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Oggi si parte con Bookcity Milano 2013. La cognizione del grigiore

Se Milano avesse avuto un suo festival della letteratura attorno alla metà del Novecento, probabilmente avrebbe ospitato scrittori come Carlo Emilio Gadda, Leonardo Sciascia, Dino Buzzati, Luciano Bianciardi, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Giorgio Scerbanenco, Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Natalia Ginzburg. A Bookcity Milano 2013, kermesse promossa dal Comune di Milano e sostenuta da una corposa schiera di aziende, al via oggi, al più si potranno ascoltare autori di dubbia fama, e a volte sconosciuti meriti, chiacchierare attorno alle opere dei sopra citati letterati. Sempre meglio che assistere agli incontri, il programma di Bookcity ne è colmo, con autori-comici, autori-conduttori tv, autori-deejay, autori-cheef, autori-editorialisti, autori-sociologi, autori-psicologi e via discorrendo.
Sempre se Milano avesse avuto un suo festival della letteratura quando era davvero una delle capitali dell’editoria, forse avrebbe ospitato anche figure del calibro di Ernest Hemingway, Jorge Luis Borges, Marguerite Duras, Truman Capote, Simone de Beauvoir, William Faulkner. Invece la star internazionale di Bookcity Milano 2013 sarà Rupert Everett. Non me ne voglia il simpatico e brillante attore britannico, che sì, va bene, ha scritto un paio di memoir dopo che il mondo del cinema gli ha voltato le spalle, ma la domanda, come si dice in questi casi, sorge spontanea e la formulo con le parole di uno dei maggiori pensatori della nostra epoca: ma che c’azzecca Rupert con la letteratura?

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Vivere con i libri #6 La musica della vita nei romanzi di Paula Fox

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Per una vita è stata una outsider, un’autrice perlopiù ignorata, dalla critica e dal pubblico. Poi un giorno Jonathan Franzen ha parlato di lei definendola la maggiore scrittrice nordamericana vivente. Così Paula Fox a più di ottanta anni si è presa la rivincita ed è diventata un caso letterario. Anche l’editoria italiana, che non brilla certo per coraggio e lungimiranza, ha seguito l’onda. Dopo Quello che rimane, considerato il capolavoro della Fox, è questo il romanzo elogiato da Franzen, è stato ripubblicato Il segreto di Laura (datato 1976) e via via Fazi ha tradotto anche gli altri titoli. Paula Fox è maestra nella descrizione dei rapporti famigliari, forse grazie alla sua travagliata esperienza personale, raccontata in un’appassionante biografia, Borrowed Finery, che ha contribuito a fare di lei un personaggio di culto. Jonathan Franzen ha scritto che Quello che rimane è superiore ai romanzi di autori come Updike, Roth, Bellow. “Credo che Franzen abbia esagerato, che abbia usato un metro di giudizio poco “letterario”. Non mi sento per nulla a mio agio con quelle parole. E comunque non penso che la competizione letteraria sia molto sana, se non altro perché ora probabilmente mi sono guadagnata l’odio di tutti gli autori citati da Franzen. Dopo aver letto quelle parole sono stata lusingata per circa cinque minuti, poi sono tornata a scrivere” ha dichiarato la Fox anni fa in una delle rarissime interviste apparse in Italia (Corriere della Sera, 2004). I suoi libri, scritti negli anni Settanta, sono ancora molto attuali, profetici paulafox Quello chedirei. Del resto, come ha detto lei stessa, “gli elementi più profondi della nostra esistenza, quelle note che formano la musica della vita, non cambiano nel corso dei secoli (…) Prendete la violenza familiare di cui parlo nei miei libri. Ed è inutile sforzarsi di dire cose nuove: Socrate e Aristotele hanno già detto tutto”. In Quello che rimane la protagonista, Sophie, viene morsa da un gatto randagio, episodio che minaccia di far franare tutto il castello perfetto della sua vita. È uno spunto autobiografico? “Sì. Il mio morso era molto meno serio di quello di Sophie ma è da quell’esperienza che è scaturita l’idea – ha commentato la scrittrice nella stessa intervista. – Proust parlava di un’antica tecnica giapponese che consisteva nel buttare dei pezzettini di carta in un vaso pieno d’acqua e osservare le forme infinite che quei coriandoli assumevano assorbendo l’acqua, diventando, sulla base dei nostri ricordi, case, persone, eventi”. La Fox ha avuto un’infanzia molto difficile. I suoi genitori prima la misero in un istituto, poi l’affidarono ad altre persone. “Il concetto di famiglia mi è sempre stato estraneo – ha spiegato. – Non sono mai appartenuta a nessuna famiglia che si possa definire tale, ed in questo senso sono sempre stata completamente libera. È un vantaggio o una condanna a seconda di come la vedi”. Non appartenere a una famiglia o a una conventicola ha regalato alla Fox un’autonomia di pensiero eccezionale.
paulafox Costa-OccidentaleBenché abbia amato molto Quel che rimane, preferisco, per quanto possano interessare i miei giudizi, Storia di una serva e Costa Occidentale. Ma l’unica cosa certa è che Paula Fox merita di essere letta tutta, ma proprio tutta. Perdonatemi questa banalità, ma ogni volta che in una libreria vedo qualcuno scegliere uno di quei banali, spesso orribili, titoli da classifica e sullo stesso banco, di fianco o poco distante, occhieggia un romanzo della Fox, sono tentato di afferrare il polso del compratore per impedire l’incauto acquisto.
Nella travagliata esistenza della scrittrice c’è stato spazio anche per una figlia avuta in giovanissima età, paula-fox-storia-di-una-serva-dalla quale è stata lontana per decenni. Tra i nipoti della Fox c’è la cantante Courtney Love, che aveva sposato il leader dei Nirvana, Kurt Cobain. A proposito di figli e quindi bambini, Paula ha scritto anche molti libri l’infanzia, spesso dai temi difficili: la morte, l’Aids, l’emarginazione. “Scelgo questi temi – ha spiegato – perché io mi sono sempre sentita una outsider. In fondo ogni bambino lo è in un certo momento della sua infanzia, ad intermittenza. Scrivo, o meglio scrivevo, di cose che venivano considerate pericolose, e di cui di solito si parlava poco. Ora di pericoloso è rimasto ben poco e dunque non scrivo più libri per bambini. Coleridge diceva che non c’è nulla di più pericoloso e sbagliato dell’insegnamento delle virtù. Ai suoi tempi c’erano molti libri di quel tipo e purtroppo ve ne sono anche oggi”.
La Fox ha cominciato a scrivere a quarant’anni, in Grecia, durante una pausa di sei mesi che si era presa. “Sono rimasta sorpresa quando qualcuno si è offerto di pubblicare i miei scritti” ha sempre dichiarato. La sua storia potrebbe indurre a credere che c’è una speranza per tutti. Forse è così. Ma attenzione, la sua scrittura e il suo talento sono merce assai rara.

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Vivere con i libri #3 Quali titoli arriveranno sul comodino del 2113?

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La domanda che sto per porvi presuppone di aver risposto sì a un interrogativo precedente: ci saranno ancora libri su carta tra cent’anni? Se il vostro responso è affermativo, possiamo passare alla questione in esame. Quali titoli fra quelli pubblicati nell’ultimo quarantennio, per fare chiarezza diciamo dal 1970 a oggi, si leggeranno ancora nel 2113? In altre parole, quali fra le opere contemporanee diventeranno classici? Di quali autori si parlerà ancora tra cento anni, e quali invece saranno caduti nell’oblio? Per dovere di ospitalità comincerò io, proponendovi un po’ di titoli che ho letto e che tra un secolo, secondo me, saranno classici riconosciuti (per molti in realtà lo sono già). Tenete naturalmente conto che ne elencherò solo alcuni e ne dimenticherò tanti. 

Il re degli ontani di Michel Tournier
Norwegian Wood di Haruki Murakami
Americana di Don DeLillo
Pastorale americana di Philiph Roth
Riposa coniglio di John Updike
Aspettando i barbari di J. M. Coetzee
Quello che rimane di Paula Fox
Un cuore così bianco di Javier Marías
Le Correzioni di Jonathan Franzen
Quel che resta del giorno di Kazuo Ishiguro

Ora vi invito a fare altrettanto. Ed esortate anche tutti i vostri amici, appassionati lettori, a farlo con voi. Quali libri contemporanei ci saranno sul comodino nel 2113?

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Vivere con i libri #1 Ai piedi di Emma Bovary

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Perché i libri ci appassionano tanto? Perché li accumuliamo nel corso di tutta la vita? Non esiste una sola risposta a queste domande, ciascuno di noi ha la propria, o meglio le proprie. I libri che leggiamo, i libri che collezioniamo, i libri che conserviamo in modo apparentemente disordinato, ci legano al passato, al presente e al futuro in modo semplice e facilmente accessibile.
I libri sono generosi: ti regalano una storia da cui trai godimento. Di quella storia diventi per qualche tempo custode, conscio che altri prima di te l’hanno “posseduta” e ne hanno goduto per poi passarla ad altri. Nella vita di un lettore ci sono tanti momenti meravigliosi: la scoperta di un nuovo autore, l’incontro con un capolavoro, la magia di un racconto che ti accompagnerà per sempre. Credo che ciascuno di noi debba la propria passione per i libri a un titolo in particolare. Nel mio caso la fiamma è stata accesa da Madame Bovary. Madame BovaryNon che prima d’imbattermi nell’eroina di Gustave Flaubert non avessi letto nulla, ma sento di poter dire che solo dopo aver attraversato la storia di Emma Rouault, sposata Bovary, sono diventato un lettore maturo.
Tentai di leggere le vicende di questa piccola adultera di provincia quand’ero ancora al liceo. Come tutti gli adolescenti mi sentivo tormentato. Avevo letto che quella della Bovary era la storia di un’anima travolta nella ricerca del sogno, dell’ideale a cui anela chi non può assolutamente adeguarsi alla realtà. Così cercai in quelle pagine una comunione di tribolazioni e tormenti. Ma non vi trovai nulla di tutto questo. Anzi la storia mi parve del tutto convenzionale. Le mie ansie e i miei afflati adolescenziali non si specchiarono affatto nella vicenda di una donna che si avvelena a causa della sua condotta immorale. Ricordo che lessi il romanzo a singhiozzo, inframezzandolo con lunghe pause e saltando intere parti, una su tutte quella lunghissima dedicata ai Comizi agricoli.
Ma un’altra straordinaria generosità dei libri è quella di concederti sempre una seconda occasione. Ripresi in mano Madame Bovary durante una breve vacanza concessami dopo la laurea. Terminai il libro in tre giorni e dopo di allora credo di averlo letto per intero almeno altre tre volte, per singoli brani, invece, un’infinità di volte. Spiegare le ragioni personali per cui ci s’innamora di un’opera che è universalmente riconosciuta come un capolavoro assoluto può essere fonte di imbarazzo. Attorno a Madame Bovary hanno scritto tutti i più illustri critici letterari del mondo, è dunque difficile aggiungere qualcosa di utile e, soprattutto, intelligente. Tuttavia voglio provare a condividere la mia personale chiave di lettura di questo strepitoso romanzo.
Flaubert, per il quale qualcuno ha riservato l’appellativo di Cristo della letteratura, fu definito il descrittore accanito, e questo suo modo di procedere fu considerato da alcuni addirittura un limite. Certi critici sono rimasti infastiditi dal rilievo concesso al materiale scenico, che, a loro dire, giunge a soffocare i personaggi. Io invece adoro il dettaglio flaubertiano, perché possiede una natura funzionale. Prendiamo ad esempio proprio la sua creazione più celebre: Emma Bovary. Fin dal primo incontro con Charles si ricevono puntuali e per niente occasionali descrizioni della signorina Rouault. Tali da farci divenire subito familiare il suo corpo. Le labbra carnose, che era solita mordicchiare nei momenti di silenzio. I capelli spartiti da una riga sottile sulla sommità del capo, che, lasciando intravedere appena il lobo dell’orecchio, scendevano ad ammassarsi dietro in una crocchia opulenta. madame_bovary4Gli stessi capelli nelle pagine dedicate agli incontri amorosi con Leon sono attorti in una massa pesante, con indolenza, e secondo le vicende dell’adulterio, che ogni giorno li discioglieva, paiono quasi disposti da un artista abile nel raffigurare la corruzione. Pian piano conosciamo tutto di lei: le sue palpebre che sembrano tagliate apposte per i lunghi sguardi amorosi, gli occhi che per quanto fossero bruni sembravano del tutto neri per il gioco delle ciglia, il forte respiro che dilatava le narici fini e rialzava gli angoli carnosi delle labbra, ombreggiati nella luce da una lieve peluria nera, le unghie brillanti, fini in cima, più lisce dell’avorio di Dieppe e tagliate a mandorla. Perfino i dettagli, apparentemente più insignificanti, sembrano avvicinarci a lei e svolgono una funzione, potremmo dire tattile, come l’occhialetto di tartaruga che portava, al pari d’un uomo, infilato fra due bottoni della blusa. Foglio dopo foglio, la Bovary cessa di esistere solamente nella finzione letteraria e si materializza fisicamente dinanzi al lettore.
Poi ci sono le descrizioni cariche di un erotismo più esplicito, seppure molto cerebrale. Come quando Emma si punge le dita cucendo e se le porta più volte alla bocca per succhiarne il sangue; oppure il modo particolare con cui getta indietro la testa per bere il bicchierino quasi vuoto di curaçao, con le labbra sporgenti e il collo teso, mentre con la punta della lingua tenta felinamente di leccarne le poche gocce rimaste. Tutto di lei sembra suggerire un forte potenziale erotico: il modo languido con cui parla, i suoi sussurri, le palpebre semisocchiuse, la lieve peluria dietro al collo accarezzata dal vento, le goccioline di sudore sulle spalle nude. Quando usciva prima dell’alba, per recarsi all’incontro con Rodolphe, Emma entrava nella stanza a tentoni, socchiudendo gli occhi, e le gocce di rugiada, sospese sulle bande dei capelli, formavano come un’aureola di topazio attorno al suo viso. isamadame-bovary0Queste descrizioni accanite, che la prima volta senz’altro concorsero a rendere assai faticosa la lettura, in realtà testimoniano la piena consapevolezza con cui Flaubert sceglieva i dettagli. C’è una sua precisa volontà di accendere il romanzo mediante un sottofondo potentemente sessuale. L’impiego insistente di alcuni vocaboli, che potremmo definire prediletti, mollesse, assoupiment, torpeur, rimandano inevitabilmente ad un vago, languido stato di compiacimento sensuale.
Fra i critici contemporanei circola una sciocca considerazione, di quelle che passano di penna in penna senza ulteriori approfondimenti: il processo a Madame Bovary oggi ci appare incomprensibile. Com’è noto Flaubert dovette subire un processo per offesa alla morale e alla religione. Processo che l’autore vinse e che contribuì a dare notorietà al libro. D’accordo, l’accusa fu esagerata, ma chi oggi liquida questa vicenda giudiziaria solo come un’inadeguata risposta dei tempi, o non ha mai letto il romanzo, oppure non è stato capace di avvertire la forte pulsione erotica di cui è impregnato. Domando: è mai stato scritto qualcosa di più eccitante della famosa scena d’amore nella carrozza? Per l’intera durata, al lettore è concessa soltanto la vista della vettura con le tendine abbassate, e l’unica nudità appare alla fine, una mano senza guanto che s’infila di sotto alle tendine di tela gialla e getta frammenti di carta che, come farfalle bianche, ricadono su un campo di trifoglio rosso in fiore. Ma la carrozza che procede dapprima lentamente e poi in un furioso galoppo, il crescendo vertiginoso e i movimenti scomposti evocano altro. A chi sa fantasticare.
Nel libro non si trovano oscenità. E di questo ne era convinto lo stesso Flaubert, che, dopo la pubblicazione sulla Revue de Paris e le prime voci di scandalo, scrisse al fratello Achille: “Sto diventano la celebrità della settimana, tutte le puttane d’alto bordo si contendono la Bovary per cercarvi oscenità che non ci sono”. Ma quel culto per la descrizione degli oggetti ha consegnato per sempre alla storia della letteratura mondiale la figura di un cronico feticista. L’intero romanzo è disseminato di semplici oggetti che, quantunque ai più appaiono privi di qualsiasi carica interiore, sono sapientemente trasformati da Flaubert in feticci.
Anni dopo la seconda lettura di Madame Bovary, venni a sapere che Flaubert custodiva gelosamente le pantofoline di Louise Colet, letterata con cui egli intrattenne una relazione tenera e tempestosa. Le teneva in un cassetto dello scrittoio e di tanto in tanto le estraeva e le osservava. In una lettera alla sua Musa, Gustave si abbandonò disperatamente alla sua inclinazione feticista, paragonando i vari stili di scrittura alle diverse calzature. “… Sandalo, che parola magnifica e che suono solenne. Non è così? Quelli dell’estremità a punta, rivolte all’insù come lune crescenti, ricoperti di lustrini d’oro scintillanti carichi di splendide decorazioni simili a edifici indiani. Vengono dalle rive del Gange. Con tali calzature ai piedi si può passeggiare all’interno di pagode dai pavimenti di aloe oscurato dal fumo di incensi profumati e odorosi di muschio. Sono gli stessi che ti conducono negli harem su tappeti scomposti da disegni simili ad arabeschi. Viene da pensare a inni perenni di amore soddisfatto…”.
Flaubert coltivava una vera e propria passione per i piedi femminili. Calzati o non, sono costantemente al centro della sua attenzione. Per tutte le protagoniste dei suoi romanzi riserva al lettore minuziose descrizioni delle loro estremità e delle calzature che indossano. salammbo1Ma il momento più alto e intrigante di questa mania non va cercato fra le pagine di Madame Bovary, bensì in quelle di Salambò. La critica contemporanea guarda a questo romanzo soprattutto in chiave di ricostruzione storica. In effetti si tratta di un grande affresco che narra le gesta dei Cartaginesi contro i barbari mercenari. Ma l’opera è interamente percorsa da un gusto sofisticato del macabro e della perversione e mostra anche doti spiccatamente cinematografiche, sorprendenti oltre ogni modo se si tiene conto che fu pubblicato nel 1862. Il modo in cui Flaubert fa entrare in scena Salambò dà vita alla pagina più erotica di tutta la letteratura: la sacerdotessa di Tanith discende le scale con una catenella d’oro alle caviglie per dare la misura al suo passo. E naturalmente, ancorché l’autore non lo precisa, per garantirne la purezza.