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Emma, sognatrice senza speranza

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No, non stiamo parlando di Emma Bovary, mi rendo conto che il titolo potrebbe ingannare. Stiamo parlando invece di Emma Bonino. L’audizione davanti alle commissioni Esteri e Diritti umani di Palazzo Madama ha un che di imbarazzante, inutile negarlo. Lei, la paladina di tutte le battaglie civili, una vita per i diritti, e alla fine è chiamata a chiarire la sua posizione nell’imbarazzante affaire Shalabayeva, come un Alfano qualsiasi. Perché non ha fatto nulla negli ultimi due mesi per denunciare la vicenda? Ma soprattutto, avrebbe potuto fare qualcosa? Queste le domande che ha dovuto affrontare il ministro, nell’illustrare ai senatori anche le prossime mosse del governo italiano. Che tristezza. E pensare che anni fa ho anche sostenuto l’iniziativa ‘Emma for President’.
Per Emma Bonino le accuse di queste settimane sono un paradosso. Sempre controcorrente, sempre dalla parte dei più deboli, e ora la sua storia rischia di rimanere indelebilmente macchiata dalla questione kazaka. Sì, perché a Emma Bonino io vorrei chiedere non tanto di chiarire una volta per tutte la sua posizione nella vicenda Shalabayeva, ma piuttosto cosa ci faceva in Kazakistan, a casa di un dittatore e a braccetto di un’azienda più che compromessa in tema di tutela dei diritti umani (l’Eni), nel 2007 insieme a Prodi?

Eni Kasakistan

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Pasticcio kazako: se la nostra credibilità passa per le parole di Scajola e Treu

Le cose in Italia non funzionano (ed è evidente che da qui in avanti andrà solo peggio) e lo rivelano anche piccoli dettagli. Che poi tanto piccoli non sono. Prendiamo il caso del brutto pasticciaccio kazako. Ed esaminiamo alcuni commenti ripresi dai scajolagiornali in questi ultimi due giorni. Ieri Il Fatto Quotidiano ha ospitato un’intervista a Claudio Scajola. L‘ex ministro degli Interni, forte della sua esperienza, dice due cose importanti: primo, Alfano non poteva non sapere, secondo, l’Eni in Kazakistan ha investito tanto e ci sono affari importanti in corso. Bravo Scajola, chiaro e incisivo. Ma, un momento, Scajola chi? Quello finito nella bufera e dimessosi per lo scandalo della casa pagata “a sua insaputa”? Ebbene sì, proprio lui.
Oggi Linkiesta pubblica un ampio servizio in cui spiega che da Vendola a Berlusconi, passando per Prodi, Italia intera è stata ai piedi di Nazarbayev, con l’inevitabile codazzo di imprese grandi e piccole. È antipatico quanto sto per fare, però sostanzialmente è lo stesso concetto che ho espresso nel mio post di ieri. Linkiesta naturalmente si avvale di ben altri mezzi, esperienza e mestiere del sottoscritto, quindi fornisce un nutrito numero di esempi per provare la nostra ‘sudditanza’ politico-economica verso il Kazakistan. Un ottimo servizio, a parte l’incauta scelta di raccogliere un commento di Tiziano Treu: «Un brutto affare. Sono rimasto scioccato». Ma, un momento, Treu chi? Quello che è stato ministro del lavoro nei Governi Dini, Treu_TizianoProdi I e D’Alema e promotore del cosiddetto “Pacchetto (guarda te, a volte i nomi!) Treu” che ufficialmente ha introdotto in Italia il principio della flessibilità del lavoro, nella pratica tradottosi in precariato e diseguaglianze sociali? Ebbene sì, proprio lui. Lo stesso Tiziano Treu peraltro è da anni il presidente del consiglio di cooperazione tra Italia e Kazakistan e viene da domandarsi come mai non sia mai rimasto scioccato dalla continua violazione dei diritti umani nel Paese asiatico: sindacalisti misteriosamente uccisi, radio e televisioni chiuse e perquisite, giornalisti aggrediti, lavoratori e manifestanti rinchiusi in carcere senza accuse. Molti nostri politici sembrano essersi accorti di tutto questo solo oggi, ma da tempo la comunità internazionale denuncia la situazione. All’inizio dell’anno passato l’Ocse definì le elezioni appena avvenute “non democratiche”. Ora, se in Italia affidiamo a figure come Scajola e Treu il ruolo di interpretare lo sdegno per quanto è accaduto, ciò significa che siamo proprio finiti. La collusione con le autorità del Kazakistan non è un fatto ristretto a qualche politico e un paio di aziende corrotte o corruttibili. No, qui c’è un intero Paese, il nostro, con i suoi governanti e i suoi imprenditori, pronto a fare affari con chiunque. In Kazakistan come in Nigeria e in tante altre aree del mondo. Perfino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che non ha ancora napolitanocommentato la vicenda, non si è sottratto all’idea di avere rapporti ufficiali con il dittatore kazako Nazarbaev. Lo ricevette nel 2009 spiegando che il Kazakistan «è un Paese esempio e specchio di tolleranza, di moderazione e di convivenza pacifica». L’ultimo ministro a fare visita a Nazarbaev è stato quello della Difesa Giampaolo di Paola nel febbraio del 2013. Ma, un momento, Di Paola chi? Quello che insieme all’altro ministro Terzi, i Bibì e Bibò della diplomazia italiana, è stato protagonista della vergognosa vicenda dei marò? Ebbene sì, proprio lui. Comunque, nel 2012 Mario Monti ci andò ben due volte per incontrare il primo ministro Karim Massimov. Insomma, la vicenda dell’improvvida espulsione di Alma Shalabayeva e la piccola Alua, moglie e figlia del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, è stata solo una maldestra operazione che ora costringe politici e imprenditori a difendere il loro diritto a operare in Kazakistan. Tranquilli, ora cadrà qualche altra testa, magari anche quella di Alfano, ma gli affari non si fermeranno. No, quelli non si fermano mai.