Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quella che viene già chiamata “nuova tangentopoli” (e che in realtà è una serie di “tangentopoli” istituitasi a sistema dentro i centri del potere).
Io so perché l’Expo dei corrotti non si può fermare.
Io so perché tutti adesso invocano l’emergenza cantieri.
Io so che molti dei politici citati nelle intercettazioni ora diranno: sono solo millanterie!
Io so che lo Stato non è più forte dei ladri, perché i ladri sono anche dentro lo Stato.
Io so che ci saranno sempre un Greganti o un Frigerio da immolare.
Io so perché i comandanti “traditi” dai loro vice dichiarano di volersi dimettere, ma poi restano al loro posto.
Io so che il partito dei Dell’Utri, dei Cosentino e degli Scajola non è poi così diverso da quello dei De Gregorio, dei Razzi, degli Scilipoti e dei vari transfughi dall’Udeur e neppure da quello che tollera il “sistema Sesto”, il “compagno G” e compagnia cantante.
Io so che faccia hanno i corruttori seriali.
Io so che mentre molti si indignano, si consumano feste e festicciole per sostenere i candidati alle prossime Europee dove si vedono facce che nessuna persona per bene inviterebbe a casa propria.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato sia la vecchia tangentopoli, sia la nuova tangentopoli, sia infine gli “ignoti” autori materiali di tutti gli episodi di corruzione più recenti.
Io so i nomi del gruppo di potenti che sono sempre pronti a ricostruirsi una verginità.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, assicurano la protezione a vecchi e giovani faccendieri.
Io so i nomi dei personaggi grigi che non si espongono mai.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai criminali comuni e ai tragicomici malfattori dati in pasto alla stampa.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
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Pasticcio kazako: se la nostra credibilità passa per le parole di Scajola e Treu
Le cose in Italia non funzionano (ed è evidente che da qui in avanti andrà solo peggio) e lo rivelano anche piccoli dettagli. Che poi tanto piccoli non sono. Prendiamo il caso del brutto pasticciaccio kazako. Ed esaminiamo alcuni commenti ripresi dai giornali in questi ultimi due giorni. Ieri Il Fatto Quotidiano ha ospitato un’intervista a Claudio Scajola. L‘ex ministro degli Interni, forte della sua esperienza, dice due cose importanti: primo, Alfano non poteva non sapere, secondo, l’Eni in Kazakistan ha investito tanto e ci sono affari importanti in corso. Bravo Scajola, chiaro e incisivo. Ma, un momento, Scajola chi? Quello finito nella bufera e dimessosi per lo scandalo della casa pagata “a sua insaputa”? Ebbene sì, proprio lui.
Oggi Linkiesta pubblica un ampio servizio in cui spiega che da Vendola a Berlusconi, passando per Prodi, Italia intera è stata ai piedi di Nazarbayev, con l’inevitabile codazzo di imprese grandi e piccole. È antipatico quanto sto per fare, però sostanzialmente è lo stesso concetto che ho espresso nel mio post di ieri. Linkiesta naturalmente si avvale di ben altri mezzi, esperienza e mestiere del sottoscritto, quindi fornisce un nutrito numero di esempi per provare la nostra ‘sudditanza’ politico-economica verso il Kazakistan. Un ottimo servizio, a parte l’incauta scelta di raccogliere un commento di Tiziano Treu: «Un brutto affare. Sono rimasto scioccato». Ma, un momento, Treu chi? Quello che è stato ministro del lavoro nei Governi Dini, Prodi I e D’Alema e promotore del cosiddetto “Pacchetto (guarda te, a volte i nomi!) Treu” che ufficialmente ha introdotto in Italia il principio della flessibilità del lavoro, nella pratica tradottosi in precariato e diseguaglianze sociali? Ebbene sì, proprio lui. Lo stesso Tiziano Treu peraltro è da anni il presidente del consiglio di cooperazione tra Italia e Kazakistan e viene da domandarsi come mai non sia mai rimasto scioccato dalla continua violazione dei diritti umani nel Paese asiatico: sindacalisti misteriosamente uccisi, radio e televisioni chiuse e perquisite, giornalisti aggrediti, lavoratori e manifestanti rinchiusi in carcere senza accuse. Molti nostri politici sembrano essersi accorti di tutto questo solo oggi, ma da tempo la comunità internazionale denuncia la situazione. All’inizio dell’anno passato l’Ocse definì le elezioni appena avvenute “non democratiche”. Ora, se in Italia affidiamo a figure come Scajola e Treu il ruolo di interpretare lo sdegno per quanto è accaduto, ciò significa che siamo proprio finiti. La collusione con le autorità del Kazakistan non è un fatto ristretto a qualche politico e un paio di aziende corrotte o corruttibili. No, qui c’è un intero Paese, il nostro, con i suoi governanti e i suoi imprenditori, pronto a fare affari con chiunque. In Kazakistan come in Nigeria e in tante altre aree del mondo. Perfino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che non ha ancora
commentato la vicenda, non si è sottratto all’idea di avere rapporti ufficiali con il dittatore kazako Nazarbaev. Lo ricevette nel 2009 spiegando che il Kazakistan «è un Paese esempio e specchio di tolleranza, di moderazione e di convivenza pacifica». L’ultimo ministro a fare visita a Nazarbaev è stato quello della Difesa Giampaolo di Paola nel febbraio del 2013. Ma, un momento, Di Paola chi? Quello che insieme all’altro ministro Terzi, i Bibì e Bibò della diplomazia italiana, è stato protagonista della vergognosa vicenda dei marò? Ebbene sì, proprio lui. Comunque, nel 2012 Mario Monti ci andò ben due volte per incontrare il primo ministro Karim Massimov. Insomma, la vicenda dell’improvvida espulsione di Alma Shalabayeva e la piccola Alua, moglie e figlia del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, è stata solo una maldestra operazione che ora costringe politici e imprenditori a difendere il loro diritto a operare in Kazakistan. Tranquilli, ora cadrà qualche altra testa, magari anche quella di Alfano, ma gli affari non si fermeranno. No, quelli non si fermano mai.