Premio “Non è giornalismo” del 24 gennaio 2014 assegnato di nuovo a Corriere.it. Il quotidiano di via Solferino, che in passato vide fra le sue firme più prestigiose Eugenio Montale, Ennio Flaiano, Dino Buzzati e Pier Paolo Pasolini, oggi sembra essere diventato una succursale di Alfonso Signorini. Specchio dei tempi.
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C’era una volta il Corriere della Sera…
Curioso articolo quello pubblicato oggi dal Corriere a firma di Aldo Cazzullo. “La fenomenologia dell’insulto in rete”, questo è il titolo roboante, prende spunto dalla vicenda riguardante le maledizioni e gli insulti seguiti alla notizia sul malore di Bersani. Non voglio dilungarmi sulla vicenda. Sono state già state sprecate sufficienti parole di dubbia solidarietà all’ex segretario del Pd, pertanto mi affido a un sincero e rispettoso silenzio. Mi interessa invece soffermarmi sulle parole usate da Cazzullo per disegnare il mondo dei social: “Nel villaggio globale, che i social network hanno nello stesso tempo dilatato e rimpicciolito, (…) tutti parlano, molti gridano, minacciano, offendono; e non si capacitano che nessuno ascolti”. Apparentemente partecipe al disagio di chi si trova solo nell’immensa piazza elettronica, l’editorialista del Corriere in realtà mostra i muscoli di chi è ancora convinto di scrivere per il più importante e diffuso quotidiano italiano e getta uno sguardo sdegnato alla plebaglia che sgomita e fatica inutilmente tra blog, pagine Facebook e frattaglie varie. Senza accorgersi che sono proprio lui e il suo giornale a dirigersi a vele spiegate verso la solitudine. Nel 1995 il Corriere della Sera vendeva mediamente 650mila copie al giorno, nel 2013 ne ha vendute 350mila. Procedendo a questo ritmo il deserto si avvicina rapidamente, se solo salisse sulla sedia della scrivania Cazzullo scorgerebbe già le prime dune. Qualcuno potrebbe obiettare che a compensare il calo delle vendite cartacee interviene la maggiore diffusione delle copie digitali. Vero, ma la media di queste ultime è inferiore a 70mila, quindi comunque la si giri il principale quotidiano italiano ha perso circa il 40% dei propri lettori. Il declino inglorioso di un giornale e dei suoi giornalisti.
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Ecomostri di ieri, oggi e domani
Ci sono molti giornalisti, specialmente fra le firme dei cosiddetti grandi quotidiani, per intenderci quelli che appartengono di diritto all’establishment dell’editoria bene e fanno sempre e solo informazione all’insegna di una presunta sobrietà, che scrivono articoli di parte spacciandoli per esempi di oggettività. La scorrettezza, è ovvio, non sta nel parteggiare, ma nel fingere di essere vestali della libera informazione.
Un esempio di questo modo di lavorare appare oggi nella colonna dei blog di corriere.it ed è firmato da Giangiacomo Schiavi, vicedirettore del Corriere della Sera. Il pezzo s’intitola Ponte Lambro: dove c’era un (eco) mostro ora giocano i bambini. Si parla di un parco che ha cancellato lo scheletro di un edificio. Da una parte i cattivi: i pali in cemento armato dell’albergo mai finito per i mondiali di calcio del ’90 e il Caf, il triangolo Craxi Andreotti Forlani. Dall’altra i buoni: un nuovo spazio per passeggiare e giocare e Ada Lucia De Cesaris, assessore all’Urbanistica del Comune di Milano cui è attribuito il merito di questo risanamento ambientale atteso da anni dai residenti e più in generale dai milanesi.
Ora, il recupero di una parte di periferia, pur piccola che sia, è senza dubbio una buona notizia. Sorprende però che sia salutato con tanto entusiasmo, ignorando il fatto che in numerose altre zone della città si sta consumando suolo con gran voracità. Domando al vicedirettore del Corriere di domandare a sua volta al “tosto assessore comunale” Ada Lucia De Cesaris, “un assessore che della tutela ambientale ha fatto un punto di merito” cosa simboleggiano i mastodontici cantieri che stanno vomitando un’infinità di nuovo cemento sulla città di Milano. Sarebbe interessante saperlo. L’ecomostro di Ponte Lambro “simboleggiava l’assalto alla diligenza che per anni ha fatto scempio del territorio”, scrive Schiavi. Bene, siamo tutti d’accordo. Questo invece cosa rappresenta?
E quest’altro?
E quest’altro ancora?
Magari il “tosto assessore” che ha dimostrato che “quando si vuole, si può fare”, se interpellato dal vicedirettore del Corriere potrebbe fornirci qualche spiegazione e aiutarci a capire come mai il nuovo “sacco di Milano” si sta consumando nel silenzio assoluto.
Schiavi chiude così il suo post: “Nel nostro Paese ci sono ancora tanti ecomostri (fisici e metaforici) da abbattere”. Anche in questo caso, come non essere d’accordo? Peccato che agli ecomostri fisici in attesa di essere abbattuti se ne stanno già affiancando molti altri, che forse il vicedirettore riconoscerà come tali solo fra vent’anni.
Beppe Grillo, Internet, le anime belle e i demoni
Ormai non passa giorno senza che editorialisti ed esperti di comunicazione digitale puntino il dito contro l’uso distorto di Internet compiuto da Beppe Grillo. L’accusa rivolta al leader del M5S è quella di consentire che il proprio blog e la propria pagina Facebook si riempiano di commenti diffamatori nei confronti di politici e giornalisti. Per provare in modo inconfutabile la compiacenza dell’ex comico (‘ex comico’ è un’espressione che non manca mai negli articoli dei detrattori) verso i toni populisti e fascistoidi (anche ‘toni populisti e fascistoidi’ è un’espressione molto in voga) alcuni si dilettano perfino a riportare nei propri articoli o nei propri post parte dei commenti lasciati dai lettori del blog di Grillo e non rimossi dallo stesso. Così tutti possono sapere, per esempio, che quando Grillo ha accusato Maria Novella Oppo, giornalista dell’Unità, di diffamare in modo costante e pubblicamente il M5S, i suoi seguaci e simpatizzanti hanno vergato in calce al post commenti di questo genere: “Che racchia. Pure raccomandata e sostenuta dai soldi pubblici” oppure “Vecchia baldraccona da strada” o ancora “È più bella che intelligente” e poi via con una sequenza impronunciabile di “Va a f…” e “Figlia di…”.
Ora vi domando: c’è qualcosa di più assoluto e immortale dell’eterno conflitto tra le anime pure e nobili, le anime ‘idiote’ dunque, per dirla con Dostoevsky, e le anime prosaiche, volgari e violente? Commenti come quelli appena riportati possiamo sentirli ogni giorno per strada. Perché la natura umana è fatta anche di questo, piaccia o no. Ovunque, nei peggiori bar di periferia come nei cosiddetti salotti buoni, si annidano persone sguaiate che sanno esprimersi solo in modo rozzo, formulare pareri grossolani e sentenziare scurrilità. Sono donne e uomini in carne e ossa. Esistevano prima che Grillo aprisse il suo blog e seguiteranno ad esistere e a spargere le loro lordure altrove anche qualora il blog di Grillo venisse chiuso o almeno censurato, come qualcuno auspica.
Margaret Thatcher nel 1987 definì l’African National Congress di Nelson Mandela una “tipica organizzazione terrorista”. E nei giorni scorsi, dopo la scomparsa del leader sudafricano, i suoi nemici si sono scatenati su Internet ricordando alcuni episodi sanguinari che ebbero come protagonisti sostenitori di MK, il braccio armato dell’African National Congress.
La nostra società è ipocrita. Si è assuefatta alla violenza fine a se stessa, quella narrata in forma compulsiva dai film e dai videogiochi, ma non sa accettare e riconoscere l’esistenza di una violenza che potremmo definire “nobile”, una violenza motivata dal senso di giustizia, o perlomeno tendente al giusto. Senza la quale quasi in ogni angolo del pianeta regnerebbero ancora dittature e soprusi di ogni genere. A questo rifiuto della violenza “positiva”, che talvolta può essere anche solo verbale, si unisce poi il cliché del politicamente corretto, che è la palude dentro la quale si vuole annegare ogni istanza di riscatto e di equità.
L’agire in modo pavido o, peggio ancora, calcolato di tante anime belle che scrivono sui quotidiani considerati vestali della libertà o che alimentano i propri blog di luoghi comuni con la speranza di essere notati dalla ‘grande’ editoria è ignobile almeno quanto lo sono gli insulti lasciati nei luoghi dalla rete Internet percorsi da Grillo.
Giornalisti attovagliati
Sono un giornalista, iscritto all’albo dal 1987. Ora sono indeciso. Non so se sentirmi più infuriato per gli attacchi alla stampa di Beppe Grillo o per la difesa della categoria compiuta oggi da Enrico Letta. Perché pariamoci chiaro, senza girarci tanto intorno. Grillo usa toni che spesso è difficile condividere, ma occorrerebbe anche smetterla una volte per tutte di fare le anime candide e sdegnarsi per qualche parolaccia o sobbalzare per il fastidio che spesso procura la verità. È vero o non è vero che in Italia c’è un esercito di giornalisti attovagliato con il potere? È vero o non è vero che i giornalisti dei grandi quotidiani, quelli in mano all’editoria della finanza e della grande industria ma che non disdegna i finanziamenti pubblici, costituiscono a loro volta una casta di privilegiati? È vero o non è vero che se lavori per decenni in un giornale che sopravvive soltanto grazie ai contribuenti dovresti avere perlomeno la prudenza, se non la buona educazione di non prendere per il naso i lettori sproloquiando sugli sperperi di questo disgraziato Paese? E, infine, qualcuno potrebbe spiegarmi per quale ragione un giornalista ha diritto di additare un politico e un cittadino non può fare la stessa cosa con un giornalista?
In guardia popolo, chi segue Grillo avrà la testa mozzata
Punto primo: non ho votato M5S. Punto secondo: non voto da anni.
Ma più passano i giorni, le settimane, e più simpatia nutro per Beppe Grillo. Nonostante le gaffe dei deputati grillini e la spocchia dei capigruppo grillini. Nonostante indennità, diaria e rimborsi. Nonostante i dissidenti e i transfughi. L’Italia è un museo dei vizi, una scuola di depravazione, una sentina d’impurità, una nazione senza pudore né dignità, diceva Curzio Malaparte. E fino a prova contraria, i grillini sono italiani. Dunque incarnano qualità e i difetti di tutti gli italiani.
Ma la potenza di fuoco che quotidianamente viene messa in campo dai giornaloni e dal loro codazzo di opinionisti, editorialisti, trombettieri e tromboni delle larghe intese suscita più di un sospetto anche in un idiota come me. Per tutti questi commentatori Beppe Grillo è un settario e un irresponsabile. Loro che, con i loro grandi gruppi editoriali, da anni ci vendono come riforme ineluttabili la perdita dei diritti e della dignità sociale; che hanno difeso a spada tratta il Fiscal Compact e l’Europa dei banchieri e dei burocrati; che hanno esaltato prima l’agenda Monti come la sola via e ora il governo Letta come un’opportunità unica; che blaterano di povertà come si blatera di tutto ciò che risulta misterioso, esotico, nuovo, ma un precario o un disoccupato non l’hanno mai visto dal vivo; loro oggi sono uniti dall’odio verso Beppe Grillo. Perché? Perché non passa giorno senza che il Corriere della Sera e tutta l’editoria di finanza e di banca, di calcestruzzo e di cliniche, entrino in trincea?
Non vi fa un po’ impressione questo attacco generale espresso con titoloni e corsivi? Non trovate singolare che il “fior fiore” del giornalismo italiano tenda a convincere l’opinione pubblica che Beppe Grillo è tutto ciò che di peggio e terribile abbiamo oggi in Italia? Insomma, non vi inquieta un po’ questa militarizzazione? Dov’è finito il famoso mastino del Quarto Potere quando si tratta di far vedere i sorci verdi agli imprenditori italiani che fanno realizzare i loro prodotti nei Paesi in via di sviluppo a lavoratori (uomini, donne e bambini) pagati pochi spiccioli in assenza dei più elementari diritti? Eh, non hanno tempo né spazio da dedicare a queste bazzecole presi come sono ad azzannare i polpacci di Beppe Grillo. Fiato alle trombe, inizia l’editoriale unico dei gazzettieri multipli contro il comico! E alla domanda – perché? – rispondo pasolinianamente: Io so. Ma non ho le prove.
Insomma più passano i giorni da quel 25 febbraio, più la stampa italiana, almeno tutta quella parte, ed è tanta, che agisce come uno yorkshire di compagnia a chiunque detenga il potere, mi chiarisce le idee. In guardia popolo, chi segue Grillo avrà la testa mozzata.
Corriere della Sera: la caduta degli dei
La crisi del Corriere della Sera e del Gruppo Rcs viene da molto lontano. La contrazione del mercato pubblicitario, la concorrenza delle testate online e la riduzione dei contributi pubblici hanno inferto duri colpi allo storico quotidiano, ma le cause del dissesto sono anche altre. Soprattutto altre. Il piano triennale di ristrutturazione annunciato dall’amministratore delegato di Rcs, Pietro Scott Jovane, che prevede il taglio di 800 dipendenti (tra cui 110 giornalisti al Corriere su circa 350) e un netto ridimensionamento delle attività, ha aperto uno scontro aspro. Il Corriere della Sera non è soltanto un quotidiano, è un’istituzione, è “la riserva editoriale della Repubblica italiana” come ha scritto Paola Peduzzi in un articolo pubblicato sul Foglio di sabato 30 marzo. Ma è anche qualcosa di più: è la casa dell’imprenditoria nostrana. Continua a leggere