Il decadimento della politica italiana è stato preceduto dall’uso insistente di parole trite, tristi, vecchie, stanche. E l’informazione, quella stessa informazione che crede di meritarsi la “i” maiuscola quando invece è solo la corte minuscola della stessa politica, ha assecondato, anzi rafforzato questi questi riti vuoti, questi panegirici estenuanti. I protagonisti che hanno tentato di sparigliare sono finiti nel tritacarne ed espressioni come “teatrino della politica” o “rottamazione” hanno presto assunto lo stesso fascino di centralismo democratico, unità d’intenti, convergenze parallele, tavolo di concertazione, blocco sociale, forte condivisione, abbassare i toni, situazione contingente, mettere in campo delle politiche, larghe intese, vibrante monito. Per favore, basta! Smettetela. Esiste qualcuno capace di farci riscoprire che si può parlare di politica senza tutto questo grigiume? Capace di farci innamorare della cosa pubblica e assaporare il gusto di governare insieme il nostro domani? Capace di esprimere passione, coraggio, bellezza. Se c’è, batta un colto. Anzi dica una parola. Chiara, semplice, facile.
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Beppe Grillo, la Terza Guerra Mondiale e la Rivoluzione del dopo-scuola
Matteo Renzi nell’intervista rilasciata a Il Foglio sostiene che alle prossime elezioni il Movimento 5 Stelle scomparirà e il Pd tornerà a conquistare gli elettori prestati a Beppe Grillo. Quest’ultimo è di parere opposto. A margine di un incontro elettorale a Ragusa, il leader del M5S ha ammesso qualche errore nella comunicazione, ma ha ribadito un concetto forte: «stiamo facendo una rivoluzione». Poi con il solito linguaggio ruvido e colorito ha anche spiegato che in corso «c’è la Terza guerra mondiale, ma non la fanno con i carri armati, la fanno con le banche, la finanza e la politica». Si è dimenticato i giornali, o forse ha ritenuto che fosse superfluo citarli visto che la gran parte, quasi tutti, sono sotto lo scacco di banche, finanza e politica. In ogni caso questa frase, che è stata commentata da alcuni come la solita maldestra boutade grillesca, contiene un fondo di verità. La potenza di fuoco che quotidianamente viene messa in campo da quotidiani e periodici e dal loro codazzo di opinionisti, editorialisti, trombettieri e tromboni delle larghe intese contro Grillo e il M5S ha pochi precedenti. Ne ho parlato qui qualche giorno fa. Non passa giorno senza che tutta l’editoria nostrana di finanza e di banca, ma anche di calcestruzzo e di cliniche, tenti di convincere l’opinione pubblica che Beppe Grillo è quanto di peggio e terribile abbiamo oggi in Italia. D’accordo, gli eletti del M5S hanno prestato il fianco e anche qualcosa di più. Alcuni di loro si sono resi ridicoli agli occhi degli italiani, specialmente di quelli che li hanno votati. Vito Crimi che dorme in Aula (fosse stato il primo!), Roberta Lombardi che straparla, l’incresciosa vicenda della diaria hanno dato la stura a un valzer di editoriali e commenti che poi sono sfociati nelle invettive della Rete. Dunque sì, ha ragione Grillo, è in corso una guerra, magari non mondiale, ma civile, nel senso di interna. Piaccia o no, occorre riconoscere che Grillo ha toccato i gangli vitali di un sistema corrotto, marcio dall’interno. Le sue sparate, a volte rozze e indifendibili secondo i principi del ‘politicamente corretto’ (espressione che spesso serve a mascherare l’impossibilità di affermare la verità), hanno messo nel mirino, tanto per rimanere fedeli a un vocabolario guerresco, tutte le caste protette: non soltanto quella politica, nei cui confronti il disprezzo è ormai diffuso, ma anche la casta dell’informazione, della finanza, dei patti di sindacato, dei monopoli e via discorrendo. Insomma, da qualche tempo Grillo se ne esce dal suo camper e spara a zero contro il putridume e il ciarpame che avvolge questo Paese. Perciò fa paura a molti. Il suo linguaggio è impetuoso e irriverente, ma autentico e attuale. Dietro i suoi modi bellicosi in realtà è struggente e indifeso. Non cerca sponde, non cerca alleanze. Tira dritto, menando fendenti contro il Corriere delle banche, La Repubblica di De Benedetti, le Tv di Berlusconi, il Sole (ormai molto offuscato) di Confindustria. Spiazza per la lealtà e l’imprevedibilità dei suoi affondi. In questo ricorda a volte Pasolini, benché il paragone, lo so, farà rizzare i capelli a molti, e io per primo metto le mani avanti riconoscendo che si tratta di due vicende umane e due intelligenze profondamente differenti. Tuttavia c’è un tratto pasoliniano nella capacità di Grillo di scartare gli abbracci soffocanti, nel desiderio di non farsi etichettare e intrappolare. Grillo però ha una visione manichea del potere che Pasolini non amava. E in questo aspetto è racchiusa tutta la debolezza della sua proposta politica. Credere che gli onesti e le persone animate da una bontà disarmante e un’innocenza assoluta, simili a tanti dostoevskijani principi Myskin, si schierino solo dalla sua parte, mentre dall’altra siedono tutti gli impuri e i corrotti è una semplificazione inaccettabile. Le rivoluzioni richiedono enormi sacrifici e il più delle volte sfociano lo stesso in cocenti delusioni. C’è un evidente contrasto tra la constatazione di Grillo, «c’è la Terza guerra mondiale», e il metodo scelto per fronteggiarla, cioè portando volti apparentemente nuovi in Parlamento, molti dei quali però saranno già vecchi appena varcata la soglia del Palazzo. Perché a uno Stato, come a un uomo, è difficile insegnare la morale una volta che si è superata l’età dell’infanzia. Come diceva Sciascia, bisogna farlo nelle scuole elementari, dopo è già tardi.