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Da Napolitano a Telecom. Ma dentro la palude restiamo noi

Oggi la home page del corriere.it è un’inquietante miscela di speranze e illusioni. Andiamo per ordine.
Titolo n. 1: L’amaro sfogo di Napolitano. Ricaricata l’arma delle dimissioni. Le dimissioni di Napolitano sono una delle condizione necessarie perché in Italia torni davvero a soffiare un vento nuovo. Ma non illudetevi, non accadrà.
Titolo n. 2: Rottamata sull’ultima corsa l’eterna candidata Finocchiaro. Di Renzi si può pensare tutto il peggio o tutto il meglio. In ogni caso nessuno può disconoscergli il merito di avere ridimensionato figure come quella di Anna Finocchiaro e Rosy Bindi. Ma non illudetevi, tra esponenti delle correnti tradizionali ed ex segretari del partito (presenti di diritto nella Direzione nazionale) il nuovo Pd sembra molto, molto meno nuovo.
Titolo n. 3: Telecom, come perdere un gruppo strategico nell’apatia generale. Tangenti, affaire Serbia, dossier illegali, truffe con carte sim fantasma, acquisizioni sospette, negli anni Telecom è stata coinvolta in una lunga serie di inchieste che non hanno risparmiato presidenti, manager e responsabili della sicurezza. Nessun cittadino mosso da buone intenzioni può desiderare che l’azienda resti in mano italiane. Ma non illudetevi, al Corriere le buone intenzioni non albergano più da tempo. Come in Telecom, del resto.

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Telecom: le ragioni del sottosviluppo italiano

Perché parlare ancora di Telecom? Non è già stato detto tutto? Sì, la maledetta storia di Telecom è stata già analizzata più e più volte. E a parte qualche inguaribile sognatore e un po’ di farabutti, gli italiani hanno capito che nella storia di questa azienda si specchia l’inesorabile declino del Paese. Gli inguaribili sognatori, quelli che si sono emozionati nel vedere raddrizzare una nave maldestramente rovesciata in mare, continueranno a credere che un tempo Telecom è stata tra le grandi società di telefonia al mondo. Non è vero, è solo un luogo comune alimentato da certa stampa, ma poi in fondo poco importa. Ciò che conta è oggi, e oggi Telecom è un’azienda affossata dai debiti che fornisce un pessimo servizio. I farabutti probabilmente continueranno a contendersela finché avranno spolpato l’osso per intero, ed è rimasto ben poco perché chi è già passato da quelle parti era molto affamato. Serve a poco ricordare che alla greppia di Telecom hanno sostato alcuni dei più blasonati nomi dell’imprenditoria italiana, da Colaninno a Tronchetti Provera, e che dopo l’uscita di quest’ultimo si sono seduti a tavola anche i soliti, Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo, i cannibali nazionali.
Telecom è fra i principali responsabili dell’arretratezza di cui soffre oggi il nostro Paese. E il motivo è presto spiegato: l’azienda controlla la rete, ossia quell’infrastruttura che da anni alimenta l’innovazione e moltiplica lo sviluppo, più o meno come hanno fatto un tempo le ferrovie e poi le autostrade. La rete consente un utilizzo massiccio di Internet veloce. Ma la nostra rete non è all’altezza. Si dice che attualmente solo il 22% degli italiani dispone di un collegamento a banda larga (che peraltro è la meno veloce); probabilmente sono ancora meno, questo è la sensazione che si ricava girando per la penisola. Così, mentre gli altri volano, noi arranchiamo zoppicanti. Noi, noi tutti, giovani, famiglie, imprese. Secondo i più recenti dati diffusi dall’Internet Quarterly Report, l’Italia ha la peggiore velocità media di connessione via banda larga d’Europa. E l’Europa intera non eccelle, specialmente se paragonata a molti Paesi asiatici.
Eravamo un popolo di navigatori che scoprivano nuovi mondi. Eravamo.