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Oltre l’era del petrolio. Sarà la volta buona?

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Il petrolio è stato uno dei protagonisti degli ultimi mesi. Un vero e proprio terremoto si è abbattuto sulle quotazioni del greggio, precipitate da oltre 100 a meno di 60 dollari al barile. I mercati finanziari ne stanno risentendo, ma per l’economia reale, espressione vaga con cui si è soliti indicare la vita di noi comuni mortali, è una boccata d’ossigeno.

Le ragioni del crollo sono tutte di mercato secondo alcuni: si è continuato ad aumentare la produzione, soprattutto americana, mentre dall’inizio della crisi economica mondiale si è chiesto meno petrolio del previsto. A livello mondiale il 2014 si è chiuso a 92,4 milioni di barili al giorno, 200 mila in meno di quanto atteso (stime IEA). In Italia, negli ultimi dieci anni la flessione dei consumi petroliferi è stata addirittura del 36% (fonte UP). Una boccata d’ossigeno non solo per l’economia reale, ma anche per i nostri cieli.

L’altra faccia della medaglia sono i rischi geopolitici: un prezzo troppo basso potrebbe spostare gli equilibri economici mondiali. Secondo altri analisti del settore il prezzo del petrolio è sceso a causa dell’intenzione dell’Arabia Saudita, condivisa con gli alleati americani, di colpire le economie della Russia e dell’Iran.

Vale sempre la pena ricordare che il petrolio è un’arma formidabile per mutare o condizionare le vicende e gli assetti globali. Nessuno può negare, infatti, che la storia mondiale del petrolio è tristemente segnata, oltre che dai danni all’ambiente e alla salute, da guerre, colpi di stato, corruzione e assassinii.

E qui veniamo all’altro motivo per cui durante questo 2014 si è parlato molto di petrolio. Lo scorso settembre il New York Times ha dato una clamorosa notizia: i Rockefeller, la dinastia che ha fatto la sua fortuna con le fonti fossili, stanno ritirando le partecipazioni azionarie dalle centrali e dalle miniere a carbone e dalle sabbie bituminose per incrementare gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili.

La giornalista e attivista Naomi Klein ha spiegato in un brillante articolo pubblicato da The Guardian che l’iniziativa dei Rockefeller non è isolata: le aziende che producono combustibili fossili stanno diventando nocive non solo per l’atmosfera, ma anche per il mondo delle relazioni pubbliche. Ne sono una riprova le decisioni recenti di Lego, che ha annunciato di non voler rinnovare la collaborazione con Shell Oil, un contratto di co-branding in vigore da molto tempo in virtù del quale i bimbi di tutto il pianeta hanno fatto il pieno alle loro macchinine di plastica in stazioni di servizio Shell giocattolo, o delle Università di Glasgow e di Stanford in California, che hanno comunicato la volontà di disinvestire dal settore carbonifero.

Piccoli o grandi per ora sono solo segnali. Intanto, associazioni e attivisti in tutto il mondo stanno aumentando le pressioni su aziende e organizzazioni affinché interrompano i rapporti con il settore dei combustibili fossili. Si tratta di un’autentica rivoluzione economica, sociale e culturale tesa a convincere un numero crescente di attori di un semplice fatto: i profitti dell’industria oil sono stati accumulati inquinando consapevolmente i nostri cieli e pertanto dovrebbero essere considerati a loro volta tossici. Se si accetta l’idea che quei guadagni sono moralmente illegittimi, tutti, dalle istituzioni pubbliche agli enti privati, dovrebbero di conseguenza prenderne le distanze.

Come ha rilevato la stessa Klein, molti osservatori sono scettici. Queste azioni non potranno danneggiare sul serio le società petrolifere o carbonifere, anche perché altri investitori saranno pronti a rilevare le azioni e la maggior parte di noi continuerà ad acquistare combustibili fossili finché le nostre economie non offriranno opzioni accessibili sul fronte delle rinnovabili.

Queste critiche, seppure fondate, ignorano le potenzialità di simili campagne. Da quando l’Unione Europea ha posto un freno allo strapotere delle multinazionali del tabacco, vietando la pubblicità e la sponsorizzazione diretta, si è verificata un’inversione di tendenza culturale che, seppure non ancora del tutto compiuta, ha favorito la conoscenza dei danni provocati dal fumo. Certo, grazie alle leggi anti-fumo le vendite delle sigarette sono in crisi in Occidente, ma intanto l’industria del tabacco sta conquistando milioni di nuovi clienti nel sud del mondo.

Da qualche parte, però, si deve pur cominciare a ripulire il mondo.

Fonte http://www.rivistanatura.com

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Buoni propositi per il 2015: decidere che abbastanza è davvero abbastanza

Tutti siamo al lavoro per approntare prima possibile la lista dei buoni propositi per il 2015, così da poterla ignorare altrettanto rapidamente. Del resto è nella natura umana formulare nuovi piani in vista dei cambiamenti. Il vero problema, però, è metterli in pratica.

La lista si ripete uguale di anno in anno, al più viene aggiornata in base alle disgrazie occorse nei dodici mesi precedenti: mi prenderò cura del mio corpo, mangerò meno cioccolata, dedicherò più tempo alla famiglia, comprerò meno scarpe.

In questi giorni giornali e siti web sono zeppi di consigli del tipo: non esprimete desideri generici, ma propositi precisi; oppure, fissate obiettivi semplici da raggiungere. Più che avvertimenti, vorrei suggerirvi alcune parole attorno alle quali potreste aggiornare la vostra lista di buoni propositi: frugalità, condivisione, reciprocità, lentezza, semplicità, sottrazione.

Qualcuno potrebbe obiettare che tutte queste voci non fanno i conti con la dura realtà della vita, dove dominano la competizione e la bramosia. E se il primo buon proposito per il 2015 fosse quello di decidere che abbastanza è davvero abbastanza?

Fonte: http://www.rivistanatura.com

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Turismo in Italia: al diavolo la bellezza, ripartiamo dall’etica

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Abbiamo il maggiore patrimonio culturale al mondo e la minore consapevolezza collettiva di averlo. Nessun altro Paese esibisce un divario tanto consistente tra beni culturali e ambientali posseduti e capacità di riconoscerli, difenderli e valorizzarli, in modo che l’arte, la natura e il paesaggio possano essere risorse autentiche.

Abbiamo un ministro dei Beni Culturali convinto che quel centinaio di facinorosi che giorni fa a Milano hanno manifestato contro l’iniqua distribuzione della ricchezza provocherà un danno economico irreparabile al turismo nazionale. Farebbe bene, tale ministro, a leggere le classifiche della competitività turistica globale. Scoprirebbe che, sebbene ogni anno, in occasione del Forum economico di Davos, dimostranti contestino anche in forma energica banchieri e capi di Stato di fronte alle telecamere di tutto il pianeta, la Svizzera domina incontrastata il ranking in virtù delle sue ottime infrastrutture e di un elevato grado di sicurezza, ma anche grazie alla qualità degli alberghi e dei servizi turistici, alle leggi ambientali molto severe e a una vasta percentuale di territorio soggetta a vincoli di protezione.

Nella stessa classifica (Travel & Tourism Competitiveness Report) l’Italia figura al 26° posto, penultima fra i paesi dell’Europa occidentale. Se pensiamo che nonostante questo resta ancora al 5° posto (a lungo è stata prima) tra le mete mondiali, è ancora più facile rendersi conto della disparità tra la bellezza che abbiamo ereditato e la nostra capacità di gestirla.

Sono finiti i tempi in cui ministri incompetenti e industriali arraffoni dichiaravano alla stampa: i beni culturali sono il nostro petrolio. La nuova sciocchezza che ci sentiamo ripetere per sostenere, almeno a parole, l’importanza dei tesori nazionali è: brand Italia. Tutto è brand: Firenze e Venezia, il Colosseo e la Scala, le Dolomiti e Capri. Perfino Leonardo è un brand. Diffidate quando sentite pronunciare questa parola.

Nell’immaginario l’Italia resta in cima ai sogni di molti. E a dire il vero è ancora in vetta alla classifica mondiale per quel che riguarda la voce “patrimonio artistico e culturale”. Poi c’è la realtà dei fatti. E i fatti raccontano di un Paese in decadimento. Non sono solo le immagini degli Scavi di Pompei ridotti come sappiamo o della Reggia di Caserta in totale abbandono a scaraventarci nelle retrovie; sono anche i disservizi, le furberie e i bidoni che rifiliamo a chi viene a trovarci. L’economista statunitense Jeremy Rifkin ha definito il turismo come “l’espressione più potente e visibile della nuova economia dell’esperienza”. E l’esperienza che gli stranieri sperimentano da noi è spesso fatale.

È per questo che non siamo più primi. E anche per altro. Il Report sulla competitività turistica penalizza fortemente l’Italia pure per il modo in cui gestisce le sue ricchezze paesaggistiche: siamo 53esimi nelle politiche di sostenibilità ambientale, addirittura 84esimi nell’applicazione delle norme ambientali, 101esimi per le emissioni di CO2. E infine siamo al 135° posto, su 140 Paesi esaminati, per la trasparenza della politica. Rifletta, ministro. Rifletta!

Fonte http://www.rivistanatura.com

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Parco Nazionale dello Stelvio: santuario della natura o merce di scambio?

Parco Nazionale StelvioIl Parco Nazionale dello Stelvio sta per essere smembrato in due parchi naturali provinciali e uno regionale. Attorno a questo progetto mercoledì scorso, a Roma, si è giocata una partita importante: la Commissione paritetica fra Stato e Regione Trentino-Alto Adige (detta dei Dodici) ha esaminato e dato il proprio via libera alla Norma di attuazione relativa alla “delega di funzioni amministrative statali concernenti il Parco Nazionale dello Stelvio”.

Pochi giorni prima, 13 associazioni ambientaliste avevano rivolto un appello alla Commissione affinché non approvasse tale proposta. “L’appello delle associazioni ambientaliste contro lo smembramento dello Stelvio è arrivato fuori tempo massimo” è stato il lapidario commento del senatore Svp Karl Zeller.
Da anni il suo partito rivendica una gestione autonoma dell’area protetta di propria competenza, svincolata dal Consorzio che oggi amministra il Parco Nazionale, costituito da ministero dell’Ambiente, Provincia di Bolzano, Provincia di Trento e Regione Lombardia. Questa rivendicazione dell’Svp ha trovato una sponda importante mesi fa, quando il parlamento italiano, approvando la legge di stabilità del 2014, ha incluso una norma secondo la quale le funzioni statali relative al Parco dello Stelvio possono essere trasferite alle due province autonome di Trento e Bolzano.

Ora che è stato acquisito anche il parere favorevole della Commissione dei dodici, per l’attuazione definitiva basterà il via libera del Consiglio dei ministri.
Lo smembramento del parco sarebbe, secondo molti, il risultato di un accordo elettorale tra Pd, Svp e il Patt, il Partito Autonomista Trentino Tirolese, raggiunto perché il governo ha bisogno anche dei voti dei parlamentari sudtirolesi. “Sembra incredibile che, mentre in tutta Europa e nel mondo intero si propende per la creazione di parchi transfrontalieri (ci sono magnifici esempi non soltanto in Europa ma anche in Africa e altri continenti), – ha commentato il naturalista italiano Franco Pedrotti – in Trentino-Alto Adige si voglia scindere un territorio per motivazioni localistiche e strumentali, che poco si coniugano con la pretesa di una maggiore tutela ambientale”.
Di parere opposto il sindaco di Bolzano Spagnolli, ex-direttore del parco in questione, secondo il quale le associazioni ambientaliste stanno facendo una difesa dello status quo; per l’attuale primo cittadino bisogna uscire dall’ipocrisia di chi si ostina a difendere lo Stelvio, perché così com’è, non tutela la natura.

Il prossimo anno il Parco Nazionale dello Stelvio compirà 80 anni. Arriverà a spegnere le candeline?

Fonte http://www.rivistanatura.com

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Lettera aperta agli operatori dei call center

Un assedio, un autentico assedio. Sul telefono di casa e sul cellulare piovono telefonate dai call center per proporci ogni genere di mercanzia. Segno anche questo dei tempi, tempi incivili, s’intende. Il più delle volte non sapete come hanno fatto a scovare il vostro numero. L’avete custodito con cura, vi siete ben guardati dal farlo pubblicare su inutili elenchi, eppure… zac! piovono le telefonate. Di sicuro avrete dovuto lasciare il vostro numero di casa o di cellulare su qualche modulo e, non si sa come, o meglio si sa, eccome, da lì è finito fra le mani degli importunatori. Siete finiti. Rassegnatevi.

Fra i molestatori più attivi ci sono le società di telefonia, Telecom, Vodafone e via dicendo. Sono capaci di chiamarvi anche tre o quattro volte nello stesso giorno. Insopportabili!

Certo, c’è da provare pena se solo si pensa ai volti di chi c’è dietro quelle voci seccanti. Giovani, ma non solo, chiusi dentro stanze a vendere prodotti e servizi che neppure conoscono. Pronti a ricevere insulti, a sentirsi riattacare il telefono in faccia per decine, centinaia di volte al giorno. Ogni maledetto giorno.

Questa è la modernità, bellezza! Abbiamo smesso di usare le mani, nessuno più produce nulla, siamo tutti soltanto venditori e consumatori.

Ragazzi, ragazze, permettemi un consiglio: ribellatevi! Non accettate di lavorare come schiavi in un call center. Spiace doverlo dire in modo così schietto, ma non c’è nulla di dignitoso in ciò che state facendo. Fingere di riservare offerte speciali o di spacciare per omaggio ciò che in realtà si paga è spregevole. E se proprio siete convinti della bontà e della veridicità della vostra offerta, vi domando ugualmente: perché non rispettate il nostro diritto a non essere importunati fra le mura domestiche?

Non trovate null’altro di meglio da fare? Ingegnatevi, specializzatevi oppure imparate a fare uno dei tanti mestieri che nessuno vuole più fare e di cui c’è ancora bisogno. Avete bisogno di arrotondare? Prima di compiere il passo sbagliato, domandatevi se è davvero necessario. Forse qualche piccola rinuncia sarebbe sufficiente e vi risparmierebbe dall’onta.

Dipende da voi, siete la sola speranza. Questa ignominia non avrà mai fine per volontà delle aziende. Né per intervento del Garante della Privacy, forse il più inutile fra gli enti inutili. Ragazzi, ragazze, uscite da questo purgatorio che vi può condurre solo all’inferno. Cercate o inventatevi un vero lavoro.

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L’Italia crolla e gli asini ragliano

italia franaSembrerebbe quasi una maledizione divina, se non fosse che invece di divino in tutta questa storia c’è ben poco. Quella dell’Italia che frana e si sgretola è una tragedia tutta umana. Terribilmente umana. Non è altro che l’epilogo di una sciagura cominciata decenni fa con sindaci incompetenti e collusi, proprietari terrieri famelici, palazzinari aguzzini. Ovunque ci fosse un pezzetto di suolo da sfruttare in questo disgraziato Paese ci si sono buttati tutti, ma proprio tutti. Troppo facile fare oggi i moralisti. Ora paiono tutti consapevoli del fatto che si è costruito troppo e male. Spuntano ovunque facce di politici, commentatori, opinionisti e professionisti che denunciano lo scempio. Eppure tutti loro appartengono a schieramenti che hanno sostenuto e continuano a sostenere la speculazione, oppure lavorano per editori pubblici e privati che fino a ieri hanno ignorato le voci di chi, pochi, pochissimi, denunciavano i soprusi e i rischi, o ancora firmano progetti assassini.
Questa è l’Italia, la solita Italia. Dove sono scomparsi i fascisti dopo la caduta del regime, i forlaniani e i craxiani dopo tangentopoli, e ora, dulcis in fundo, i lottizzatori, i cementificatori, i devastatori di litorali e foreste, centri urbani e monumenti.
Non illudiamoci. Quelle che sentiamo e leggiamo in questi giorni sono solo parole vuote. Sono solo ragli d’asino che, come tali, non salgono in cielo. Mentre ci tocca ascoltare un ministro Udc che denuncia i condoni edilizi (!) e sopportare editoriali di gente che non ha mai letto una sola riga di Antonio Cederna, Renato Bazzoni o Giorgio Bassani e ora firma tutta tronfia pezzi colmi di retorica nella convinzione di avere scritto cose originali; mentre assistiamo esterrefatti a propagande governative che parlano di #italiasicura, fuori c’è una banda di malfattori, agguerriti come al solito, che saccheggiano città e campagne. Potenti gruppi finanziari stanno investendo decine, centinaia di milioni di euro in grandi opere che non servono a nessuno e in lottizzazioni gigantesche (venghino a Milano, siori, venghino!): il nostro capitalismo corrotto e arrettrato fonda ancora le sue fortune sul saccheggio del territorio. Siamo fermi al culto della doppia, anzi ormai terza e quarta carreggiata, delle “villette otto locali doppi servissi”.
L’Italia è un paese a termine. Un’espressione geografica dal paesaggio provvisorio, dove tutto si regge su un avverbio: questo tratto di campagna non è ancora edificato, quel centro storico è ancora abbastanza integro, questa collina non è ancora lottizzata. Tutto è precario, tranne una certezza, anzi due. Il peggio deve ancora venire. E gli asini continueranno a ragliare.

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Fate figli, anzi no

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Allarme demografico: sovrappopolazione e culle vuote, due facce della stessa Terra

È una vecchia tesi, ma sempre nuova. Alan Weisman l’ha rilanciata con forza nel suo ultimo libro, tradotto in Italia da Einaudi, “Conto alla rovescia”. Il reporter e scrittore statunitense non usa mezzi termini: «Non voglio dare una sforbiciata selettiva a nessuno in vita oggi. Auguro a ogni essere umano sul pianeta una vita lunga e sana. Ma se non prendiamo il controllo e non caliamo di numero, senza brutalità, reclutando pochi nuovi membri della nostra razza affinché un giorno ci sostituiscano, sarà la natura a darci una bella pila di lettere di licenziamento». Weisman cita casi limite di sovrappopolazione come quello del Messico per invocare la pianificazione delle nascite e casi virtuosi come il Giappone, che non mette più al mondo bambini, ma finalmente può permettersi di liberare le cicogne nelle risaie. È un paradosso, simbolico e di fatto.

Almeno dal 1970 si levano allarmi sulla popolazione mondiale. Ma la situazione negli ultimi anni è cambiata e più studi dimostrano che il tasso di crescita è in calo; l’anno scorso l’Onu ha addirittura lanciato un allarme sulla crescita zero. Tuttavia c’è ancora chi sostiene che, se la popolazione mondiale continuerà a crescere al ritmo di un milione di persone ogni quattro giorni, la vita sul nostro pianeta non durerà a lungo: l’uomo non avrà abbastanza risorse per nutrirsi e finirà col danneggiare irreparabilmente ecosistemi e atmosfera. Ecco perché, secondo loro, è un dovere morale smettere di fare troppi figli.

I danesi sembrano avere interpretato alla lettera l’appello: l’anno scorso hanno messo al mondo solo 55.873 bambini, mai meno di così negli ultimi quarant’anni. La stessa Italia possiede uno dei più bassi livelli di fertilità di tutto il mondo, 1,38, che lo pone al 174° posto nella classifica stilata dall’Onu; secondo gli studiosi, per rimpiazzare una popolazione è necessario un tasso pari a 2,1 e comunque non si dovrebbe mai scendere sotto 1,5. Nell’Unione europea, a partire dalla metà degli anni Novanta, il numero di nati nel corso di un anno è di circa cinque milioni, mentre nel 1960 più di sette milioni di bambini vedevano la luce ogni dodici mesi. Seguendo questa tendenza l’Europa si ridurrà da 460 a 350 milioni di abitanti; le nuove dinamiche demografiche potrebbero far dimezzare perfino la popolazione di Cina e Russia entro il 2100. In Brasile la fertilità è scesa da 6,15 a 1,9, in India da 6 a 2,5. Perfino nell’Africa subsahariana è in calo: 4,66 figli ogni donna.

Un rapporto dell’austriaco International Institute for Applied System Analysis prevede che se ci stabiliremo su un tasso di fertilità pari a 1,5 nel 2300 sulla Terra ci saranno solo 1,5 miliardi di individui. Insomma, se la bomba demografica tormenta ancora parte del mondo, la crisi delle nascite è il lato oscuro del ricco modello occidentale, in particolare nord europeo. Che forse ha compreso come mantenere pulito il pianeta. Il rischio, però, è che “troppo progresso” ci trasformi in dinosauri.

Fonte http://www.rivistanatura.com

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E noi che siamo come cani, senza padroni

Giorni fa, D’Alema ha rispolverato il termine “padroni”; Renzi, invece, preferisce definire gli imprenditori “lavoratori”. Secondo molti osservatori questo scontro dialettico mette in luce la distanza ormai profonda fra le due anime del Pd. Balle!
Ci sono gli imprenditori, cioè quelli che creano lavoro, reinvestono gli utili in azienda e conducono la loro impresa senza calpestare i diritti degli altri. Ci sono perfino gli imprenditori illuminati, che danno vita a luoghi di lavoro all’avanguardia, dove è piacevole stare, luoghi che concorrono al benessere dell’intera comunità.
E ci sono i padroni, cioè quelli che se ne fregano della comunità e non creano ricchezza, se non per se stessi. Sono quelli che gli utili, anziché reinvestirli in azienda, li usano per speculare in borsa, che calpestano sistematicamente i diritti, spostando il lavoro duro dove non ci sono tutele e offrendo salari da fame; sono quelli che non competono attraverso la qualità del prodotto, ma grazie agli amici politici che finanziano e si ingraziano, e che non si fanno scrupoli a subappaltare alle imprese in mano alla criminalità organizzata.
Io della prima categoria non ne ho conosciuti molti, e voi?

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I crediti poco chiari dell’ex ministro dell’ambiente Corrado Clini

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Con queste parole Greenpeace, Legambiente e WWF commentavano nel 2011 la nomina di Corrado Clini alla guida del Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio e del mare del Governo Monti, sì, quello che doveva salvare l’Italia, proprio quello.

“Al dottor Clini vanno le nostre congratulazioni per il prestigioso incarico che gli è stato conferito. Ci aspettiamo che il suo impegno nel gabinetto Monti possa segnare una svolta positiva e un cambio di direzione nelle politiche italiane sull’ambiente (…) Ci auguriamo che il nuovo ministro possa segnare una sostanziale discontinuità, per riuscire finalmente a battere gli interessi degli inquinatori, nell’interesse generale del Paese. Ci aspettiamo che da profondo conoscitore della macchina ministeriale, Clini possa restituire anche il ruolo e il profilo da protagonista che il Ministero dell’Ambiente ha perso negli ultimi anni e rilanciarlo come dicastero strategico per uscire dalla crisi economica, dando un vigoroso impulso alla green economy e affrontando seriamente il dissesto  idrogeologico”.

Alla luce delle notizie riportate oggi dal Corriere della Sera, «Appalti fasulli da 200 milioni. Così Clini si intascava il 10%» quelle parole suonano davvero strane. L’ex ministro, già coinvolto nell’indagine avviata a Ferrara, culminata con il suo arresto a giugno, arresti domiciliairi revocati un mese e mezzo dopo, ha attraversato quasi tutti gli episodi controversi e i tanti disastri ambientali in Italia, essendo stato direttore generale del Ministero dell’ambiente dal 1992 al 2011, carica a cui è tornato nel 2013, una volta cessata l’esperienza di ministro. Si è occupato, tra l’altro, della vicenda Acna di Cengio, dell’Enichem di Manfredonia e dell’Ilva di Taranto, tutti casi di cui c’è ben poco per andare fieri. Era anche già stato sfiorato dalle cronache giudiziarie tra il 1996 e il 1997, quando fu indagato dalla procura di Verbania per l’inquinamento prodotto da un impianto di incenerimento di rifiuti della società svizzera Thermoselect. Clini, difeso dall’avvocato Carlo Taormina, chiese ed ottenne di trasferire il processo al Tribunale di Roma. Dopodiché la sua posizione fu completamente archiviata. Si è occupato professionalmente di biocarburanti e di rifiuti. Riguardo a questi ultimi, i rifiuti appunto, è stato al centro pure di una vicenda oscura, all’epoca denunciata dai missionari comboniani e dal Corriere della Sera. Nel 2007, una società italiana, la Eurafrica, aveva proposto la redazione di un progetto per il risanamento della discarica di Dandora (a soli 8 chilometri dal centro di Nairobi, la più grande di tutta l’Africa orientale) pagato 700mila euro dal ministero dell’ambiente italiano. Secondo una denuncia presentata da padre Alex Zanotelli, un prete che a Nairobi ha speso una vita a fianco delle popolazioni più povere, quella società e quell’operazione presentavano moltissimi dubbi. Corrado Clini, che personalmente promosse il progetto come direttore del dicastero, rispose alle accuse dei comboniani con toni sprezzanti, scrivendo, dopo il blocco dell’intervento, una lettera a Paolo Mieli, allora direttore del Corriere, che si chiudeva così: “Forse disturbiamo “the lords of pauperty”, i cosiddetti benefattori di professione, che vivono sulla miseria dei disperati?”.
Ora, le indagini di queste settimane faranno il loro corso. Ma una domanda sorge spontanea: quali erano secondo le associazioni ambientaliste i crediti di Clini, tali da far loro sperare che avrebbe potuto restituire quel “ruolo e il profilo da protagonista che il Ministero dell’Ambiente ha perso negli ultimi anni e rilanciarlo come dicastero strategico per uscire dalla crisi economica”? Avete una risposta, anche di seconda mano?

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Niente carbone a Porto Tolle. Niente carbone in Italia.

Genova, La Spezia, Marghera e Fusina (Venezia), Bastardo (Perugia), Torrevaldiga Nord (Civitavecchia), Sulcis (Carbonia Iglesias) e Brindisi Sud, tutte di proprietà Enel; Brescia e Monfalcone di A2A; Brindisi Nord di Edipower; Vado Ligure (Savona) di Tirreno Power; Fiume Santo (Sassari) di E.On.
Sono queste le 13 città italiane che ospitano una centrale a carbone.
Sono questi i nomi delle 5 società che le gestiscono.
Gli ex amministratori di Enel, Franco Tatò e Paolo Scaroni, sono stati condannati per disastro ambientale. Tirreno Power è sotto inchiesta per disastro ambientale e omicidio colposo. Il direttore della centrale E.On è indagato per inquinamento.
Il carbone è una fonte di energia sporca… Niente carbone a Porto Tolle. Niente carbone in Italia.

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La presunzione del Panda e la lezione di Goffredo Parise

Living Planet Report 2014

È stato presentato a Milano il rapporto 2014 Living Planet, decima edizione della pubblicazione edita ogni due anni dal Wwf. Lo studio esamina lo stato del pianeta e in particolare analizza le popolazioni di oltre 10mila specie di vertebrati. Secondo il Report, molte di queste si sono più che dimezzate negli ultimi 40 anni.

Qui potete scaricare una Sintesi del lavoro.
http://awsassets.wwfit.panda.org/…

I numeri confermano che l’umanità sta chiedendo sforzi troppo grandi alla Terra e che dunque è essenziale “svilupparci in modo sostenibile e creare un futuro dove le persone possano vivere e prosperare in armonia con la natura” come ha affermato Marco Lambertini, direttore generale di Wwf International.

Cosa si debba intendere per sviluppo sostenibile resta ancora una questione aperta, che spesso viene reinterpretata dal soggetto che la promuove. Al riguardo mi siano consentite due riflessioni sulla presentazione italiana del rapporto… La presunzione del Panda e la lezione di Goffredo Parise.

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Sblocca Italia, la Soluzione finale per il Belpaese

Cosa stia accadendo è fin troppo evidente. Con la firma posta dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, al decreto Sblocca Italia, approvato in Consiglio dei ministri qualche settimana fa, si rinforza quel virus malefico che è stato instillato nel corpo del Paese da decenni. Il decreto, ha sottolineato il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, è stato concepito «per far ripartire l’edilizia, ridando fiato al settore e sbloccando le innumerevoli opere ferme per intoppi burocratici». In realtà si ridarà fiato alla cementificazione del paesaggio italiano, già tanto sfigurato, proprio mentre altri esponenti del governo si pavoneggiano in Tv e sulla stampa annunciando di voler puntare sul turismo culturale. Un governo bicefalo, che con una mano dissipa la materia prima del turismo stesso e a voce sostiene la bellezza del Paese, oppure un governo di furbetti? Ancora cemento e opere inutili nello Sblocca Italia.

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Expo 2015: di briccone in briccone si avvicina la kermesse

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Ci risiamo. Expo 2015 torna a far parlare di sé per appalti truccati e corruzione. L’ultimo furbetto finito sotto la lente dei pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio è Antonio Acerbo, 65 anni, direttore Construction del Padiglione Italia e commissario delegato di Expo 2015 in relazione al progetto “Vie d’acqua”, ora indagato per corruzione e turbativa d’asta. Acerbo è stato direttore generale del Comune di Milano con la giunta Moratti. L’indagine in cui è rimasto coinvolto è una tranche dell’inchiesta che lo scorso maggio ha portato agli arresti, tra gli altri, di Gianstefano Frigerio, Luigi Grillo e Primo Greganti. Inchiesta riguardante una serie di irregolarità negli appalti di Expo e della sanità lombarda e che avrebbe accertato la presenza della cosiddetta ”cupola degli appalti”. Insomma, Expo 2015 si rivela sempre più per quello che è: una ghiotta occasione per manigoldi di ogni specie. Eppure proprio in questi giorni su Tv, radio e giornali è partita la grancassa per la vendita dei biglietti d’ingresso alla kermesse. Conduttori televisivi e radiofonici in brodo di giuggiole, pronti a magnificare il “grande” evento. Gli scandali? Echissenefega!!! L’Italia deve ripartire! D’altronde anche il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi ha detto che le indagini devono fare il loro corso (bontà sua), ma i lavori non si possono fermare. Dunque, arrivederci al prossimo briccone.

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Un tifo accecante

Non parlo mai di calcio, e mi sorprende tornare a farlo per la seconda vota in soli due giorni. Fatto sta che oggi mi sono imbattuto occasionalmente nel blog di Maurizio Crippa ospitato su Foglio.it. Il blog si chiama Zeru Tituli, tanto per non lasciare spazio ai dubbi. Ora, va bene la fede calcistica, ma leggete un po’ cosa ha scritto Crippa nel suo post intitolato Squinzi Jones:

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Ma a Crippa nessuno ha mai parlato di un certo Tronchetti Provera?

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Daniza, chi?

Daniza

Foto: Archivio Giunta Provinciale di Trento

Ancora poco e non sentirete già più parlare di Daniza. E neppure delle altre decine di orsi che si aggirano fra le valli trentine e le regioni confinanti. Non ne sentirete più parlare almeno fino a un nuovo incidente, o a un fatto che scateni quella forma di animalismo alla Disney dei giornalisti e, a cascata, dei lettori. Dimenticatevi le due pagine dedicate al “caso Daniza” dal Corriere, dimenticatevi i servizi al Tg1 e gli editoriali dei “famosi”. Dimenticatevi la “rivolta” sul web (l’ennesima, per la verità), gli internauti che hanno insistentemente postato e twittato sono tornati a occuparsi del look di Belen e i selfie di Balotelli (continua…) Daniza presto dimenticata.

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Siamo in piena Zazite

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Prima è arrivato il Corriere, che nell’intervista pubblicata lo scorso 12 settembre l’ha definito “l’uomo nuovo della nazionale”. Ieri si è accodato, strano per uno che di solito si chiama fuori dal coro, pure Giuliano Ferrara. Il direttore del Foglio si è speso in un autentico atto d’amore per lui, indicandolo come un nuovo tipo di italiano di cui il Paese ha bisogno. Lui è Simone Zaza, calciatore del Sassuolo, chiamato in Nazionale dal nuovo Commissario tecnico Conte. Vediamo quali sono i pregi che hanno fatto rapidamente salire le sue quotazioni:

1) non ha la patente. “Non ho mai avuto l’esigenza – ha dichiarato al Corriere. – Il mio migliore amico, Francesco, lavora qui vicino e mi porta in giro lui” (capirai! Pure io mi sarei liberato dell’auto da chissà quanto tempo se avessi l’amico chauffeur);

2) a cena preferisce andare con la mamma (tornano di moda i bamboccioni!);

3) è di Policoro (Matera). Embè, che razza di merito sarebbe?

Ferrara lo dipinge come un “orco angelicato”, un “ragazzone non carino, ma simpatico e amabile”. Per il Corriere addirittura è già il cocco d’Italia. Che palle! Siamo al solito personaggio montato ad arte dalla stampa. Serviva un anti-Balotelli, eccovelo servito. Non cascateci, vi prego! Zaza forse è un buon giocatore, magari anche un bravo ragazzo, ma se proprio sentite la necessità di un eroe, cercatelo altrove.

Zaza non ha il Cayenne e probabilmente non si gongola lungo le spiagge di Formentera con i boxer arrotolati sulle cosce. Però quella teoria di tatuaggi sulle braccia la vedo solo io?

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Daniza, l’orsa che viveva nel paese sbagliato

L’orsa Daniza arrivò in Trentino il 18 maggio del 2000. Si trattava di una femmina di 4 anni prelevata insieme ad altri quattro orsi (Kirka, Masun, Jose e Irma) nella riserva slovena di Kocevje per rinforzare la popolazione italiana. – Foto: Archivio Giunta Provinciale di Trento

Parecchi anni fa, negli uffici romani del Wwf circolava questo aneddoto. Durante un ricevimento che seguiva una dotta conferenza, una signora ingioiellata si avvicinò a un celebre naturalista francese e gli chiese: “Ma in fondo, professore, a cosa serve una lince?”. Lui la osservò pensieroso e con calma rispose: “A niente, signora. Proprio come Mozart”.

Anche Daniza, in fondo, non serviva a nulla. (continua…) Daniza, l’orsa che viveva nel paese sbagliato.

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La cultura della sottrazione

la cultura della sottrazione

Quasi sempre, è meglio cancellare, togliere, piuttosto che aggiungere. Da noi la sottrazione è vista spesso come negativa, ma nel pensiero orientale ha anche una valenza positiva, di rinascita. Nel Bardo Thodol, il Libro dei morti tibetano, la liberazione dal samsara è il completamento di quest’atto di sottrazione. Negarsi la reincarnazione e sottrarsi al ciclo karmico delle nascite e delle morti è la massima prova possibile, attraverso la quale un uomo completa la sua fuga dalla vita (dalle vite passate e da quelle in potenza future)… La cultura della sottrazione.

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E se la smettessimo di volere di più?

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La crescita economica è stata il solo e unico faro che ha guidato per decenni i Paesi del capitalismo avanzato, l’obiettivo da perseguire con ogni mezzo. Ma il prezzo che si è dovuto pagare è stato altissimo. Ecosistemi distrutti, paesaggi devastati, aree urbane isterilite. Per non parlare dei costi umani. Da un lato del pianeta sono emerse nuove forme di schiavismo, dall’altro lato si sono consolidati modi di vita alienanti.

Da tempo, però, una fetta di mondo ha messo in discussione alcuni idoli dei nostri tempi, a cominciare dal mito della crescita e dalla fede nel Pil… (continua) E se la smettessimo di volere di più?.

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Vecchi mestieri in via d’estinzione…

Agente di viaggio, postino, lettore dei contatori, taglialegna e… giornalista. Cosa hanno in comune questi mestieri?
Secondo il rapporto di Career Cast 2014, sito americano che ha analizzato 200 tra mestieri e professioni usando dati del Bureau of Labor Statistics, appartengono tutti al genere in via di estinzione da qui a meno di dieci anni. Come le tigri o i rinoceronti. Sono le conseguenze della rivoluzione tecnologica in atto. Via il vecchio, spazio al nuovo. Il colpevole, in ogni, caso, è quasi sempre lo stesso: internet. (continua…)

Vecchi mestieri in via d’estinzione….

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Acquedotti colabrodo: spreco di acqua e di chiacchiere

Da quando avete fatto clic per leggere questo post, 100mila litri di acqua sono andati sprecati a causa delle pessime condizioni in cui versano gli acquedotti italiani. Lo ha da poco reso noto l’Istat: nel 2012 le perdite idriche sono state pari al 37,4 per cento dell’acqua trasportata, in crescita del 5,3 per cento rispetto al 2008. In sostanza ogni 100 litri di acqua introdotta nella rete, quasi 40 non sono usciti dai rubinetti, disperdendosi nei tubi… (continua) Spreco di acqua e di chiacchiere.

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Mondiali di calcio: la TV del domani contro la TV dei raccomandati

I mondiali di calcio sono ancora in corso, ma si possono già decretare i primi vincitori e i primi sconfitti. Non tanto sul terreno di gioco quanto sul piccolo schermo: Sky surclassa la Rai su ogni fronte. Partiamo dalla sigla. Mi lacrima il cuore, ma la canzone e il video di Emis Killa, scelti da Sky, sono molto più in linea con lo spirito brasiliano di questi mondiali rispetto al brano di Mina targato Rai.
Passiamo a giornalisti, conduttori commentatori. Be’ qui il confronto diventa imbarazzante. È un po’ come paragonare la Premiere League a un girone di promozione italiano. Da una parte volti freschi, commentatori competenti e brillanti (anche se a volte fanno a pugni con la sintassi), telecronisti briosi e incalzanti; dall’altra facce di cera, rughe e dentiere, ‘tecnici’ imbarazzanti e cronisti che ti fanno domandare: ma sto guardando una replica di Messico ’70?
Insomma, da una parte una tv nuova e frizzante, con i suoi limiti e i suoi difetti, ma figlia della modernità; dall’altra una ‘corte dei miracoli’, un carrozzone triste e incompetente, figlio di un’Italia che sprofonda. Anzi, che meritatamente è già sprofondata.

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È allarme per elefanti, rinoceronti, tigri e ghepardi

Dal 7 all’11 luglio, a Ginevra, si riunirà il  Comitato permanente della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (CITES). “I delegati CITES hanno una straordinaria opportunità a Ginevra – spiega Adam Roberts, Ceo di Born Free USA e Acting Ceo di Born Free Foundation. – È in gioco il futuro di alcune delle specie più minacciate del pianeta. I numeri sono allarmanti. Ben 50.000 elefanti sono stati uccisi lo scorso anno per predare le loro zanne d’avorio; il corno di un rinoceronte, ambito per le presunte proprietà medicinali, è pagato 60 mila dollari al chilo sul mercato nero; la crescente domanda di parti del corpo della tigre, sono rimasti solo 3.500 esemplari in tutto il mondo, sta decimando la popolazione. Tutti questi temi e altri ancora richiedono la massima attenzione”… (continua)

Specie animali minacciate

È allarme per elefanti, rinoceronti, tigri e ghepardi.

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L’agonia di Pompei

Scavi di Pompei

Domenica 22 giugno, cinquecento turisti si sono trovati sbarrati gli scavi di Pompei: “Chiusi per assemblea sindacale” avvisava un cartello. Era già accaduto qualche giorno prima, ed erano stati migliaia gli aspiranti visitatori provenienti da tutto il mondo a essere lasciati in attesa sotto il sole campano.

Pompei, che a lungo è stata la più efficace narrazione della nostra storia e della nostra civiltà, è diventato il simbolo del malgoverno e dello sfascio di un Paese stanco (continua…)

L’agonia di Pompei.

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L’ economia con effetto a cascata è una leggenda

La libera concorrenza è un principio cardine dello sviluppo economico del mondo occidentale e negli ultimi decenni anche di molte altre aree del pianeta. Sì, le disuguaglianze esisteranno, diceva la teoria, ma i ‘vincitori’ potranno sempre risarcire i ‘perdenti’ e il libero commercio sarà una soluzione vantaggiosa per tutti. Questa conclusione, però, si sta rivelando sempre più sbagliata… (continua)

L’ economia con effetto a cascata è una leggenda.

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Il genius loci italico

Nella giornata in cui si celebra il plebiscito nazionale pro Renzi uscito dall’urna elettorale europea, sfugge a molti commentatori l’autentico vincitore: il genius loci italico, ossia il gattopardismo. Da tempo il rottamatore ha imbarcato sulla sua nave di furbacchioni interi pezzi della vecchia classe dirigente politica e imprenditoriale nonché del mondo dell’informazione. È questo ciò che piace a noi italiani: lasciare tutto com’è, ma facendo finta che tutto cambi. Lo troviamo maledettamente rassicurante. Siamo di fronte all’ennesima fine di un’epoca, ma non certo alla fine degli antichi privilegi: quelli rimangono. Grazie a Tancredi-Renzi le famiglie che contano conserveranno le proprie posizioni. Ancora una volta. Forse per sempre.

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Cos’è questa Expo della vergogna? Io so

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Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quella che viene già chiamata “nuova tangentopoli” (e che in realtà è una serie di “tangentopoli” istituitasi a sistema dentro i centri del potere).
Io so perché l’Expo dei corrotti non si può fermare.
Io so perché tutti adesso invocano l’emergenza cantieri.
Io so che molti dei politici citati nelle intercettazioni ora diranno: sono solo millanterie!
Io so che lo Stato non è più forte dei ladri, perché i ladri sono anche dentro lo Stato.
Io so che ci saranno sempre un Greganti o un Frigerio da immolare.
Io so perché i comandanti “traditi” dai loro vice dichiarano di volersi dimettere, ma poi restano al loro posto.
Io so che il partito dei Dell’Utri, dei Cosentino e degli Scajola non è poi così diverso da quello dei De Gregorio, dei Razzi, degli Scilipoti e dei vari transfughi dall’Udeur e neppure da quello che tollera il “sistema Sesto”, il “compagno G” e compagnia cantante.
Io so che faccia hanno i corruttori seriali.
Io so che mentre molti si indignano, si consumano feste e festicciole per sostenere i candidati alle prossime Europee dove si vedono facce che nessuna persona per bene inviterebbe a casa propria.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato sia la vecchia tangentopoli, sia la nuova tangentopoli, sia infine gli “ignoti” autori materiali di tutti gli episodi di corruzione più recenti.
Io so i nomi del gruppo di potenti che sono sempre pronti a ricostruirsi una verginità.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, assicurano la protezione a vecchi e giovani faccendieri.
Io so i nomi dei personaggi grigi che non si espongono mai.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai criminali comuni e ai tragicomici malfattori dati in pasto alla stampa.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

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Il fascino discreto della corruzione

Se Flaubert potesse aggiornare il suo Dizionario dei luoghi comuni, molto probabilmente aggiungerebbe “Corruzione: indignarsi contro”. I commenti rilasciati dalla gran parte dei politici in seguito alla scoperta da parte della Procura di Milano di una cupola che controlla gli appalti di Expo Milano 2015 sono pieni di doppiezza e fariseismo. “L’unica cosa da non fare è cancellare Expo. Sarebbe la più grande sconfitta per la democrazia, sarebbe come ammettere che l’illegalità ha vinto”, le dichiarazioni del presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, chiamato dal premier Matteo Renzi a seguire i lavori dell’Expo, riassumono il pensiero dei vai Lupi, Alfano, Maroni, Pisapia e tutta l’allegra combriccola di expoentusiasti. E così al grido di ‘Expo deve andare avanti’ rimetteremo la testa sotto la sabbia, almeno finché una nuova bufera giudiziaria non ci costringerà a rialzarla.
Non è davvero un caso se tra i dannati della V Bolgia dell’VIII Cerchio dell’Inferno Dante pone i corrotti (colpevoli di aver usato le loro cariche pubbliche per arricchirsi attraverso la compravendita di provvedimenti, permessi, privilegi) vicino agli ipocriti.
L’Italia è come l’alveare immaginato da Bernard Mandeville nella sua Favola delle api: prospera e si sviluppa grazie alla corruzione. Tutti lo sanno, compreso quelli che si indignano. I politici che rimproverano gli altri farebbero bene a guardare in casa propria. Forse esaminando la propria coscienza si vergognerebbero di protestare per ciò di cui sono anch’essi più o meno colpevoli. L’inclinazione a corrompere e a lasciarsi corrompere appartiene alla natura umana. Ma in molti di quelli che giungono al potere vi è addirittura qualcosa di grossolano e volgare: quasi stupiti di essere arrivati lì, pensano solo ad approfittare dell’improvvisa manna loro offerta. Di questi saccheggiatori che terrorizzano, corrompono e tesorizzano non ci libereremo mai. Non illudiamoci, siamo noi.

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Expo 2015: la vetrina infangata

expo 2015 logo

Eccolo il logo a cui tutti ambiscono da mesi. Ormai non c’è manifestazione, evento o progetto che non si fregi del logo di Expo Milano 2015. Tutti lo vogliono appiccicare da qualche parte, per promuovere un servizio o vendere un prodotto. Tutti convinti che la presenza di questo simbolo sia sufficiente a garantire una qualità migliore alle iniziative proposte. Ma ora che su Expo Milano 2015 si sono allungate le solite ombre, ombre che peraltro qualcuno aveva già intravisto da tempo – lo stupore scandalizzato per gli arresti di ieri e la decapitazione di Infrastrutture Lombarde di qualche settimana fa può appartenere solo agli ingenui o ai falsi in malafede – siamo ancora sicuri che questo sia il logo giusto da applicare in vetrina?

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Gomorra è tra noi

A otto anni dal libro di Roberto Saviano e a sei dal film di Matteo Garrone, Gomorra è diventata una serie Tv le cui prime due puntate sono andate in onda l’altra sera su Sky Atlantic e Sky Cinema. Pubblico e critica sono stati concordi nel riconoscere il valore della fiction, e in effetti se paragonata a quelle messe in onda da Rai e Mediaset sembra prodotta da un altro pianeta. La storia è tutto sommato semplice: c’è un boss che non vuole rassegnarsi al suo declino, un figlio che potrebbe rimpiazzarlo ma non sembra averne le capacità, e poi ci sono i suoi scagnozzi, alcuni fedeli, altri meno. I luoghi sono reali: Scampia, Secondigliano, Casavatore e l’hinterland napoletano; le vicende narrate sono inventate, sebbene, come chiarito dagli autori, siano ispirate a fatti reali. Al telespettatore alcune scene potrebbero apparire esagerate. C’è davvero tanto male intorno a noi? Sì, anzi ce n’è ancora di più. Le prime pagine dei giornali online in queste ore registrano e commentano la scoperta da parte dei magistrati milanesi di una ‘cupola’ per condizionare gli appalti di Expo 2015 (nuovo scandalo dopo quello che ha coinvolto Infrastrutture Lombarde, ma vedrete che ne scoppieranno altri prima dell’evento) e l’arresto da parte dell’Antimafia dell’ex ministro Scajola accusato di aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare Pdl Amedeo Matacena, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. Su di lui anche l’ombra di un sodalizio con la ‘ndrangheta. Siamo seri, chi mai la scriverebbe una sceneggiatura del genere? Viviamo in un paese dove la realtà è ben più compromessa, corrotta e criminale di quanto possa immaginare anche il più fantasioso degli autori cinematografici. Ecco, questa è la realtà. Il resto è solo finzione.

gomorra serie tv

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Pompei: da parcheggio per disoccupati a parcheggio per scooter

scooter scavi pompei

La foto l’avrete già vista, ma nel caso vi sia sfuggita ve la ripropongo. Ritrae uno scooter parcheggiato in via delle Tombe, all’interno degli scavi di Pompei. Questa immagine non è soltanto l’emblema di una grande area archeologica abbandonata, senza futuro, è lo specchio di un Paese intero. Nel maggio 2012, Le Monde titolò «Silenzio, Pompei si spegne». I permalosissimi custodi del presunto buon nome dell’Italia, gli stessi che magari parcheggiano in doppia fila, saltano le code appena possono o si fanno prescrivere una tac per il giorno dopo grazie ai favori dell’amico primario, avevano tuonato istericamente contro lo snobismo intellettuale francese. L’allora ministro dei Beni culturali, Lorenzo Ornaghi, uno dei peggiori della storia repubblicana, ma lo si potrebbe dire di chiunque altro (…Antonio Gullotti, Carlo Vizzini, Vincenza Bono Parrino, Ferdinando Facchiano, Sandro Bondi, Giancarlo Galan, Massimo Bray, Dario Franceschini… scegliete voi) con l’esclusione di Antonio Paolucci, in risposta a Le Monde formulò parole rassicuranti spiegando che «è oltre mezzo miliardo di euro quanto il Governo ha messo a disposizione di quell’area di particolare interesse culturale ed economico che è Pompei per un suo rilancio a partire dal rapporto cultura-sviluppo». E dove sono finiti? Chi ce lo può spiegare una volta per tutte in quali tasche sono finiti i soldi destinati nel corso dei decenni al risanamento e al consolidamento di questa area archeologica di valore universale? A Pompei non si vede neppure l’ombra di uno spazzino e da sempre circolano indisturbati branchi di cani randagi. Capite che siamo ben lontani dall’applicare una seria e competente politica di conservazione e valorizzazione del nostro preziosissimo patrimonio?! La ricorrente e beffarda mediocrità dei ministri dei Beni culturali italiani ha partorito montagne di vuote dichiarazioni, promesse, vaniloqui. I governi repubblicani hanno trattato la cultura come l’ultima delle loro priorità. Un parcheggio per figure maledettamente mediocri. Massimo Bray, portato in palmo di mano da molta stampa nazionale, ha trascorso i suoi dieci mesi da ministro rilasciando dichiarazioni come se fosse stato un opinionista anziché un uomo di governo con le responsabilità che ciò comporta. Rilasciare commenti e andare in TV a raccontare questo e quel disastro, quasi che la cosa non riguardasse il ministro di turno, è meschino oltre che mediocre. Ma noi italiani non sappiamo più imbarazzarci per le nostre miserie, neppure di fronte a un governante di una mediocrità conclamata o a uno scooter piazzato nel mezzo degli scavi di Pompei. Ma sì, quanta inutile indignazione! Sarà stato di Pasquale, il cognato di Ciro, che si è fermato solo un attimo per portare un pezzo di pizza ad Antonio…

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Come galline senza testa

Dl Irpef: Padoan al Colle per ulteriori chiarimentiLa lotta all’evasione sarà una delle “priorità” del semestre europeo a guida italiana. Così ha cantato oggi la gallina Padoan. C’è davvero da domandarsi cosa passa per la testa del ministro dell’Economia quando rilascia simili dichiarazioni. Riassumiamo per i disattenti. Secondo i più recenti dati disponibili, l’Italia è maglia nera assoluta nell’Unione Europea per evasione fiscale. Oltre un anno fa il presidente della Corte dei Conti, citando dati Ocse nel corso di un’audizione alla commissione Finanze del Senato, parlò di un’Italia che “si colloca ai primissimi posti della graduatoria internazionale”, alle spalle solo di Turchia e Messico. Uno studio realizzato dall’autorevole organizzazione Tax Reserach di Londra sulla base del Pil 2009 indicava che in Italia il sommerso equivale al 27% dell’intero Prodotto interno lordo nazionale; in Germania si ferma al 16%, in Francia al 15%, nel Regno Unito al 12,5%. Ora, quale può essere la credibilità di un uomo politico nostrano che va dicendo in giro che la lotta all’evasione sarà una delle “priorità” del semestre europeo a guida italiana? La stessa di un tedesco che dichiara di voler diffondere in Europa la cultura gastronomica. Anzi, meno ancora, visto che la Germania ci ha superati perfino nel cibo stellato: nell’edizione 2014 della celebre Guida Michelin i ristoranti tedeschi con tre stelle sono saliti a 11, contro gli 8 italiani.