Se siete tra i pochi che se ne sono accorti, bravi. Perché diciamo la verità, che ieri fosse la Giornata Mondiale dell’Ambiente è sembrato interessare davvero a pochi. Giornali, tv e social network hanno preferito parlare di tutt’altro, perfino di riforma elettorale, semipresidenzialismo e premio di maggioranza. Come mai? Eppure l’emergenza ambientale è tutt’altro che finita. A livello globale i cambiamenti climatici offrono segnali inquietanti e la deforestazione del pianeta avanza nonostante le migliaia di appelli, mentre a casa nostra non si trova una soluzione per gestire i rifiuti in modo civile in buona parte del meridione, la perdita di suolo non si interrompe nonostante la crisi e l’industrializzazione barbarica dei decenni passati presenta il conto amaro (il caso dell’Ilva è emblematico, ma non è il solo). Tuttavia la Giornata Mondiale dell’Ambiente in Italia è passata inosservata. Avanzo due ragioni. La prima riguarda il significato dell’evento stesso. Partita anni fa con l’intenzione di sensibilizzare l’umanità di fronte ai pericoli che corre il nostro Pianeta, la Giornata Mondiale dell’Ambiente, al pari di altre manifestazioni simili, si è trasformata in una cerimonia dal sapore molto istituzionale che si declina in iniziative paludate e prive di fascino: qualche dato riciclato da precedenti indagini, un po’ di alberi piantati qua e là (magari poco distante intanto sorgono nuovi ecomostri con il beneplacito delle stesse amministrazioni che concedono il patrocinio alla nuova forestazione) e, immancabili, appelli alle buone abitudini. Poca roba per richiamare l’attenzione dei cittadini e ancora meno per ottenere l’attenzione dei media, in genere interessati a parlare di ecologia soltanto quando c’è un po’ di catastrofismo da sbattere, se non proprio in prima, almeno in terza pagina. E qui vengo alla seconda ragione: le responsabilità di buon parte degli ambientalisti (categoria generica alla quale mi arrogo il diritto di appartenere, non tanto per avere militato e lavorato prima al Wwf e poi al Fai, quanto per il fatto che da oltre venticinque anni seguo con attenzione la materia). So che susciterò la reazione indignata di molti, ma occorre riconoscere che l’ambientalismo è campato grazie ad annunci choc e previsioni apocalittiche sul futuro che non sempre si sono rivelate corrette, o perlomeno non sempre sono state sostenute da adeguate prove scientifiche. Io stesso a vent’anni, animato dalle migliori intenzioni, ho concorso a diffondere allarmi. Prima c’è stata la grande paura per le piogge acide, poi negli Novanta abbiamo temuto per lo strato di ozono e infine nei primi dieci anni del nuovo millennio si è diffuso il panico per il riscaldamento globale. Se mi concedete ancora un poco di attenzione, vorrei approfondire l’esempio delle piogge acide. Negli anni Ottanta, il timore che l’inquinamento prodotto da fabbriche e automobili si trasformasse in piogge capaci di distruggere boschi, laghi e monumenti dilagò fra l’opinione pubblica. Oggi si sa che i danni subiti in quegli anni dalle foreste in Germania, Polonia e Repubblica Ceca erano dovuti all’inquinamento locale e una maggiore acidità è stata registrata solo nell’1% dei laghi europei. Inoltre il monitoraggio delle condizioni delle foreste condotto per iniziativa dell’UE indica che rispetto agli anni ‘70 le emissioni di sostanze solforate e azotate (causa delle piogge acide) sono state ridotte del 70-80%, determinando un sensibile miglioramento delle condizioni di tutti gli ecosistemi continentali. La vicenda insegna che è necessario ogni tanto fare il punto sulle notizie, verificare dopo anni cosa è realmente successo. Più che allinearsi con la schiera degli ottimisti o con quella dei catastrofisti (ce ne sono tantissimi dell’una e dell’altra categoria su ogni argomento) serve informarsi e ragionare con la propria testa, esercitandosi a capire, con molti dubbi. Dimostrando così che la gente sa mobilitarsi e partecipare anche se il mondo non sta andando incontro ad una distruzione imminente. Da qualche tempo l’ambientalismo si ritrova con il fiato corto, fatica a tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica perché si era abituato a ottenerla alzando la voce e il livello delle preoccupazioni. Rappresentare ogni attività umana come devastante per la Terra serve a poco, anzi a nessuno, perché alla fine sfianca anche i più convinti.