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Beppe Grillo, Internet, le anime belle e i demoni

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Ormai non passa giorno senza che editorialisti ed esperti di comunicazione digitale puntino il dito contro l’uso distorto di Internet compiuto da Beppe Grillo. L’accusa rivolta al leader del M5S è quella di consentire che il proprio blog e la propria pagina Facebook si riempiano di commenti diffamatori nei confronti di politici e giornalisti. Per provare in modo inconfutabile la compiacenza dell’ex comico (‘ex comico’ è un’espressione che non manca mai negli articoli dei detrattori) verso i toni populisti e fascistoidi (anche ‘toni populisti e fascistoidi’ è un’espressione molto in voga) alcuni si dilettano perfino a riportare nei propri articoli o nei propri post parte dei commenti lasciati dai lettori del blog di Grillo e non rimossi dallo stesso. Così tutti possono sapere, per esempio, che quando Grillo ha accusato Maria Novella Oppo, giornalista dell’Unità, di diffamare in modo costante e pubblicamente il M5S, i suoi seguaci e simpatizzanti hanno vergato in calce al post commenti di questo genere: “Che racchia. Pure raccomandata e sostenuta dai soldi pubblici” oppure “Vecchia baldraccona da strada” o ancora “È più bella che intelligente” e poi via con una sequenza impronunciabile di “Va a f…” e “Figlia di…”.
Ora vi domando: c’è qualcosa di più assoluto e immortale dell’eterno conflitto tra le anime pure e nobili, le anime ‘idiote’ dunque, per dirla con Dostoevsky, e le anime prosaiche, volgari e violente? Commenti come quelli appena riportati possiamo sentirli ogni giorno per strada. Perché la natura umana è fatta anche di questo, piaccia o no. Ovunque, nei peggiori bar di periferia come nei cosiddetti salotti buoni, si annidano persone sguaiate che sanno esprimersi solo in modo rozzo, formulare pareri grossolani e sentenziare scurrilità. Sono donne e uomini in carne e ossa. Esistevano prima che Grillo aprisse il suo blog e seguiteranno ad esistere e a spargere le loro lordure altrove anche qualora il blog di Grillo venisse chiuso o almeno censurato, come qualcuno auspica.
Margaret Thatcher nel 1987 definì l’African National Congress di Nelson Mandela una “tipica organizzazione terrorista”. E nei giorni scorsi, dopo la scomparsa del leader sudafricano, i suoi nemici si sono scatenati su Internet ricordando alcuni episodi sanguinari che ebbero come protagonisti sostenitori di MK, il braccio armato dell’African National Congress.
La nostra società è ipocrita. Si è assuefatta alla violenza fine a se stessa, quella narrata in forma compulsiva dai film e dai videogiochi, ma non sa accettare e riconoscere l’esistenza di una violenza che potremmo definire “nobile”, una violenza motivata dal senso di giustizia, o perlomeno tendente al giusto. Senza la quale quasi in ogni angolo del pianeta regnerebbero ancora dittature e soprusi di ogni genere. A questo rifiuto della violenza “positiva”, che talvolta può essere anche solo verbale, si unisce poi il cliché del politicamente corretto, che è la palude dentro la quale si vuole annegare ogni istanza di riscatto e di equità.
L’agire in modo pavido o, peggio ancora, calcolato di tante anime belle che scrivono sui quotidiani considerati vestali della libertà o che alimentano i propri blog di luoghi comuni con la speranza di essere notati dalla ‘grande’ editoria è ignobile almeno quanto lo sono gli insulti lasciati nei luoghi dalla rete Internet percorsi da Grillo.

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Beppe Grillo, la Terza Guerra Mondiale e la Rivoluzione del dopo-scuola

Matteo Renzi nell’intervista rilasciata a Il Foglio sostiene che alle prossime elezioni il Movimento 5 Stelle scomparirà e il Pd tornerà a conquistare gli elettori prestati a Beppe Grillo. Quest’ultimo è di parere opposto. A margine di un incontro elettorale a Ragusa, il leader del M5S ha ammesso qualche errore nella comunicazione, ma ha ribadito un concetto forte: «stiamo facendo una rivoluzione». Poi con il solito linguaggio ruvido e colorito ha anche spiegato che in corso «c’è la Terza guerra mondiale, ma non la fanno con i carri armati, la fanno con le banche, la finanza e la politica». Si è dimenticato i giornali, o forse ha ritenuto che fosse superfluo citarli visto che la gran parte, quasi tutti, sono sotto lo scacco di banche, finanza e politica. In ogni caso questa frase, che è stata commentata da alcuni come la solita maldestra boutade grillesca, contiene un fondo di verità. La potenza di fuoco che quotidianamente viene messa in campo da quotidiani e periodici e dal loro codazzo di opinionisti, editorialisti, trombettieri e tromboni delle larghe intese contro Grillo e il M5S ha pochi precedenti. Ne ho parlato qui qualche giorno fa. Non passa giorno senza che tutta l’editoria nostrana di finanza e di banca, ma anche di calcestruzzo e di cliniche, tenti di convincere l’opinione pubblica che Beppe Grillo è quanto di peggio e terribile abbiamo oggi in Italia. D’accordo, gli eletti del M5S hanno prestato il fianco e anche qualcosa di più. Alcuni di loro si sono resi ridicoli agli occhi degli italiani, specialmente di quelli che li hanno votati. Vito Crimi che dorme in Aula (fosse stato il primo!), Roberta Lombardi che straparla, l’incresciosa vicenda della diaria hanno dato la stura a un valzer di editoriali e commenti che poi sono sfociati nelle invettive della Rete. Dunque sì, ha ragione Grillo, è in corso una guerra, magari non mondiale, ma civile, nel senso di interna. Piaccia o no, occorre riconoscere che Grillo ha toccato i gangli vitali di un sistema corrotto, marcio dall’interno. Le sue sparate, a volte rozze e indifendibili secondo i principi del ‘politicamente corretto’ (espressione che spesso serve a mascherare l’impossibilità di affermare la verità), hanno messo nel mirino, tanto per rimanere fedeli a un vocabolario guerresco, tutte le caste protette: non soltanto quella politica, nei cui confronti il disprezzo è ormai diffuso, ma anche la casta dell’informazione, della finanza, dei patti di sindacato, dei monopoli e via discorrendo. Insomma, da qualche tempo Grillo se ne esce dal suo camper e spara a zero contro il putridume e il ciarpame che avvolge questo Paese. Perciò fa paura a molti. Il suo linguaggio è impetuoso e irriverente, ma autentico e attuale. Dietro i suoi modi bellicosi in realtà è struggente e indifeso. Non cerca sponde, non cerca alleanze. Tira dritto, menando fendenti contro il Corriere delle banche, La Repubblica di De Benedetti, le Tv di Berlusconi, il Sole (ormai molto offuscato) di Confindustria. Spiazza per la lealtà e l’imprevedibilità dei suoi affondi. In questo  ricorda a volte Pasolini, benché il paragone, lo so, farà rizzare i capelli a molti, e io per primo metto le mani avanti riconoscendo che si tratta di due vicende umane e due intelligenze profondamente differenti. Tuttavia c’è un tratto pasoliniano nella capacità di Grillo di scartare gli abbracci soffocanti, nel desiderio di non farsi etichettare e intrappolare. Grillo però ha una visione manichea del potere che Pasolini non amava. E in questo aspetto è racchiusa tutta la debolezza della sua proposta politica. Credere che gli onesti e le persone animate da una bontà disarmante e un’innocenza assoluta, simili a tanti dostoevskijani principi Myskin, si schierino solo dalla sua parte, mentre dall’altra siedono tutti gli impuri e i corrotti è una semplificazione inaccettabile. Le rivoluzioni richiedono enormi sacrifici e il più delle volte sfociano lo stesso in cocenti delusioni. C’è un evidente contrasto tra la constatazione di Grillo, «c’è la Terza guerra mondiale», e il metodo scelto per fronteggiarla, cioè portando volti apparentemente nuovi in Parlamento, molti dei quali però saranno già vecchi appena varcata la soglia del Palazzo. Perché a uno Stato, come a un uomo, è difficile insegnare la morale una volta che si è superata l’età dell’infanzia. Come diceva Sciascia, bisogna farlo nelle scuole elementari, dopo è già tardi.

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In guardia popolo, chi segue Grillo avrà la testa mozzata

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Punto primo: non ho votato M5S. Punto secondo: non voto da anni.
Ma più passano i giorni, le settimane, e più simpatia nutro per Beppe Grillo. Nonostante le gaffe dei deputati grillini e la spocchia dei capigruppo grillini. Nonostante indennità, diaria e rimborsi. Nonostante i dissidenti e i transfughi. L’Italia è un museo dei vizi, una scuola di depravazione, una sentina d’impurità, una nazione senza pudore né dignità, diceva Curzio Malaparte. E fino a prova contraria, i grillini sono italiani. Dunque incarnano qualità e i difetti di tutti gli italiani.
Ma la potenza di fuoco che quotidianamente viene messa in campo dai giornaloni e dal loro codazzo di opinionisti, editorialisti, trombettieri e tromboni delle larghe intese suscita più di un sospetto anche in un idiota come me. Per tutti questi commentatori Beppe Grillo è un settario e un irresponsabile. Loro che, con i loro grandi gruppi editoriali, da anni ci vendono come riforme ineluttabili la perdita dei diritti e della dignità sociale; che hanno difeso a spada tratta il Fiscal Compact e l’Europa dei banchieri e dei burocrati; che hanno esaltato prima l’agenda Monti come la sola via e ora il governo Letta come un’opportunità unica; che blaterano di povertà come si blatera di tutto ciò che risulta misterioso, esotico, nuovo, ma un precario o un disoccupato non l’hanno mai visto dal vivo; loro oggi sono uniti dall’odio verso Beppe Grillo. Perché? Perché non passa giorno senza che il Corriere della Sera e tutta l’editoria di finanza e di banca, di calcestruzzo e di cliniche, entrino in trincea?
Non vi fa un po’ impressione questo attacco generale espresso con titoloni e corsivi? Non trovate singolare che il “fior fiore” del giornalismo italiano tenda a convincere l’opinione pubblica che Beppe Grillo è tutto ciò che di peggio e terribile abbiamo oggi in Italia? Insomma, non vi inquieta un po’ questa militarizzazione? Dov’è finito il famoso mastino del Quarto Potere quando si tratta di far vedere i sorci verdi agli imprenditori italiani che fanno realizzare i loro prodotti nei Paesi in via di sviluppo a lavoratori (uomini, donne e bambini) pagati pochi spiccioli in assenza dei più elementari diritti? Eh, non hanno tempo né spazio da dedicare a queste bazzecole presi come sono ad azzannare i polpacci di Beppe Grillo. Fiato alle trombe, inizia l’editoriale unico dei gazzettieri multipli contro il comico! E alla domanda – perché? – rispondo pasolinianamente: Io so. Ma non ho le prove.
Insomma più passano i giorni da quel 25 febbraio, più la stampa italiana, almeno tutta quella parte, ed è tanta, che agisce come uno yorkshire di compagnia a chiunque detenga il potere, mi chiarisce le idee. In guardia popolo, chi segue Grillo avrà la testa mozzata.

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Ecologisti: estinti o risorti?

Nel 1986 il Wwf Internazionale scelse di festeggiare il 25° anniversario della sua fondazione ad Assisi. Per l’occasione quattro cortei si mossero da Cortona, Gubbio, Nocera Umbra e Spoleto in direzione della città di San Francesco. I pellegrini in Marcia per la Natura furono accolti uno a uno dal principe Filippo di Edinburgo, all’epoca presidente del sodalizio, la sera del 28 settembre. Tutti insieme furono poi ristorati nella “Selva” del Sacro Convento. assisiIl giorno seguente, nella Basilica Superiore, si celebrò un’emozionante cerimonia interreligiosa: i rappresentanti di cinque delle maggiori religioni mondiali (buddisti, cristiani, ebrei, induisti, musulmani) si riunirono in uno storico incontro in favore della natura. Poiché in quegli anni lavoravo presso gli uffici milanesi del Wwf, ebbi la fortuna di partecipare ai festeggiamenti. Solo anni dopo, però, compresi di avere assistito a quello che sarebbe diventato il momento più alto dell’intero movimento ecologista in Italia. Erano gli anni rampanti dell’edonismo reganiano e di una generazione di giovani arrivisti e arroganti, tuttavia nel nostro Paese le associazioni ambientaliste riuscirono, almeno a tratti, a dettare l’agenda politica, costringendo l’opinione pubblica e la classe politica a confrontarsi con temi quali la perdita della biodiversità, la distruzione degli ecosistemi e i limiti delle risorse. Continua a leggere

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Consumo quindi sono?

Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, è un uomo pratico, dallo spiccato accento lombardo che trasuda voglia di fare e gronda concretezza. Non ha nulla di quel temperamento aristocratico di certi imprenditori, per intenderci alla Montezemolo. Parla in modo pacato e chiaro. Ieri nello studio di Che tempo che fa ha detto cose perlopiù ragionevoli, anzi così assennate da non strappare applausi. Sollecitato da Fazio, ha parlato anche del Movimento 5 Stelle. “Alcuni punti del programma sono anche condivisibili, ma non sono assolutamente d’accordo con l’idea della decrescita felice” ha detto Squinzi. Poi il presidente di Confindustria ha ricordato che “solo l’impresa può creare ricchezza, valore sociale e occupazione”. Tutto vero, ma a una condizione: che i consumatori consumino. Altrimenti l’impresa in quanto tale produce debiti e disoccupazione. Squinzi ha recitato con onestà la sua parte, quella di un imprenditore a capo degli imprenditori. Tuttavia continuare a praticare come una sorta di fede il mito della crescita non porta lontano. Proteggere l’occupazione e creare altri posti di lavoro è di assoluta importanza, ma al tempo stesso abbiamo anche urgente bisogno di un rinnovato senso di prosperità. Al momento nessuno propone un nuovo modello compiuto, una ricetta chiavi in mano. Ma tutti, imprenditori compresi, devono concorrere alla nascita di un’economia onesta, finalmente realistica, pensata per un pianeta dalle risorse limitate. Nel quale sia possibile avere un sereno benessere senza invocare la bulimia consumistica.

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Corsi e ricorsi

“Noi non eravamo nulla e non avevamo nulla. Siamo arrivati ai vertici dello Stato per cambiare le cose, armati solo delle nostre convinzioni, delle nostre forze. Abbiamo affrontato grandi fatiche e grandi sacrifici in nome di un ideale, con l’aspirazione di non subire più la storia, ma di divenirne artefici”. Sono pressoché certo che se domandassi a dieci persone da dove provengono queste parole, almeno la metà risponderebbe dal blog di Beppe Grillo o dal profilo Facebook di qualche esponete del M5S. E invece no. Sono prese dalla prefazione di Storia di un militante, un recente e-book (a breve pare anche in versione cartacea) di Roberto Castelli, nel quale l’ex ministro della Giustizia ripercorre i primi anni della Lega. Molto prima che l’ondata padana invadesse la Capitale, c’era già stata l’esperienza dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. Due rovinosi precedenti per Grillo. La meteora di Giannini si disintegrò in pochissimo tempo, la parabola di Bossi si è spenta tra cerchi magici e compromissioni di vario genere. Ha dichiarato Castelli con quel suo solito ruvido linguaggio: “Roma, come tutte le grandi capitali, è un po’ puttana, ti prende, ti affascina. È accaduto a molti di noi, che si sono persi dietro a privilegi e poltrone”. Cos’è la vita se non la scoperta di ciò che siamo?

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La faccia buona della cattiva politica

Niente di nuovo dal Parlamento italiano. No, non mi riferisco alla bagarre che ha investito il Movimento 5 stelle, messo già alla prova da tradimenti, voglia di epurazioni e umane debolezze. Sto parlando invece dei nuovi presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso. Ma come? – direte voi – sono nomi nuovi, eccome! Sì, certo, se paragonati a Schifani o al duo Franceschini-Finocchiaro, indigesto a tutti, perfino agli iscritti al Pd, sono freschi novelli. Vecchio è il metodo. Vecchio è il ricorso alle bandiere da sventolare, alle icone da esibire quando non si hanno programmi. La paladina dei popoli in fuga e il procuratore nazionale antimafia sono diventati i presidenti delle due Camere nel Paese messo ripetutamente all’indice da Human Rights Watch per le accuse di xenofobia, discriminazioni e respingimenti, nel Paese divorato da ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra. La mappa della criminalità organizzata in Italia è in costante espansione e le recenti prove delle infiltrazioni nelle regioni del Nord lo confermano. Nella Piana di Gioia Tauro e in molte altre parti i migranti africani sono trattati come schiavi. Siamo davvero disposti a credere che tutto questo cambierà solo per avere udito tromboneggiare alla Camera e al Senato opinioni generosamente generiche e ingenuamente ideologiche? Siate buoni, se potete. Vogliamoci bene. E vogliamone soprattutto ai deboli, giacché ci siamo. Il Parlamento vestito di nuovo è caduto in un equivoco di sostanza: credere che sia sufficiente esporre qualche icona per opporsi ai problemacci della vita. Sarebbe il momento di ostentare intelligenza più che simboli. Invece continuiamo a illuderci che sia sufficiente citare Madre Teresa per sentirsi misericordiosi e Martin Luther King per apparire tolleranti e giusti. Di questo passo aspettiamoci un governo “poetico”.

 

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Giù le mani!

pasoliniCon un post pubblicato ieri sul blog di Beppe Grillo, Paolo Becchi, il “filosofo” del Movimento 5 Stelle, ha tentato di appropriarsi dell’eredità intellettuale di Pier Paolo Pasolini citando il verso di una sua poesia: “Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni) vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio delle Università) il culo”. Il professor Becchi ha usato l’intellettuale Pasolini come una clave per dare in testa agli “intellettuali” de La Repubblica. E fin qui passi, anzi si può perfino condividere lo scopo. I problemi sono altri. Primo: il verso richiamato da Becchi andrebbe riportato interamente: “Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni) vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio delle Università) il culo. Io no, amici. Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente”. Pasolini in quella poesia (Il Pci ai giovani!!) parla dei fatti di Valle Giulia, schierandosi dalla parte dei poliziotti, non dei manifestanti universitari. Secondo: come capita alle icone, Pasolini è strattonato spesso di qua e di là, citato a sproposito, evocato per comodità. Salvo poi essere gettato nel fuoco quando occorre liberarsene. Gli intellettuali di sinistra italiani, da Asor Rosa a Sanguineti, lo sanno bene. Forse sarebbe meglio citarlo un po’ meno e leggerlo di più.