Chissà se i delegati del Touring Club Italiano e del Wwf avranno spiegato a Bersani la portata di ciò che ha fatto l’altro ieri Barack Obama. Il presidente Usa ha proclamato cinque nuovi monumenti nazionali: sono il Charles Young Buffalo Soldiers in Ohio, che preserva la casa del primo colonnello afroamericano, il First State in Delaware, che racconta la storia del primo Stato americano a ratificare la Costituzione, l’Harriet Tubman Underground Railroad in Maryland, che celebra la vita di un conduttore di treni e attivista per i diritti degli afroamericani, il canyon del Rio Grande del Norte in New Mexico e l’arcipelago San Juan Islands nello Stato di Washington. “Questi siti onorano gli eroi pionieri, i paesaggi spettacolari e la ricca storia che hanno plasmato il nostro Paese straordinario. La loro nomina a monumenti nazionali fa in modo che possano continuare a ispirare e essere goduti dalle future generazioni di americani” ha affermato il presidente durante la cerimonia di proclamazione. Nel suo primo mandato Obama aveva già “promosso” altri quattro siti. La legge che permette la nomina di monumenti storici, l’Antiquities Act, fu istituita nel 1906 dal presidente Theodore Roosevelt.
Secondo uno studio della National Parks and Conservation Association, ogni dollaro investito nei parchi nazionali genera almeno quattro dollari di indotto. Negli Stati Uniti le attività ricreative all’aperto creano un giro d’affari annuo di 646 miliardi di dollari, dando lavoro a più di sei milioni di persone.
Ci rendiamo conto di cosa si potrebbe fare in Italia? Ce lo sentiamo ripetere in continuazione: siamo il Paese che conserva la più alta percentuale di beni culturali al mondo. Ma il modo in cui trattiamo tutto questo ben di Dio è sconfortante. C’è chi dice che il nostro è un problema di abbondanza. Troppi beni architettonici e paesaggistici, troppi siti archeologici, troppe opere d’arte da tutelare. Ma se non sappiamo neppure quanti sono! Non esiste oggi una catalogazione dei nostri beni, specialmente dei reperti archeologici. E per i grandi musei statali non esiste una stima del valore delle opere possedute. Molte delle quali restano chiuse nei magazzini. Serve sollevare ancora una volta lo scandalo della gestione di Pompei? In nessun altro luogo al mondo un’area archeologica tanto importante sarebbe abbandonata all’incuria e al degrado in modo così riprovevole. Da noi si aspetta il prossimo crollo prima di tornare ad occuparcene.
I nostri politici da anni ripetono al pari di scimmiette ammaestrate: “la cultura deve agire come volano reale per la crescita”. Ma la verità è un’altra: in Italia la cultura e la natura non sono viste come occasioni di sviluppo. Ci si strappa le vesti contro il vandalismo e contro i musei che non possono competere con quelli delle altre nazioni. Ma poi quando si tratta di investire, non si investe. I fondi per i beni artistici e culturali sono allo 0,19% della spesa pubblica. Eppure qui si parla di crescita. Quella vera!