No, non stiamo parlando di Emma Bovary, mi rendo conto che il titolo potrebbe ingannare. Stiamo parlando invece di Emma Bonino. L’audizione davanti alle commissioni Esteri e Diritti umani di Palazzo Madama ha un che di imbarazzante, inutile negarlo. Lei, la paladina di tutte le battaglie civili, una vita per i diritti, e alla fine è chiamata a chiarire la sua posizione nell’imbarazzante affaire Shalabayeva, come un Alfano qualsiasi. Perché non ha fatto nulla negli ultimi due mesi per denunciare la vicenda? Ma soprattutto, avrebbe potuto fare qualcosa? Queste le domande che ha dovuto affrontare il ministro, nell’illustrare ai senatori anche le prossime mosse del governo italiano. Che tristezza. E pensare che anni fa ho anche sostenuto l’iniziativa ‘Emma for President’.
Per Emma Bonino le accuse di queste settimane sono un paradosso. Sempre controcorrente, sempre dalla parte dei più deboli, e ora la sua storia rischia di rimanere indelebilmente macchiata dalla questione kazaka. Sì, perché a Emma Bonino io vorrei chiedere non tanto di chiarire una volta per tutte la sua posizione nella vicenda Shalabayeva, ma piuttosto cosa ci faceva in Kazakistan, a casa di un dittatore e a braccetto di un’azienda più che compromessa in tema di tutela dei diritti umani (l’Eni), nel 2007 insieme a Prodi?
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Noi siamo così
A volte mi domando come sarebbe stata l’Italia se non avesse avuto una monarchia debole e acerba, una dittatura ventennale e una repubblica caduta nel ridicolo. Come sarebbe stata senza quarant’anni di strapotere democristiano. Senza i governi forchettoni e i governi balneari. Senza i governi monocolore, il pentapartito, l’apertura a sinistra e il compromesso storico. Senza la concertazione, senza la crisi della Balena bianca, senza le stragi, senza la P2, senza gli anni ruggenti dei socialisti, le ambiguità dei comunisti, le velleità dei riformisti. Senza dorotei, morotei, fanfaniani e andreottiani. Senza miglioristi, berlingueriani, ingraiani e cossuttiani. Senza il Vaticano. Senza la democrazia bloccata. Senza il C.A.F. (dall’acronimo di Craxi-Andreotti-Forlani). Senza Gladio. Senza la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra. Senza le leghe. Senza la Seconda Repubblica che si è rivelata peggio della prima.
Già, la Seconda Repubblica. Me la ricordo ancora la scritta che ha campeggiato per lungo tempo sul cavalcavia di Piazzale Kennedy a Milano: ‘W Di Pietro’. Era il ’92, l’intera classe politica italiana stava per essere spazzata via dalle inchieste giudiziarie che come in un risiko si abbattevano l’una sull’altra. Che poi, intera no. La furia dei giudici alla fine ha risparmiato l’allora Pci-Pds (sì è vero, fu rasa al suolo la federazione pidiessina milanese, ma l’inchiesta nazionale si fermò alle soglie di Botteghe Oscure) mentre buona parte dei democristiani e socialisti sopravvissuti e le frattaglie dell’ex pentapartito sono migrate verso Forza Italia. Ma allora, nel ’92, alcuni italiani scrivevano ‘W Di Pietro’, in Piazzale Kennedy. E tu guarda come a volta sono proprio i dettagli a svelarti il prosieguo delle storie. John Fitzgerald Kennedy è ricordato per frasi come: «Non chiederti che cosa può fare il tuo paese per te, ma chiediti che cosa puoi fare tu per il tuo paese». Tonino Di Pietro per altre del tipo: «Non sono un politico e non penso di entrare in politica. Ma potete voi escludere la possibilità di vestirvi domani da donna?». In ogni caso, la parabola politica dell’ex Pm di Mani Pulite è andata come tutti sappiamo e Tangentopoli non è stata affatto una rivoluzione. Fra qualche tempo qualcuno probabilmente si domanderà come sarebbe stata l’Italia se non avesse avuto vent’anni di berlusconismo e una repubblica caduta nel ridicolo. Come sarebbe stata senza lo strapotere delle banche e della finanza. Senza i ricatti della sinistra arcobaleno e dell’Udc, senza lo sciagurato ciclo del bipolarismo confuso. Senza Previti e Dell’Utri. Senza Mastella, Giovanardi, Follini e Casini. Senza gli ex fascisti e i post fascisti. Senza i governi Dini, Prodi e D’Alema che hanno svenduto le aziende di Stato alla solita oligarchia economico-finanziaria. Senza il partito-giornale e le Tv-partito, senza gli scandali Cirio e Parmalat, le scalate bancarie del 2005, l’Opa di Unipol su Bnl. Senza l’onerosissimo salvataggio di Alitalia, senza Telecom data in pasto prima a Colaninno poi a Tronchetti Provera. Senza i governi tecnici e i governi delle larghe intese. Senza il manto quirinalizio su ogni tentativo di riforma.
Senza “er batman”, Belsito e Lusi. Ecco, fermiamoci qui, a questi nomi. Sono l’espressione più compiuta della gens che è prosperata nei pascoli della Seconda Repubblica. Razza predona, arraffona, spregiudicata e ingorda. Sono passati più di vent’anni da quel 1992, e ci siamo accorti che sono trascorsi in un lungo bunga-bunga al cui richiamo in pochi si sono sottratti. Il dolce fardello dei soldi ha avvinto tutti: leader agili nel cambio di maglia e identità, sigle fantasma, una girandola di correnti e di fondazioni. Credevamo di avere visto il volto più brutto della politica e invece il peggio doveva ancora arrivare. L’ex tesoriere della Dc Severino Citaristi, scomparso nel 2006, all’epoca di Tangentopoli fu raggiunto da 74 avvisi di garanzia, un record per cui divenne il simbolo dell’inchiesta. Ha poi ammesso di avere ricevuto le tangenti, ma ha sempre negato qualsiasi interesse personale («non ho mai preso una lira per me», «non ho mai corrotto nessuno» ripeteva) e ha sempre sottolineato che «tutti le prendevano». Altri tempi. Perfino le ruberie erano più nobili, e non si tratta solo di nostalgia del passato.
«C’era la delegazione di Craxi in visita in Cina, erano a cena, mangiavano. A un certo punto Martelli ha chiesto a Craxi: Senti, ma davvero qui sono un miliardo, tutti socialisti? Ma se sono tutti socialisti, a chi rubano?». Beppe Grillo, allora era un comico e faceva solo ridere, chiuse con questa battuta nello studio di Fantastico 7 la sua carriera alla Rai. Era il 15 dicembre 1986. Per la risposta si è dovuto attendere più di un quarto di secolo.