0

La nemesi di Letta: moriremo democristiani!

Ebbene sì, ci è toccata in sorte pure questa. Nella conferenza stampa di fine anno il premier Enrico Letta ha affermato che «il 2013 sarà ricordato come l’anno della svolta generazionale». Pensa un po’, e noi a credere invece che potesse essere ricordato per la chiusura di tante aziende, la disoccupazione inarrestabile e le difficoltà crescenti delle famiglie italiane. La svolta generazionale che piace tanto a Letta è quella che ha portato i quarantenni al potere. Ma c’è ben poco da esultare. Già 40 anni, che poi nel caso di Letta sono 47, insomma vicino ai 50, non mi paiono così pochi. Ma poi chi sono questi “giovani” quarantenni? Forse uomini che dopo aver maturato importanti esperienze professionali hanno scelto di prestare la loro maturità al Paese? Macché! Sono frammenti della vecchia Dc sopravvissuti agli anni di Tangentopoli, che piano piano hanno finito per rigenerarsi in quasi tutti i partiti. Enrico Letta in testa, uno che già nel 1993, a soli 27 anni, era capo della segreteria di Beniamino Andreatta alla Farnesina. Uno che ha vissuto sempre e soltanto di politica. E a seguire Angelino Alfano, che prima del collasso Dc a inizi anni ’90 era insieme a Letta nel vivaio delle giovani promesse del partito, e Matteo Renzi, un altro che non ha mai spedito un curriculum in vita sua, mai fatto un colloquio di lavoro, mai temuto la fine di un contratto a tempo determinato. Chiudono la svolta generazionale i vari Lupi, Franceschini, Mauro. “Giovani” vischiosi, fatti della stessa materia dei Forlani e degli Zaccagnini, dei Piccoli e dei Fanfani. Con i loro modi compassati e dorotei sono il nuovo che avanza. Riportano in auge l’eterno e misterioso fascino del dire e non dire, del perdere tempo per guadagnare tempo, dell’arabesco linguaggio che è specchio della politica stessa. Gettata alle ortiche la tracotanza berlusconiana, gli italiani ora si affidano di nuovo al passo felpato e paziente dei democristiani. Sono loro il pensiero e il muscolo di questa nuova Italia, ma sono sempre loro la sostanza più durevole che l’Italia politica abbia mai conosciuto. Longevi come sequoie, dotati d’un eternità geologica. Sembra sempre più fuori dal tempo il celebre articolo scritto nel 1983 da Luigi Pintor, direttore del Manifesto, titolato: «Non moriremo democristiani». Ma chi l’ha detto? Il ticket Letta-Alfano, battezzato da un ex-comunista, leader della corrente migliorista, e condito da una spruzzatina di ex-socialisti, ha rimesso ogni cosa al suo posto. Suvvia, si è scherzato per anni, ma in fondo non è successo proprio niente. La Balena bianca non si è mai spiaggiata.

3

Helle, il primo ministro biondo che sta facendo impazzire il mondo

I giornali di tutto il pianeta sono zeppi di foto che ritraggono il presidente degli Usa Barack Obama mentre fa il piacione con l’avvenente premier danese Helle Thorning-Schmidt durante un evento decisamente serioso come il funerale di Nelson Mandela. La moglie, Michelle, non sembra altrettanto divertita. Obama and Helle Thorning-Schmidt 1Attorno a sequenze fotografiche del genere per decenni hanno costruito la loro fortuna i tabloid scandalistici. Ora, grazie alle loro versioni online, anche i quotidiani più tradizionalisti vanno a nozze con queste frivolezze.  La Thorning-Schmidt pare piuttosto consapevole del proprio fascino e con noncuranza semina qua e là pose e gesti di apparente naturalezza, anche se qualche maligno insinua che siano invece sapientemente studiati a tavolino. Un’altra celebre scena che fece il giro del mondo fu quella della signora Thorning-Schmidt che, arrivando Thorning-Schmidt scarpaall’Eliseo a bordo dell’auto diplomatica, se ne uscì allungando la gamba e il piedino vezzoso dopo aver perso la scarpetta che giaceva silenziosa ma piena di significato a terra. 

Prima che tutto questo accadesse, un noto talent scout italiano aveva già posato il suo attento e rapace sguardo sulle grazie del primo ministro di Danimarca.

3

Evidentemente ci sono donne e donne. Il caso di Mara Carfagna

mara-carfagna

Premetto che non provo, né mai ho provato alcuna simpatia umana e politica per Mara Carfagna. Tale sensazione è stata rinforzata anni fa, quando ebbi occasione di intervistarla. O meglio, concordai un’intervista con il suo ufficio stampa, all’epoca lei era ministro per le Pari Opportunità, ma tutto si risolse in una lunga attesa al termine della quale la Carfagna mi concedette solo pochi secondi per scusarsi: si era fatto tardi e lei doveva proprio andarsene. Fu comunque l’occasione per osservarla da vicino, per conoscere il suo entourage, le sue frequentazioni e il suo modo di interpretare il ruolo che ricopriva. Guardare da vicino un politico, osservare le sue movenze e i suoi sguardi, ascoltare le sue parole in modo diretto e non attraverso il filtro di una telecamera, insegna molte cose. In quell’occasione compresi che la dimensione politica di Mara Carfagna era davvero modesta e che il suo modo di atteggiarsi, altero e distante dalla gente, era davvero antico.
Nonostante ciò non ho mai smesso di provare indignazione per i toni beffardi che gran parte dell’informazione italiana, ma anche della classe politica e della gente comune, le ha sempre riservato. Mara Carfagna è stata dileggiata in più di un’occasione e su di lei circolano in rete maldicenze di ogni genere. Il più delle volte tanta ostilità non trae origine da un’attenta analisi di ciò che ha detto o fatto, e qui sì che occorrerebbe essere severi e intransigenti, bensì dall’accostamento della sua attuale figura di politico a quella precedente di soubrette. Per di più di soubrette giovane e avvenente. Per un ministro che ha posato senza veli non c’è ancora spazio in un’Italia bacchettona e retrograda, neppure se dovesse rivelarsi un genio. Intendiamoci, la Carfagna non è un genio, tutt’altro direi. Ma la sua intelligenza e la sua protervia nell’affermarsi personalmente non sono né minori né maggiori di quelle di tanti altri suoi colleghi o di tante altre altre persone che rivestono ruoli di primo piano nel mondo dell’imprenditoria, dello spettacolo o dello sport, e alle quali tuttavia non è destinato tanto astio.
L’ultimo vile attacco alla Carfagna si è consumato su Corriere.it di oggi. Un video con un breve commento, intitolato: E la Carfagna citò Einstein. Al telefono con Berlusconi, durante la manifestazione di Forza Italia a Napoli, la parlamentare del Pdl sfodera a sorpresa un frase del fisico tedesco: «Le grandi menti, le grandi persone hanno sempre ricevuto violenta opposizione da parte delle menti mediocri». È un evidente azzardo, si potrebbe anche dire una stupidaggine, o un suicidio politico. Paragonare Einstein a Berlusconi, perché questo la Carfagna ha voluto fare, è privo di alcun senso logico e compiuto. La grandezza di Einstein non ha eguali, o semmai questi vanno cercati nel mondo della scienza: Copernico, Darwin, Pasteur e pochi altri. Ma la viltà, e anche in questo caso credo si possa dire la stupidità del Corriere, sta nell’aver giocato sull’altro equivoco. Il paragone sciocco e irriverente fra Eintein e Berlusconi passa in secondo piano, perché i geni di Via Solferino trovano più divertente sottolineare l’inadeguatezza del primo accostamento, quello cioè fra il personaggio citato, Einstein appunto, e colei che lo cita, la Carfagna. Già, come a dire che con quella bocca lì non dovrebbe neppure permettersi di pronunciare simili nomi. Chiaro, no?

1

Bettino, Silvio e il destino tragicomico di un Paese immorale

Interessante l’articolo a firma di Oliviero Beha pubblicato oggi su Il Fatto Quotidiano: Bettino & Silvio i gemelli diversi. Fa sempre un certo effetto rileggere, seppure a stralci, il discorso pronunciato alla Camera da Bettino Craxi il 3 luglio del 1992.    “…C’è un problema di moralizzazione della vita pubblica che deve essere affrontato con serietà e con rigore… il problema del finanziamento dei Partiti…, delle illegalità che si verificano da tempo, forse da tempo immemorabile… Si è diffusa nel Paese, nella vita delle istituzioni e della pubblica amministrazione, una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di crescente degrado della vita pubblica… I casi sono della più diversa natura, spesso confinano con il racket malavitoso, e talvolta si presentano con caratteri particolarmente odiosi di immoralità e di asocialità…”. Beha sposa la tesi di molti: Craxi disse cose vere, denunciò mali che ci perseguitano ancora oggi, ma non aveva la “faccia” per dire quelle cose, considerato che egli stesso sarebbe stato condannato in contumacia per corruzione. Allontaniamo le nostre simpatie o antipatie politiche e concentriamoci sul cuore della vicenda: Craxi disse cose vere.
Con un volo pindarico, o se preferite un salto senza rete, Beha cita poi Paolo Sylos Labini, che nel 2002 disse a proposito di Berlusconi: “Lo paragono ad Al Capone”.
L’improvviso cambio di registro viene ricucito nelle ultime, forse affrettate righe, nelle quali Beha si abbandona a un déjà vu “si stava meglio quando c’era lui”. In sintesi: l’amorale Bettino tentò di denunciare l’immoralità che imperversava già allora in questo Paese, il gaudente Silvio invece, ridotto come al solito a una macchietta (questa volta si evocano i personaggi cialtroni creati da Sordi), pensa solo al suo salvacondotto e ben si guarda dal vuotare il sacco.
Conclusione: “veniamo da lontano ma in vent’anni si è scavata una voragine di cui la nostra berlusconizzazione è il dato più inquietante”.
Anche questa volta facciamo lo sforzo di allontanare le nostre simpatie o antipatie politiche e concentriamoci sul cuore della vicenda: come mai gli italiani, gettato Craxi alle ortiche, si sono berlusconizzati?
La risposta, secondo me, è offerta dallo stesso Beha e si trova poche righe sopra la conclusione dell’articolo: si trova laddove il buon Oliviero rimprovera a Berlusconi di non essere neppure sfiorato dal dubbio di vuotare un sacco che riguarda tutta o buona parte della classe dirigente italiana, politica, imprenditoriale, bancaria ecc., collusa con lui a ogni livello. Ecco, appunto: tutta o buona parte della classe dirigente italiana, politica, imprenditoriale, bancaria ecc. collusa a ogni livello. Una tesi che mi pare di avere già sentito. Qualcuno l’ha sintetizzata in due sigle: Pdl e PdmenoL.

2

Italia-Kazakhstan: democrazia a gettone

La questione kazaka è delicata, molto delicata. E non conosceremo mai la verità, statene certi. Sì, salterà qualche testa, ma non si andrà al cuore del problema. Il male si annida nella torbida commistione fra politica e business. Ci sono grandi aziende italiane che hanno in corso affari giganteschi in aree del pianeta dove non c’è democrazia e dove vengono quotidianamente violati i più elementari diritti umani. Ma nel nome dello sviluppo economico i loro progetti vengono sostenuti anche dal nostro  governo. Due nomi soltanto, ma l’elenco sarebbe lungo: Impregilo e Eni. Il primo è il principale gruppo italiano nel settore delle costruzioni e dell’ingegneria, e dopo l’annunciata fusione per incorporazione di Salini incrementerà la sua quota di mercato; è stato ed è protagonista di molte opere che hanno comportato devastazioni ambientali e lo sradicamento di popolazioni indigene dai luoghi nativi (basti citare la diga di Yacyretà sul fiume Paranà, tra Argentina e Paraguay, e quelle in costruzione nel Lesotho, una enclave all’interno della Repubblica Sudafricana, vicenda quest’ultima per la quale Impregilo è stata anche condannata dall’Alta Corte del Lesotho per aver corrotto l’ex direttore del progetto). Eni è indagata per tangenti e violazioni dei diritti umani in Nigeria e Kazakhstan, e altri forti sospetti insistono sugli affari del Gruppo in Mozambico e Iran. Ora il caso Shalabayeva ha alzato il velo sugli intrecci fra affari e politica in Kazakhstan. Pare che che il dittatore kazako Nursultan Nazarbaev abbia trascorso alcuni giorni di vacanza in Sardegna nella villa di Ezio Simonelli, commercialista, presidente dei collegi sindacali di numerose aziende italiane tra cui Mediolanum e collaboratore con altre importanti imprese tra cui Fininvest. Così l’ombra di Berlusconi si spande anche su questa vicenda. Ora, Dio mi guardi dall’assolvere il Cavaliere dalle sue colpe, ma non lasciatevi ingannare da chi vuol farvi credere che tutto il male sia sempre e solo da una parte. In Kazakhstan e in molti altri Paesi alcune imprese italiane hanno interessi molto forti da tempo. I giri d’affari sono enormi, così enormi da passare sopra le vite umane e i governi, anche quelli di Stati che possono vantare sistemi democratici più consolidati. Guardate questa foto scattata nel 2007 in Kazakhstan, in occasione dell’incontro fra l’Amministratore Delegato di Eni Paolo Scaroni, il primo ministro kazako Karim Masimov e il ministro dell’Energia Sauat Mynbayev. Riconoscete qualcun altro?

Eni Kasakistan