1

Virzì e l’Italia profanata

il-capitale-umanoIl titolo di questo post, meglio chiarirlo subito, è preso in prestito dal libricino di Giampaolo Dossena, facente parte della Collana I Quaderni Di Palazzo Sormani, Gadda e la Brianza profanata. E con la Brianza chiudiamo qui.
Il capitale umano di Paolo Virzì presenta un microcosmo di umanità alle prese con la sopravvivenza materiale e morale. Ciò che conta non è dove risiede questa umanità; è importante invece un altro aspetto: nessuno esce vincitore. Certo, lo squalo della finanza alla fine consolida la sua ricchezza costruita sulla speculazione e perfino lo spregevole immobiliarista parvenu ottiene ciò che bramava. Ma la vera protagonista del film resta la miseria umana. Si sono sprecati i raffronti e le citazioni in questi giorni, come sempre accade quando una storia si mostra potente e fa parlare di sé. Nella vicenda umana di Giovanni Bernaschi e dei suoi soci come in quella di Dino Ossola riecheggiano lo stesso fascino perverso e corrotto e la stessa geografia della Commedia umana di Balzac. Non importa se il luogo si chiama Ornate Brianza. Comunque è quella terra di mezzo che non ha altro dio se non l’appartenenza a se stessa, altro valore che non sia il prezzo.
Quando Carla Bernaschi, la moglie del cinico speculatore, afferma: “Avete scommesso sulla rovina di questo Paese e avete vinto”, il marito replica subito: “Abbiamo, cara”. Sta proprio in questo “Abbiamo, cara” la sintesi del Virzì-pensiero. Nessuno è innocente. E non solo all’interno della famiglia Bernaschi.
Fra gli italiani cresce, seppure lentamente, questo senso di correità. Francesco De Gregori, ospite lo scorso dicembre a Che tempo che fa, a Fabio Fazio che gli domandava se c’è ancora la possibilità di riparare l’Italia ha così risposto: “Questo Paese è ridotto veramente malissimo, credo che quello che dobbiamo dirci un po’ tutti è che nessuno è innocente”. L’applauso del pubblico è partito con qualche secondo di ritardo. E De Gregori ha rincarato la dose: “Non credevo di aver detto qualcosa di così popolare”.
Ne Il capitale umano nulla sfugge all’occhio attento di Virzì. Nell’intimità umana e domestica emergono i vizi di tutti, non solo quelli dei ricchi e potenti, ma anche quelli della borghesia smaniosa di ascendere e delle classi meno abbienti che non sfuggono all’imperioso mistero della miseria e della fragilità umana. Lo zio sfaccendato e scroccone che sfrutta e metti nei pasticci il nipote Luca è un omuncolo non meno spregevole del mago della finanza o dell’immobiliarista da strapazzo. Anche i personaggi minori sono mediocri e tragici nelle loro grottesche ambizioni. Sì, il regista livornese si mostra meno superficiale di Woody Allen, che nel suo Blue Jasmine tratteggia una società manichea rigidamente divisa in buoni e cattivi, poveri e ricchi. Dove i ricchi sono inesorabilmente stronzi e approfittatori e i poveri ingenui e creduloni. I personaggi che animano Il capitale umano invece non sono figurine abbozzate, bensì donne e uomini approfonditi e sofferti. Tutti inesorabilmente responsabili.
E allora chi riparerà l’Italia? Qualcuno ha voluto vedere un lieto fine. Secondo questa interpretazione la redenzione è affidata ai giovani Luca e Serena. Sarà davvero così? Pare più realistico, e coerente allo sviluppo narrativo voluto da Virzì, considerare i due ragazzi solo delle miracolose eccezioni peraltro non prive a loro volta di contraddizioni. Ma il resto dei giovani sono quelli volgari, prepotenti, maleducati e indifferenti che si agitano nel corso delle feste scimmiottando i padri e le madri. Sono loro il “futuro” di questo Paese irreparabilmente profanato.

2

Brianza quale?

Pietosa, stucchevole e inutile appare la polemica innescata dal nuovo film di Paolo Virzì Il capitale umano. Breve riassunto per chi (beato lui) è all’oscuro dei precedenti. Il regista livornese, presentando il suo lavoro al quotidiano La Repubblica, ha definito la Brianza come un “paesaggio gelido, ostile e minaccioso”, fatto di “grumi di villette pretenziose”, di “ville sontuose dai cancelli invalicalibili”. Apriti cielo! Il primo a mostrare disappunto attraverso le pagine del suo blog è stato Andrea Monti, assessore provinciale della Lega Nord al Turismo e Sport. Il lumbard ha definito le dichiarazioni di Virzì «uno schiaffo, se non un insulto, a tantissimi brianzoli, che hanno costruito le proprie casette, grandi o piccole che siano, con la fatica e il sudore». In seguito è intervenuto anche il presidente della moribonda provincia MB, mentre all’assessore Monti non è parso vero di avere trovato il modo di ricevere tanta visibilità, così si è gettato a capofitto in uno scambio di tweet con Virzì, prontamente ripreso dalla stampa locale. Il tenore del dialogo è il seguente.

MONTI: «Scusi, ma Paolo Virzì chi?» (replica Monti citando Matteo Renzi)
VIRZI’: «Andrea Monti si dia un contegno, lei è un uomo delle istituzioni, lasci fare il buffone a noi gente dello spettacolo. Torni a bordo, caxxo!»

Partita un po’ in sordina, la vicenda ha poi ricevuto attenzione anche dalla stampa nazionale. Oggi corriere.it ospita un intervento di Alessandro Sala, che nel cognome sembrerebbe tradire confidenza con la Brianza, ma nei fatti dimostra di non conoscerla. Il post intitolato La Brianza arrivista del livornese Virzì. Che non esiste prende le distanze dal lavoro di Virzì, cita Porta, Parini e Manzoni (ma dimentica Gadda che già 50 anni fa parlava di Brianza profanata, la pagina della Cognizione del dolore che comincia con Di ville, di ville! piaccia o no va letta come una guida agli orrori) e passa dunque a descrivere l’anima autentica di quella terra (bontà sua, Sala poteva giusto scrivere per il Corriere, del resto nel suo breve profilo ammette di gironzolare per via Solferino da quando avevo 26 anni). In un crescendo di luoghi comuni, il giornalista sostiene che «Brianza sono le grandi aziende familiari», peccato che fra gli esempi cita Valli, ceduta già nel 2008 agli svedesi, e Caldirola, passata a una cordata di imprenditori piemontesi. Ma fa anche di peggio, quando scrive che «Brianza è la Silicon Valley italiana, con il polo vimercatese che mette insieme Siemens, St Microelettronics, Alcatel, Ibm». In verità Ibm se n’è andata da tempo, Alcatel già fortemente ridimensionata minaccia di farlo da anni e quella che un tempo era stata appunto ribatezzata in modo un po’ baldanzoso la Silicon Valley italiana si sta trasformando in un arido deserto.
Insomma Virzì nelle interviste di lancio del film ha ammesso almeno di non essere un conoscitore del territorio, e Alessandro Sala (chi?) dimostra di non essere da meno. Temo che nei prossimi giorni, il film esce nelle sale solo oggi quindi finora la polemica si è retta solo sulle dichiarazioni, sentiremo parlare spesso di Brianza. La maggior parte degli opinionisti che interverranno nel dibattito probabilmente non sapranno neppure indicare dove si trova. Eppure parleranno. Ora, di tutti i luoghi comuni, quello della Brianza fatta solo di capannoni industriali e villette di dubbio gusto proprio non mi è mai andato giù. La Brianza come capitale del kitsch è diventato da anni un cliché da proporre e riproporre in tutte le salse. Senza più domandarsi cosa ci sia di vero. Senza mai chiedersi se in Piemonte, nel Veneto, in Emilia o in molta parte del meridione ci siano meno brutture. Lo si ripete e basta. Come un mantra. Perché in fondo, a forza di ripeterlo, quello dell’opulenta Brianza sfigurata è diventato uno stereotipo divertente e rassicurante, col quale si assolve tutto il resto: le città dominate dalla criminalità organizzata, devastate da scelte urbanistiche criminali, prive dei più elementari servizi pubblici, sommerse dai rifiuti, traboccanti di edifici mai terminati e strade pavimentate in modo sommario. Questo è il vero viaggio allucinante che ognuno di noi può fare attraversando l’Italia da Roma in giù, non altri.
Ai “pazzarielli del tempo passato” (è un’espressione di Brera) piace additare la Brianza come simbolo del cattivo gusto, come il luogo che riassume il peggio del nuovo ricco. Questa terra, da cui sono nati il secondo tratto ferroviario italiano e la prima associazione degli industriali, effettivamente ha pagato a duro prezzo la propria crescita tumultosa. Ma non c’è niente in Brianza di così mostruosamente brutto e volgare che non troverete in qualsiasi altra regione italiana.