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Al rogo! Al rogo!

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Il Governo Letta è il peggiore dei governi avuti negli ultimi vent’anni. Sì, lo so, adesso molti di voi staranno già pensando:Eh no! Peggio dei governi Berlusconi proprio no! Oppure: Mah, non sarà un buon governo, però sono stati peggiori quelli presieduti da Prodi. I governi Berlusconi e Prodi possono avere fatto bene o male (personalmente credo più male che bene in entrambi i casi) ma sono stati l’espressione di un voto popolare. Cosa che invece non si può dire per il governo Letta, e nemmeno per quello precedente presieduto da Monti. Sempre non legittimati dalle urne sono stati anche i governi D’Alema e Amato II. Quattro pessimi presidenti del Consiglio per quattro orribili governi che, seppure in forme e modi differenti, hanno tutelato gli interessi di pochi a discapito del bene collettivo. Gli ultimi due, Letta Monti, sono accomunati dal fatto di essere, o essere stati, sostenuti da una larga maggioranza. Ma mentre quello precedente era retto da un tecnico rivelatosi disastroso sul piano politico (per molti anche su quello delle competenze economiche, finanziarie e istituzionali), l’attuale è presieduto da un uomo che nella propria vita non ha mai fatto null’altro oltre la politica (agli inizi degli anni Novanta era già presidente dei Giovani democristiani europei). Di conseguenza, pur muovendosi nel solco tracciato da Monti e seguitando a tutelare gli interessi consolidati del potere italiano (banchieri, funzionari di stato, militari, accademici e poco altro), ha pure la tracotanza di sfidare l’esacerbata pazienza degli italiani ammantando le proprie politiche di provvedimenti demagogici e inutili (classici specchietti per allodole) oppure di minacciare l’elettorato (se cade il Governo pagherete l’Imu, credo che quest’ultima provocazione sia la peggiore espressione del potere di tutta la storia repubblicana). Letta ha la spudoratezza degli impuniti quando spara nel mucchio degli evasori fiscali (troppo facile, servono provvedimenti non moniti!) o, peggio ancora, quando tagliuzza qua e là gli immensi sperperi in auto e flotte aeree di Stato e annuncia che i risparmi ottenuti saranno destinati alla manutenzione dei Canadair. Si vergogni! Si Vergogni!!! Nella sola Sardegna sono già andati persi anche quest’anno più di 8mila ettari di boschi e quella degli incendi estivi nel Mediterraneo non è un’emergenza imprevedibile. È la norma, da decenni. E quando il governo stanziava fondi per l’acquisto degli F-35 sono stati in molti a ricordare a Letta e ai suoi ministri che forse sarebbe stato meglio investire quei soldi per aerei da impiegare nella lotta agli incendi. 
L’elenco di queste ‘bravate’ potrebbe durare a lungo, coinvolgendo larga parte della compagine governativa, compreso quei ministri che godono di buona stampa, ma in realtà si stanno rivelando soltanto dei vuoti parolai. Primo fra questi Massimo Bray, ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo, che ogni giorno annuncia rifioriture nella cultura italiana al pari di un principe rinascimentale, e intanto Pompei crolla, Venezia affonda,  i Bronzi di Riace restano negli scantinati e il nostro patrimonio forestale va in fumo. Ma al di là dei soliti simboli del Belpaese, è sufficiente visitare la gran parte dei maggiori musei italiani per comprendere lo stato di fatiscenza e abbandono in cui versano tutti i nostri tesori artistici e storici.
Mentre loro brigano e blaterano, a noi restano poche cose: un mucchio di rovine e carboni ancora roventi.

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Ma è così difficile fare le cose bene?

Su molti quotidiani italiani stamani si dibatte sul futuro delle Province. Lo so, ormai è diventata una questione insopportabile, che sottolinea la pigrizia della nostra classe dirigente. Se ne parla da anni e siamo di nuovo al punto di partenza. Tra i numerosi commenti mi ha colpito quello di Bruno Tinti (ex magistrato, ora giornalista) pubblicato su Il Fatto Quotidiano. Tinti esordisce così: “Che non si potessero abolire le Province con un decreto legge è evidente: sono Enti previsti dalla Costituzione, serve una legge costituzionale; che significa doppio passaggio in Parlamento, eventuale referendum, insomma un paio d’anni ed esito incerto”. Ma come? E i tecnici del Governo Monti non lo sapevano? Perdonatemi la povertà intellettuale dell’esempio che sto per fare: ma se chiamo un tecnico per ripararmi un tubo che perde acqua e dopo il suo intervento il tubo perde ancora di più, prendo atto che il tecnico è un incompetente. Ora, non passa mese senza scoprire che il Governo dei tecnici plurilaureati e decorati, per intenderci quello che aveva esordito col Decreto Salva Italia, era composto in realtà da cloni di Silvestro Gatto Maldestro. I segnali c’erano stati fin da subito con la drammatica vicenda della Riforma Fornero e il disastro umano e sociale degli esodati. Poi si è aggiunta la modifica allo statuto dei lavoratori: solo i tecnici montiani potevano credere che dando maggiore libertà di licenziare alle aziende aumentasse di conseguenza la possibilità di assumere. Gli imprenditori ne hanno approfittato per licenziare, punto. Ma ancora. Da un governo di professori era lecito attendersi un forte piano di investimenti a favore di scuola e Università pubblica, e invece altri milioni di euro sono stati dirottati dalla scuola pubblica a quella privata. La misera vicenda della spending review poi è finita come sappiamo: è servita solo a fare titoloni sui giornali e a tagliare qua è là un po’ di welfare, creando così uno Stato ancora più disuguale e ingiusto; intanto le spese militari non sono state ridotte, il numero dei parlamentari non è diminuito e i manager pubblici continuano a percepire compensi miracolosi: il direttore della Rai, solo per citarne un esempio, percepisce oltre 50mila euro al mese. Torniamo alle Province. Adesso il Governo Letta propone di sostituirle con “collegi delle autonomie”; il progetto prevede anche di sfoltire settemila “enti di mezzo”, consorzi e società varie. E qui si aprie il capitolo dei cosiddetti Enti inutili, questione assai più annosa di quella delle stesse province. Se ne parla da decenni, sono stati versati fiumi di inchiostro e sono stati istituiti perfino commissioni per l’abolizione degli Enti inutili, che naturalmente sono diventate a loro volta inutili e hanno sortito l’unico effetto di infoltire la lista dei primi. Eppure il più delle volte per capirne l’inutilità basta leggere i nomi, a tratti fantozziani, di molti istituti e consorzi. Ogni governo ha annunciato soppressioni, Calderoli e Enrico Bondi (il supertecnico, il tecnico dei tecnici) sono stati gli ultimi a promettere cancellazioni a raffica. Ma non è mai successo nulla, perché come diceva Leo Longanesi: “La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: tengo famiglia”. Forse per questo in Italia è così difficile fare le cose bene.

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Napolitano, l’ultimo degli errori?

Giorgio Napolitano è un uomo che si è seduto per tutta la vita dalla parte sbagliata. Classe 1925, l’undicesimo e dodicesimo presidente della Repubblica ha attraversato tutte le stagioni della politica abbracciando posizioni che la storia ha ineluttabilmente bocciato: dallo stalinismo agli anni bui delle invasioni dell’Ungheria e Cecoslovacchia, dalla corrente migliorista alla fine del comunismo. Poi il Quirinale, che improvvisamente ha cancellato i fili di una storia da perdente e lo ha innalzato al ruolo di padre della patria. La saggezza solitamente contraddistingue chi, prima degli altri e non dopo, percorre le strade che conducono al futuro. La scaltrezza, invece, sorregge le figure che passano indenni sopra i propri errori. Napolitano non ha mai smesso di commetterne. Non ha saputo riformare il Quirinale e tantomeno il costume e la politica italiana. Anche l’invenzione Monti, da lui fortemente voluta per coprire il vuoto lasciato dai partiti e soprattutto per affrontare la crisi economica e il confronto con l’Europa, ha sortito gli effetti miseri e miserabili che conosciamo. Se oggi l’Italia è “costretta” ad affidarsi ancora a un uomo di 88 anni con un simile passato, a me non pare un buon segno. La retorica del “sacrificio” preferisco lasciarla al vocabolario di una classe politica inetta e pasticciona e di una stampa complice e altrettanto compromessa. Forse Napolitano sarà l’ultimo presidente di una lunga stagione costellata di errori e colpevoli ritardi. Forse siamo alla catarsi e dopo di lui potrà nascere un’altra politica, tutta da inventare. Forse.

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Quando i primi della classe cadono

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Diciamoci la verità, i primi della classe non sono mai simpatici. Li si guarda con fastidio, perché lui e non io? Oppure con sospetto, mah sarà davvero tanto bravo!? A volte poi succede che i primi della classe sbaglino. E noi mediocri godiamo. Giustamente. Sì, perché il primo della classe non ha meriti. Il più delle volte è arrivato in cima perché ha un talento che altri non possiedono, e il talento non se l’è mica conquistato. E’ arrivato per caso, come un 6 al superenalotto. O è arrivato per vie genetiche, perché la biologia non è democratica. Ci sono poi delle volte in cui il primo della classe non è davvero primo. Lo è diventato solo perché è ruffiano, paraculo  o raccomandato. Ecco quando cadono quei primi della classe, noi mediocri godiamo ancora di più.
Quelli che sono entrati a Palazzo Chigi un anno e mezzo fa, i Monti, Fornero, Passera, Ornaghi, Grilli e compagnia cantante ci sono stati venduti dalla stampa e dalle televisioni “importanti” (i giornali e le Tv che vogliono influenzare l’agenda del Paese, non raccontare i fatti) neppure come i primi della classe, ma come autentici fuoriclasse, di quelli che sei costretto a guardare con sudditanza: economisti e tecnici onniscienti, provenienti dalle migliori università, banche e accademie. Gente che con un solo battito di ciglia sparge saggezza in tutta una sala dove uditori adoranti attendono di essere illuminati. Ebbene, ora questi geni stanno ripiegando rovinosamente, in modo scomposto e senza orgoglio, al pari di soldati senza gloria e senza onore. Alzi la mano chi non si è vergognato di essere italiano ieri dopo aver visto Terzi e Di Paola, uno accanto all’altro alla Camera, uno che si dimetteva e l’altro no. Ma quei due lì, Bibì e Bibò della diplomazia nostrana, sono stati scelti da un uomo che il mese scorso, durante la campagna elettorale, di fronte alla domanda chiara di un giornalista (lei è favorevole o contrario ai matrimoni omosessuali?) ha gorgogliato e rantolato per sessanta secondi prima di rispondere in modo confuso.
Ecco chi erano, i salvatori della patria, i primi della classe. Che ora se ne andranno e, percorrendo a ritroso la strada che avevano disceso con tanta tracotanza, torneranno ai loro stipendi milionari nelle nostre università, nelle nostre banche e nelle nostre accademie. W l’Italia.