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Quindici anni di euro: disastro Italia

Sono trascorsi 15 anni dall’entrata in vigore dell’Euro. Euro-entusiati ed euro-scettici in tutto questo periodo si sono fronteggiati a suon di previsioni. I primi, decisamente più numerosi fra le istituzioni e le forze politiche, non è dato di sapere fra l’opinione pubblica poiché in Italia, a differenza di quanto accaduto in altri Paesi, non si è ritenuto di raccogliere il parere del popolo, hanno sempre sostenuto che l’euro avrebbe portato in Italia tassi di interesse più bassi, minore debito pubblico, stabilità finanziaria e maggiore crescita. Carlo Azeglio Ciampi, forse il maggiore euro-entusiasta, incontrando gli imprenditori italiani al Quirinale disse loro: «Ricordate quanto si pagava più di interessi rispetto ai concorrenti europei? Prima dell’euro lo Stato italiano era considerato un debitore meno affidabile di altri Stati. Ora siamo credibili quanto gli altri».
Secondo gli euro-scettici, invece, l’eurozona è soltanto il tentativo dei tedeschi di crearsi un mercato protetto, usando  gli strumenti delle quote e dei divieti per uccidere le economie di tutti gli altri paesi.
I cittadini hanno sperato, sbuffato, imprecato. E prima ancora di capire chi aveva ragione si sono trovati immersi in una delle peggiori crisi economiche della storia recente.
Nei giorni scorsi The Economist  ha pubblicato un grafico che mostra le variazioni del reddito pro capite – la quantità di PIL (prodotto interno lordo) mediamente posseduta dai cittadini di un determinato Stato, in sostanza un indicatore usato per misurare il benessere della popolazione – dal debutto dell’euro sui mercati finanziari a oggi. Il grafico comprende alcuni paesi che fanno parte dell’eurozona, altri che non ne fanno parte ma che sono nell’Unione Europea, altri extra-europei. I dati sono del Fondo Monetario Internazionale. Il pil pro capite della Germania, nonostante la crisi economica e la recessione,  è salito del 20%, quello dell’Italia è calato del 3%. 
Questi sono dati, il resto sono solo parole.

grafico-The Economist

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Bettino Craxi, le monetine, l’euro e la svendita dell’Italia

bettino craxi

Il 29 aprile del 1993 la Camera dei deputati negò l’autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi, inquisito dalla Procura di Milano nel corso di Tangentopoli. Il diniego provocò l’ira dell’opinione pubblica e fece gridare allo scandalo numerosi quotidiani. In aula ci furono momenti di tensione, i deputati della Lega e dell’Msi gridarono “ladri” ai colleghi che avevano votato a favore di Craxi. Alcuni ministri del governo Ciampi si dimisero in segno di protesta.
Il giorno seguente si svolsero manifestazioni di dissenso: alcuni giovani sostarono in piazza Colonna scandendo slogan contro il Parlamento; altri protestarono davanti alla sede del Psi in via del Corso. Ci furono anche manifestazioni del Movimento Sociale Italiano e del Pds. Migliaia di persone si radunarono in piazza Navona per ascoltare i discorsi del segretario Occhetto, di Rutelli e di Ayala. Una folla infine invase Largo Febo e attese Craxi all’uscita dell’hotel Raphael, che da anni era la sua dimora romana.
Quando l’ex segretario del Psi uscì dall’albergo, i manifestanti lo bersagliarono con lanci di oggetti, insulti e monetine. Quest’episodio, riproposto centinaia di volte dai Tg, fu preso come simbolo della fine politica di Craxi e di un intero periodo.
Il giorno successivo, ritagliai dalla prima pagina di un quotidiano la foto che ritraeva quel momento e l’appesi alla parete del mio ufficio di allora. Avevo sempre nutrito una profonda antipatia per Bettino Craxi, un’antipatia umana prima ancora che politica. Di lui non sopportavo i toni, le lunghe pause, quel modo un po’ teatrale di parlare alla stampa e agli astanti. Nella mia visione immatura e integralista della situazione italiana, Craxi rappresentava la peggiore espressione del potere.
Mi ci vollero anni per comprendere che la vicenda umana e politica di quell’uomo era assai più complessa di quanto avessi inteso fino ad allora. E mi vergogno ancora oggi per avere affisso quel ritaglio di giornale. Fu un gesto sciocco e vigliacco.
Il processo di revisione storica sulla figura di Bettino Craxi è tuttora in corso e la temperatura è sempre altissima quando di parla di lui. I fomentatori di odio che si arricchiscono attraverso la stampa nazionale e anche una parte della classe politica continuano a usare insulti non appena si evoca la figura di Craxi.
Non provo neppure a riassumere in queste poche righe l’esperienza craxiana, né intendo esprimere un giudizio politico sul suo percorso di segretario di partito, premier e statista. Il Psi in quegli anni degenerò e diede vita a una classe politica locale compromessa. Questo è un fatto che molti hanno potuto osservare. Tuttavia dipingere Craxi come un criminale è una caricatura stupida e inaccettabile. I suoi peggiori nemici si annidano a sinistra, sebbene Craxi sia stato indubitabilmente un politico di sinistra, nel solco della storia del socialismo riformista. Ha rivitalizzato il Psi, ha intuito prima di altri quanto l’Italia avesse bisogno di una modernizzazione economica e istituzionale, e su questo sfidò due grandi forze come la Dc e il Pci.
La storia di questi ultimi due decenni ha ampiamente dimostrato che il malcostume nelle vicende politiche italiane è così ben radicato da non poter essere estirpato mediante l’uso di simboli e capri espiatori. Non occorrono nomi, ma credo che ciascuno di noi possa elencare molti episodi al cui confronto le malefatte socialiste di quegli anni paiono furtarelli. In ogni caso non si restituisce la verità sul caso Craxi stando a ragionare se lui fu meglio o peggio, o come tanti altri. Di alcune cose però possiamo essere certi. La prima: tutta la classe politica italiana fu reticente e ambigua davanti al discorso che Craxi fece alla Camera e nel quale disse con parole crude che il problema del finanziamento illegale non riguardava soltanto il Psi ma l’intero sistema. La seconda: Craxi si assunse spesso la responsabilità di posizioni difficili e decisioni conflittuali, soprattutto nelle scelte internazionali. Chiudo riproponendo lo stralcio di una sua intervista rilasciata nel 1997, da due anni era considerato, per lo stato italiano, un latitante. Le sue previsioni in merito all’euro e all’Europa e alle conseguenze devastanti che avrebbero portato si sono dimostrate vere in forma drammatica. Attenzione, Bettino Craxi non fu mai un oppositore dell’idea di un’Europa unita. Anzi, più volte si espresse a favore di una grande Europa, ma dall’ampio respiro mediterraneo. Ecco, non vorrei scivolare nella fantapolitica, però è lecito interrogarsi, a distanza di anni, se un uomo con queste idee potesse sopravvivere alla forza ineluttabile dei poteri che si stavano affermando.