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L’esilarante teoria del meno peggio

Una larga fetta di italiani insospettabili si sta facendo imprigionare nella teoria del “meno peggio”. A questi si è aggiunto perfino Michele Serra che nella sua Amaca di ieri ha esortato i grillini a prendere atto dell’esistenza del meno peggio in politica. Grasso è meno peggio di Schifani, Pisapia della Moratti. La parabola di Serra sembra essere tornata al “turiamoci il naso e votiamo Dc” di Montanelli. Anzi, la situazione è ancora peggiore. Perché Serra e quelli che la pensano come lui si fermano ai nomi, alle foglie di fico per dirla con le parole di Grillo. Ma ciò che conta è quello che poi si fa ogni giorno in Parlamento: gli intrallazzi per far passare questa o quella legge, le assenze strategiche, le persone che si mettono nelle utility o nelle banche, gli sperperi tollerati, le opere pubbliche inutili ma ugualmente sostenute e via dicendo. E quando sommiamo tutto questo improvvisamente ci rendiamo conto che le differenze tra uno e l’altro si riducono. Eccome si riducono!
Il meno peggio è figlio del peggio (…) Il meno peggio ci ha portato l’indulto, l’inciucio, i condannati in Parlamento, gli inceneritori, la Campania-Chernobyl, Mastella ministro della Giustizia, un debito pubblico di 1630 miliardi di euro, la crescita economica più bassa d’Europa, il precariato, l’informazione imbavagliata, una legge elettorale incostituzionale (…) Il peggio e il meno peggio sono come due fratelli siamesi. Inseparabili dalla nascita (…) Peggio o meno peggio, sempre peggio è”. Così ha lucidamente scritto nel 2008 nel suo blog un tale che di nome fa Beppe Grillo.

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Mercati, maledetti mercati

A leggere i commenti sui giornali, a partire dal Corriere della Sera, La Repubblica, La Stampa e via via a scendere, sembra che la bontà di ogni scelta politica dipenda esclusivamente dal giudizio espresso dai mercati finanziari. Questi vengono considerati come attori economici neutrali, giudici spietati e inflessibili, ma imparziali, della credibilità e della reputazione di uno Stato sempre meno sovrano. Quand’è che i mercati finanziari hanno assunto questo peso specifico? Da quando rappresentano il senso comune? Da quando sono diventati l’espressione democratica ed efficiente delle scelte giuste?
Sempre più spesso di leggono frasi del tipo: “il provvedimento non piace ai mercati” oppure “i mercati bocciano la manovra” o ancora “attendiamo il giudizio dei mercati”. Chi diavolo sono questi misteriosi mercati? Ha scritto tempo fa Michele Serra su Repubblica: “Quando e dove è stato deciso che il loro giudizio conta più del giudizio dell’intera classe politica mondiale? Perfino i più esecrabili dittatori ci mettono la propria faccia, e a volte finiscono la carriera appesi a un lampione. Perché i mercati no?”. Continua a leggere