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Renato Bazzoni, l’uomo che amava l’Italia

RenatoBazzoni - Fondo Ambiente Italiano

È davvero curiosa l’Italia. Tutti noi siamo sempre disposti a giurare con il dovuto orgoglio che il nostro è il Paese più bello del mondo. Per la sua natura, il clima, il paesaggio e per l’immenso patrimonio artistico. In effetti è senza dubbio un luogo traboccante di bellezza. Tuttavia se gran parte delle sue ricchezze non sono ancora state distrutte da scelte urbanistiche dissennate, avidità speculative e sciatta incuria si deve principalmente a poche persone che si sono battute da sole, in modo infaticabile, contro lobby potentissime. Uno di questi è stato Renato Bazzoni, che fu tra i fondatori del Fai – Fondo Ambiente Italiano. Il suo nome dovrebbe figurare in un ipotetico pantheon dei padri della “bella Italia”, a fianco di Giorgio Bassani, Elena Croce, Antonio Cederna e pochi altri. La storia delle loro vite ha coinciso con mezzo secolo di appelli e battaglie in nome della cultura e in difesa di un paesaggio aggredito da lottizzazioni, abusivismi e condoni. Appelli che, alla luce di quanto si presenta oggi ai nostri occhi, sono in gran parte caduti nel vuoto. Eppure Renato Bazzoni si distinse dagli altri pochi nomi impegnati in questa solitaria battaglia di civiltà, e proverò a spiegarvi perché.
Nel 1967 ideò la mostra “Italia da Salvare”, promossa da Italia Nostra, che fu tra le prime impietose testimonianze di beni e paesaggi culturali unici distrutti o fortemente minacciati. Ne curò sei edizioni in Italia, tre in Europa, diciannove negli Stati Uniti. Il momento sembrava propizio per scuotere le coscienze e mobilitare le iniziative. Bazzoni sognava di suscitare l’indignazione del mondo intero di fronte alla distruzione del Bel Paese, ma purtroppo si accorse di non riuscire ad ottenere neppure quella degli amministratori italiani. Così, anni dopo, cambiò strategia. Se lo Stato non aveva orecchie per ascoltare la rabbia di quanti avvertivano un “paese a termine”, tanto valeva sostituirsi alla sua ignavia. Nel 1975, con Giulia Maria Mozzoni Crespi, l’allora soprintendente di Brera Franco Russoli e l’avvocato Alberto Predieri, fondò il Fai – Fondo Ambiente Italiano. Fu questa la sua straordinaria, lungimirante intuizione. Non erano più sufficienti l’azione di denuncia, la protesta e l’indignazione. Con spirito pragmatico Bazzoni mise la cultura accanto alla disponibilità economica, sperando che in qualche modo avvenisse un’impollinazione incrociata, con un nuovo movimento per frutto.
Monastero_di_TorbaIl seme attecchì. Quando nel 1975 mostrò il piccolo e commovente Monastero di Torba, all’epoca destinato a scomparire, a Giulia Maria Mozzoni Crespi, che l’anno prima aveva ceduto la proprietà del Corriere della Sera ad Angelo Rizzoli, s’innescò la scintilla fondatrice. L’imprenditrice mise a disposizione la somma necessaria per acquistare il complesso monumentale e l’avventura ebbe inizio. Da quel momento la Fondazione cominciò ad acquisire abbazie, castelli, ville, boschi e tratti di costa, sottraendoli alla speculazione e all’abbandono, recuperandoli e aprendoli al pubblico.
A cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta ho lavorato con Renato Bazzoni. L’ho accompagnato in giro per l’Italia a spargere i semi della speranza. Erano momenti pionieristici, pochi ancora conoscevano il Fai. Intellettuali e imprenditori illuminati organizzavano nelle proprie città cene e conferenze offrendo a Bazzoni la possibilità di illustrare il suo progetto. Alcune delle donazioni ricevute dal sodalizio negli anni successivi si devono a quegli incontri. Bazzoni aveva moltissimo da raccontare e quando parlava produceva un magnifico fragore. Era convincente. La gente lo adorava.
La prima volta che visitai con lui Torba (che tra l’altro è un luogo adatto per trascorrere la vostra Pasquetta), volgendo lo sguardo alla torre costruita con materiale ricavato dalla demolizione di complessi cimiteriali di epoca romana mi disse: “Non è meravigliosa la fine tessitura della pietra di fiume?”. Certo, è meravigliosa. Ma quasi certamente non me ne sarei accorto se non mi avesse avvicinato a tanta bellezza con il suo entusiasmo. Ancora oggi, ogni volto che poso lo sguardo su uno scorcio di paesaggio, un’opera d’arte o un monumento ringrazio Renato Bazzoni per avermi insegnato a osservare.
Se qualcuno mi domandasse di indicare l’italiano dei nostri tempi che più di ogni altro si è adoperato per le nostre bellezze non esiterei a indicare il suo nome. Due giorni fa Renato Bazzoni avrebbe compiuto 91 anni. È volato ai Campi Elisi troppo presto, prima ancora di vedere la sua creatura decollare in modo definitivo verso il successo e la popolarità. Oggi, l’abside della chiesetta del Monastero di Torba custodisce le sue spoglie. Diciassette anni fa, pochi giorni prima di accasciarsi per strada mentre raggiungeva il suo ufficio, era stato insignito della medaglia d’oro di Europa Nostra per la causa cui si era interamente dedicato. Come un combattente. Il riconoscimento assegnatogli da una federazione pan-europea che ospita al suo interno 250 Organizzazioni non governative attive in 50 Stati, fu il segno evidente di come la sua attività e la sua persona avessero travalicato i confini. Eppure sul suolo patrio, in questo Paese dalla memoria corta, la sua figura è poco conosciuta.