra troviamo il cesso del giornalismo, e scusate se ho usato l’espressione giornalismo. Il mitico Corrierone, al pari di altri quotidiani, ha una suddivisione della home page piuttosto netta: sulla colonna (il termine è stato trasportato naturalmente dal cartaceo al digitale) di sinistra il giornalismo “serio” e su quella di destra il contenuto cosiddetto acchiappaclic. Una colonna ripiena di boxini-morbosi: Nicole Minetti in costume, Melissa Satta mentre fa la spesa, Rihanna mentre fa una qualsiasi cosa, video virali su YouTube, tatuaggi di qualsiasi tipo e foggia, strepitosi tacchi delle star, pettinature folli delle star, lifting delle star. Il contenuto di solito è proposto in forma di foto o video-notizia con breve testo a corredo, oppure direttamente come galleria fotografica con minime didascalie. Analizziamo nel dettaglio un singolo boxino-morboso di oggi: Miranda Kerr in topless (per sbaglio) sul set, galleria fotografica dell’incidente occorso  sul set di Miami alla supermodella, che  è rimasta, per sbaglio, in topless sul set di uno spot pubblicitario. Si è visto anche di peggio, di molto peggio sulla stessa home page di Corriere.it: sexy-interviste, scatti inguinali, pruriginosi sondaggi e di tanto in tanto non mancano immagini che occhieggiano al mondo fetish. Ora tutto questo non è condannabile di per sé. Fra persone adulte ciascuno è libero di leggere ciò che vuole, purché i contenuti e le immagini non travalichino il rispetto degli individui coinvolti. Sorprende però che il giornale della buona borghesia italiana sul web sconfini con tanta disinvoltura verso il più becero pettegolezzo. Sorprende ancora di più, e qui si arriva al punto, che lo stesso giornale pretenda di erigersi ad autorità morale e con i toni compiaciuti dei suoi editorialisti stigmatizzi i malcostumi italiani, quando poi, poche righe sotto, indulge senza ritegno al voyeurismo di bassa lega. È pur vero che la stampa italiana in tale direzione vanta illustri precedenti, basti pensare alla guerra dei nudi in copertina tra L’Espresso e Panorama negli anni Novanta. Qualcuno potrebbe far notare che anche altrove non si scherza. Ad esempio in Gran Bretagna i giornali di gossip spopolano. Vero, ma il problema da noi sta nella commistione tra alto e basso, nell’abbattimento del sacro muro di divisione tra notizia e gossip. Se aprite l’edizione web dei giornali più autorevoli di molti altri Paesi non troverete contenuti simili a quelli ospitati nelle nostre colonne di destra. Il New York Times, il Washington Post o il Guardian non offrono quelle immagini e quelle didascalie, anche se non sono certo privi di articoli sul mondo dello spettacolo. Da noi tutto invece è mescolato e frullato. Lo fa Corriere.it e lo fanno quasi tutti i “grandi” giornali. Tranne qualche rara eccezione, non c’è differenza tra quotidiani di qualità e tabloid, a differenza di quanto accade nel Regno Unito o negli Stati Uniti. Noi abbiamo un solo tipo di giornale. Un giornale con la pretesa di essere di qualità malgrado i titoli gridati, il pathos scandalistico e i rumors da portineria. Mi dite quale credibilità può avere il Corriere quando, nello stesso giorno, nella colonna di sinistra ospita contributi per denunciare la violenza contro le donne e favorire una cultura capace di rispettare il corpo femminile, e poi nella colonna di destra, in fondo, laddove c’è il cesso, abbonda in stranezze e nudità? 

P.s. Consentitimi un aggiornamento, ma Corriere.it è un pozzo senza fine di perle giornalistiche. Dopo che avevo già pubblicato il post, l’home page di oggi è stata aggiornata con questa notizia: Rihanna sul palco mima amplesso. Non siamo tanto a destra e nemmeno tanto in fondo, ma sempre di cesso si parla (con tutto il rispetto per Rihanna e i suoi fans).  

P.p.s. E di questa cosa ne pensate? “Gaza strip” In tanga e armate: le soldatesse che imbarazzano Israele. Alta scuola di giornalismo, sempre dal Corriere.it di oggi in costante aggiornamento di qualità. Forse più che di assetti e di quote, al prossimo Cda di Rcs dovrebbero parlare del progetto editoriale. Sempre che sia rimasto ancora qualcuno capace di farlo.