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Silenzio, parla Oscar Farinetti!

Oscar Farinetti -eataly smeraldo

L’altra sera al Tg3 mi è capitato di vedere Oscar Farinetti mentre presentava Eataly Smeraldo, il nuovo supermercato del cibo che domani aprirà i battenti a Milano, proprio laddove una volta c’era il Teatro Smeraldo. Quando si parla di Oscar Farinetti è facile cadere nei luoghi comuni e usare espressioni del tipo “guru della sinistra”, “re del made in Italy culinario”, “renziano doc”. Vorrei invece ricordarlo per altri passaggi della sua carriera: agli inizi degli anni Ottanta fu segretario cittadino del Psi craxiano nella sua Alba, poi fondatore di Unieuro, la catena di centri commerciali che forse più di ogni altra ha spinto l’acceleratore sui consumi illimitati e superflui e sulla fabbrica dell’uomo perennemente indebitato e del consumatore privo di facoltà raziocinante; infine è stato inventore di Eataly, impresa nata a Torino, al Lingotto, tra polemiche che nessuno più ricorda e vuole ricordare, e presto assurta a simbolo dell’Italia che piace. Oggi Eataly, partecipata al 40% da Coop, è presente a Roma, Firenze, Genova, New York, Chicago, Tokio. Da domani sarà appunto anche a Milano. I negozi Eataly sono considerati luoghi di culto, dove non ci si limita a comprare acciughe e caciotta, ma si vive un’esperienza, ci si istruisce, si studiano le nostre radici. A me, come forse ad altri, Oscar Farinetti è sempre parso molto furbo. Un uomo che sa  coltivare le amicizie giuste e fare buoni affari, assai abile poi nel spacciarli per operazioni intrise di cultura e interessi diffusi. L’altra sera, al Tg3, ha un poco esagerato, ma è nel suo stile. Con un calice di vino bianco nella mano sinistra, di fronte al microfono di un cronista compiacente ha srotolato il suo credo: «La nostra non è una catena, aborro i luoghi tutti uguali. Questo (riferendosi al luogo su cui sorgeva il Teatro Smeraldo) è il luogo dove lo spettacolo del cibo può incontrare quello della musica. Le foto di Celentano, Mina, Gaber, Jannacci, ricordano la storia di questo teatro, fondato nel 1942, dove sono passati tutti i più grandi». Già, e dove non passeranno più, perché d’ora in poi al posto del palcoscenico e delle poltroncine rosse ci saranno scaffali colmi di pecorino e prosciutto pepato. Insomma un luogo che evoca  le corsie di un autogrill più che la sala di un teatro. L’indomito Farinetti ha pure aggiunto con tono afflitto che «l’Italia è un Paese strano, dove chiudono le librerie e i teatri». Be’ dove ce n’era uno, lui si appresta a vendere salumi e mozzarella. Comunque migliaia di milanesi e di turisti si metteranno in coda, perché non visitare Eataly è impensabile. Magari potranno evitare di entrare al Refettorio di Santa Maria delle Grazie per osservare il Cenacolo, scanseranno la Pinacoteca Ambrosiana e anche quella di Brera, ma Eataly non se lo perderanno. E la stampa celebrerà il successo di questo imprenditore illuminato che ha saputo coniugare le espressioni migliori del nostro Paese: la buona cucina e la cultura. Per quanto riguarda quest’ultima sarà sufficiente esporre un po’ di libri qua e là, tra un tocco di taleggio e una triglia, e invitare qualche nome altisonante ad esibirsi nelle giornate inaugurali. Si apre domani, mettetevi in coda, siori e siore! Oscar ha scelto non a caso il 18 marzo, data in cui si rievoca la prima delle Cinque Giornate di Milano. Perché lui vorrebbe che questo progetto facesse parte del nuovo Risorgimento italiano. Del resto un tempo inondavamo il mondo con le arie di Verdi, oggi, se va bene, con il prosciutto di Parma. Quello autentico, non contraffatto.

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